Femminile Plurale

 


Manuel


Per la classe dirigente inglese, gli intellettuali e l’opinione pubblica, è il tempo del ripensamento: di decenni di multiculturalismo, delle politiche di accoglienza e tolleranza, persino del leggendario politically correct britannico. Sotto la spinta dell’estremismo religioso di matrice islamica, si va dalla discussione sul velo per le
donne musulmane alla richiesta di maggiore rigore nella concessione di permessi di lavoro e asilo politico, dall’opportunità per una giornalista televisiva di indossare la croce quando in onda al diritto di un agente di polizia musulmano di rifiutarsi di prestare servizio all’ambasciata israeliana. Si discute e dibatte con rinnovata intensità e a ritmo quotidiano sullo scontro-confronto tra maggioranza e minoranze etniche e religiose, tra chi è già dentro e chi bussa disperato alle porte. E non importa se le richieste di asilo politico siano in costante calo dal 2004, 60% in meno rispetto all’anno record 2002. La tendenza è verso il rigore e la restrizione soprattutto nel numero degli asili concessi, e sebbene non sempre senza ragione – il sistema sociale inglese è allo stremo e non può permettersi di largheggiare senza rischiare il collasso - nel moltiplicarsi delle contraddizioni l’alternarsi dei sommersi e dei salvati sembra non seguire più alcuna logica se non quella casuale della lotteria. E’ in queste contraddizioni che lo scorso 18 ottobre la Corte d’appello inglese ha garantito alla quasi diciottenne Zainab Fornah, della Sierra Leone, il diritto di asilo politico ammettendo la tesi dei difensori che la solo la permanenza nel Regno Unito avrebbe potuto salvarla dalle
mutilazioni genitali da cui era fuggita tre anni fa e che le sarebbero state imposte una volta rimpatriata. Un pronunciamento applaudito, ma tutt’altro che scontato visto che in un precedente grado di giudizio Zainab aveva perso sulla base del principio che la circoncisione femminile non rientra strettamente nelle forme di persecuzione politica.
Nello stesso universo contraddittorio, nella roulette della giustizia e dell’esistenza, si è invece consumata a metà settembre la tragedia di un altro immigrato, Manuel Bravo, un 35enne dell’Angola che all’indomani della sentenza che respingeva la richiesta di asilo si è suicidato pur di evitare a se stesso e al figlio il rientro forzato in un Paese dove lo attendeva una feroce repressione.
Gli ultimi istanti di vita di Bravo, ripresi lo scorso 15 settembre dalle telecamere del centro di detenzione di Yarl’s Wood, a nord di Londra, raccontano in poche immagini la disperazione senza ritorno del giovane padre che si incammina verso le scale con sulla spalla un lenzuolo arrotolato, la testa china in avanti. Ironia beffarda della società del Grande Fratello, nessuno si è accorto di quello che stava per accadere, nessuno ha sospettato alcunché, nessuno era stato messo in allerta, in mattinata, dal ritrovamento di una lunga corda nella borsa di Manuel. Dopo oltre tre anni di stressanti attese e ritardi burocratici, qualche giorno prima la richiesta di asilo politico in Gran Bretagna per Manuel e il figlio tredicenne Antonio era stata definitivamente respinta, non perché la legge l’avesse trovata infondata, non perché il richiedente stesse beffando o avesse, come capita, precedenti penali, ma semplicemente perché per almeno due volte i suoi difensori non si erano presentati alle udienze e un livello di inglese mediocre non aveva giovato alla sua autodifesa. Senza soldi e senza avvocati, Manuel non aveva potuto produrre prove delle torture e dei massacri cui la sua famiglia era stata sottoposta in patria dal regime di Josè Eduardo dos Santos. Un fax della Croce Rossa lo aveva informato che anche la moglie Livia e il figlio più piccolo, rientrati in Angola qualche mese prima, erano stati arrestati. Ma era solo la sua versione, credibile per le associazioni che si occupano di rifugiati e diritti umani e per il sacerdote della parrocchia di zona a Leeds, Alistair Kaye, che ha cercato di sostenerlo negli ultimi due anni, ma troppo debole per convincere i giudici della corte.
Nel caso sfortunato di Manuel non si è tenuto alcun conto del suo stato profondo di depressione, sebbene comprovato dalle prescrizioni mediche, nè dell’amore sconfinato, viscerale per il figlio adolescente, per il quale Bravo ha compiuto l’unica scelta rimastagli: il suicidio che lo avrebbe reso orfano e in quanto tale gli avrebbe consentito di rimanere nel Regno Unito e proseguire gli studi almeno fino al 18esimo anno di età. E così saluta Antonio in silenzio, in una breve nota si scusa del gesto che sta per commettere, gli raccomanda di essere forte e fare bene a scuola, si incammina lungo quegli ultimi metri del suo personale braccio della morte e in pochi attimi è finita. Le guardie arrivano quando ormai è troppo tardi per tentare di salvarlo, ma decidono di lasciar dormire il figlio, nessuno sa come riportargli la notizia. In ogni caso l’esemplarità del gesto e l’indifferenza in cui si è compiuto hanno spinto le autorità ad aprire indagini sulle circostanze del suicidio di Manuel e mentre la stampa ha subito dato voce al sospetto di un errore fatale, di un’ingiustizia prevedibile e prevenibile, l’umanità di questo Paese si è raccolta intorno all’orfano, con una famiglia e la scuola e i servizi sociali.
A 18 anni Antonio dovrà ripresentare domanda di asilo, a quel punto forse con più fortuna di suo padre. Ed intanto piacerebbe pensare che il suo sacrificio abbia fatto breccia nella coscienze e abbia pesato anche nell’esito fortunato del caso di Zainab, ma almeno per ora non si registrano cambiamenti legislativi in un meccanismo che, accusano da tempo le associazioni di rifugiati, ha prodotto sì i risultati auspicati dalla politica del rigore, ma con una negligenza talvolta spietata del lato umano. E’ questo scandalo che Manuel ha tragicamente portato alla luce, più di un altro giovane africano suicidatosi solo 24 ore prima a Manchester, più di molti altri che qui hanno fatto la stessa scelta, perché nel suo caso è un padre che decide di morire per dare al proprio figlio una seconda vita, più giusta e più promettente, anche se già gravida di molto dolore.
Manuela Mirkos