Femminile Plurale

 


L'autunno (violento) del patriarca


Alicia è stata picchiata dal marito per tutti i 14 anni del loro matrimonio. Quando ha infine trovato il coraggio di lasciarlo, ha continuato a subire minacce e intimidazioni. Un giorno, quattro mesi dopo la separazione mentre si recava alla fermata dell'autobus, l'ex marito le si è accostato, violando l'ordine giudiziario che le impediva di avvicinarsi a lei, e l'ha accoltellata a morte.
La storia di Alicia non è quella di una donna che vive in un ambiente povero, degradato magari in un paese in via di sviluppo. Alicia era una “normale” giovane donna spagnola e la sua storia non è purtroppo differente da quella di tante altre donne e ragazze occidentali se è vero che, secondo quanto denuncia Amnesty International, in Spagna nel solo anno 2004, 72 donne sono state uccise dai loro partner o ex partner mentre in Francia una donna muore ogni 4 giorni a seguito di percosse da parte del partner.
L'Italia non fa eccezione. Secondo i dati Istat pubblicati nel febbraio scorso il 30% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito abusi e violenze durante la propria vita, cifra che sale addirittura al 50% se tra le forme di violenza includiamo anche lo stalking, ovvero gli atti persecutori e intimidatori che nella maggior parte dei casi avvengono per mano di fidanzati respinti o ex-mariti. Mentre un omicidio su quattro avviene tra le mura domestiche.
Si parla spesso di violenza contro le donne come tratto caratteristico di culture diverse da quella occidentale, prima fra tutte quella musulmana. I dati rivelano invece che la violenza può sì assumere forme diversificate, rispetto al contesto culturale, ma rappresenta una realtà universale, comune a tutte le culture, soprattutto se ci riferiamo alla sua versione più subdola e insidiosa, quella domestica.
E’ molto più probabile che una donna subisca violenza da parte di una persona conosciuta, soprattutto il proprio partner o ex-partner, piuttosto che per mano di uno sconosciuto. Ciò è ormai largamente noto, ma al tempo stesso viene considerato un dato di fatto inevitabile, qualcosa che non desta più scandalo o meraviglia. Le cronache sono piene di riferimenti a “attacchi di gelosia”, “raptus improvvisi”, o frasi del tipo “lui l’amava tanto e per gelosia l’ha uccisa”. Gli esperti della materia ci dicono invece che quasi sempre l'omicidio non rappresenta un gesto di pazzia o di perdita temporanea di ragione e controllo, ma l’atto finale ed estremo di una violenza perpetuata negli anni. E’ stato persino coniato un termine specifico per indicare il fenomeno: “femminicidio”.
Basti pensare che il “delitto d’onore”, figura giuridica che prevedeva le attenuanti per l’omicidio della moglie, della figlia o della sorella compiuto in stato di ira per difendere “l’onore proprio o della famiglia”, è stato abolito solo nel 1981. E ciò che è più grave è che la sua eredità sembra essere rimasta nella coscienza collettiva, se ancora la gelosia viene vista come una giustificazione sufficiente per un omicidio.
Nonostante gli sforzi della normativa che riconosce la gravità della violenza domestica, prevedendo ad esempio l’ordine di allontanamento del partner violento, continuiamo a portarci dietro l’antico concetto del “lavarsi i panni sporchi in casa”, che ciò che avviene tra le mura domestiche è affare privato dentro il quale lo Stato e la comunità non devono entrare.
Per fortuna lo Stato ha iniziato ad entrarci sollecitato dai movimenti femministi. Il tema della violenza alle donne risulta invece ancora largamente marginale nella riflessione degli uomini che guardano ad esso con sentimenti che vanno dal disagio all’imbarazzo fino alla noncuranza e alla negazione del problema.
Questo disagio solo in rare occasioni prende la forma di riflessione comune e dibattito aperto, come nel caso del bellissimo appello “La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come uomini” in cui si afferma con forza che è venuto il momento di una chiara presa di posizione pubblica e assunzione di responsabilità da parte maschile. L’appello parte da uomini con diversi percorsi politici, culturali, religiosi, a volte individuali altre volte condivisi in gruppi informali di autocoscienza e di riflessione.
Fenomeni di “nicchia” si potrebbe dire, che stentano a divenire collettivi come è avvenuto per il movimento femminista.
A colmare il vuoto ci ha provato anche la campagna internazionale del fiocco bianco, partita in Canada nel 1991 e arrivata in Italia nel 2006 con l’idea di coinvolgere in prima persona gli uomini, già a partire dai ragazzi delle scuole, nella lotta, e ancor prima, nella consapevolezza della violenza contro le donne. La
campagna ha conosciuto un discreto successo raccogliendo l’adesione di personalità di vari settori, compreso quello sportivo, ma all’indomani del suo lancio i suoi echi non si sono fatti più sentire.
Se la violenza alle donne, in particolare quella domestica, sia aumentata in questi ultimi decenni è difficile dirlo, dal momento che prima non costituiva neppure reato e quindi rimaneva nascosta tra le mura domestiche. Del resto anche oggi il tasso di mancata denuncia supera il 90% a causa di paura, vergogna o sfiducia nelle istituzioni.
Certamente la violenza alle donne ha purtroppo rappresentato una costante nella storia dell'umanità, ma è vero anche che la critica alla società patriarcale portata dal movimento femminista, ormai non solo in Occidente ma in ogni continente, ha provocato una reazione contraria che si manifesta in una recrudescenza della violenza quale tentativo estremo e disperato di conservare quell'antico ordine sociale oggi messo in crisi.
Si legge nell'appello citato sopra “Forse il tramonto delle vecchie relazioni tra i sessi basate su una indiscussa supremazia maschile provoca una crisi e uno spaesamento negli uomini che richiedono una nuova capacità di riflessione, di autocoscienza, una ricerca approfondita sulle dinamiche della propria sessualità e sulla natura delle relazioni con le donne e con gli altri uomini”. Sarebbe quanto mai necessario, e soprattutto bello, che questo appello fosse accolto da tutti e che si moltiplicassero i luoghi dove uomini e donne, insieme e separatamente, possano seriamente e apertamente confrontarsi sulle sfide e le opportunità che la crisi del modello patriarcale e l’emancipazione femminile hanno aperto. Per una volta senza le risatine di rito o l’ostentazione del politically correct, che sono facce di uno stesso sentimento di inadeguatezza, e a partire dall’aspetto più oscuro e inquietante nel rapporto tra i sessi: la violenza.
Erika Bernacchi