Era la notte del 26 dicembre quando Isoke Aikpitanyi si trovò sbattuta per la prima volta su un marciapiede.
Con il freddo di una città nordica insonnolita in quella notte post natalizia e quei vestiti succinti, “quei tacchi ridicoli e la carne di fuori”, in attesa che qualcuno abbassasse il finestrino e le chiedesse quanto, mentre la sua voce rispondeva “no, no, no”.
“Sbattere” in questo termine c'è tutta la rabbia e la frustrazione che Isoke racconta insieme alla giornalista Laura Maragnani in “Le ragazze di Benin City. La tratta delle nuove schiave dalla Nigeria ai marciapiedi d'Italia”.
“Sbattere” significa starsene sulla strada dalle 8 di mattina alle 10 di sera se fai il turno di giorno o dalle 10 sera alle 5 di mattina se fai la notte, rischiando ogni volta violenze e abusi, rischiando la morte perchè di maniaci violenti e di violenti ordinari sono pieni i nostri marciapiedi. Sono più di 200 le nigeriane uccise negli
ultimi anni, almeno quelle che sono state ritrovate, perchè molte semplicemente spariscono e chi va a ricercare una clandestina?
“Sbattere” per pagare un debito di 20.000 o 40.000 euro contratto per partire, magari per venire a fare la commessa in un supermercato come avevano promesso a Isoke. Per pagare addirittura il “joint”, l'affitto del pezzo di marciapiede su cui prostituirsi, fino a 300 euro al mese, e una volta pagato il debito, dopo mesi o anni, per mandare i soldi alle famiglie di origine, a quelle stesse persone che spesso sanno, ma per convenienza o necessità estrema, fanno finta di non sapere cosa stanno vivendo le loro figlie.
Eppure Benin City vive delle “rimesse” delle sue figlie più belle, e con i loro soldi si è riempita di beni di consumo, anche i più inutili, ma spesso non c'è posto per loro quando riescono a tornare.
Ormai sono marchiate a vita per quel mestiere infame, troppo l'imbarazzo anche per le stesse famiglie che dei loro soldi si sono avvantaggiate. E' anche per questo che le più “fortunate”, quelle che fanno “carriera” finiscono poi per diventare a loro volta “maman”, da vittime a sfruttratrici delle nuove arrivate.
A volte però il ciclo si spezza, qualcuna si salva o addirittura da vittima diventa salvatrice come Isoke che una volta liberata dalla sua situazione di schiavitù, grazie all'aiuto di un cliente innamorato, è riuscita ad aprire ad Aosta una casa rifugio per altre ragazze nigeriane vittime di tratta.
Eppure i testi di legge ci raccontano un'altra storia. Ci dicono che per una volta quella italiana è una delle legislazioni più avanzate contro la tratta di esseri umani. Che l'art. 18 del testo unico sull'immigrazione del '98 garantisce un permesso di soggiorno non solo alle ragazze che denunciano i propri trafficanti, ma anche a quelle che accettano di usufruire di un percorso di reinserimento sociale. Dal 2000 al 2006 sono state 11.541 le ragazze che hanno partecipato a progetti di protezione sociale e 5.653 quelle che hanno ottenuto un permesso di soggiorno. Ci dicono che prima di procedere all'espulsione di un'immigrata irregolare la polizia deve accertarsi che non sia vittima di tratta.
Ecco perchè fa male leggere che per ben cinque volte Isoke è venuta in contatto con un rappresentante dello stato o con un operatore sanitario senza che nessuno le dicesse quali erano i suoi diritti ed è riuscita a salvarsi solo grazie al classico “cliente innamorato”.
Fa male e ci si chiede come sia possibile tutto questo. Come è possibile che mille Isoke rimangano ogni sera sulla strada nell'indifferenza generale rotta di tanto in tanto da qualche iniziativa estemporanea di amministatori locali che rispondono alle presunte emergenze di ordine pubblico o oltraggio al pubblico pudore.
Perchè la polizia continua a vedere un'immigrata clandestina invece che una vittima di tratta? Perchè svariate questure, in violazione della legge, concedono il permesso di soggiorno solo a quelle ragazze che, spesso mettendo a rischio la vita propria o delle loro famiglie, trovano il coraggio di denunciare?
Forse perchè se si decidesse di dare un permesso di soggiorno a tutte le vittime di tratta ci vorrebbero troppi soldi o il numero di ragazze eccederebbe le “quote” migratorie stabilite. O forse anche perchè le stesse associazioni che gestiscono le case di accoglienza, per quanto meritevoli, non si rendono conto quanto sia difficile, e forse anche ingiusto, chiedere ad una vittima di tratta che fino al giorno prima ha subito abusi di ogni tipo, di rispettare regole e ordini per rientrare nei “protocolli” di reinserimento sociale. Forse perchè la strada della “reintegrazione” è troppo irta di difficoltà e discriminazioni specialmente se sei nera e per questo non ti prendono neanche a fare la badante, e così alla fine torni sulla strada.
E certamente perchè il mercato della prostituzione è redditizio e utile per molti. Per i trafficanti del Nord e del Sud del mondo che grazie alla tratta di esseri umani ottengono giri d'affari miliardari con rischi molto minori del traffico d'armi e di droga e per gli uomini, per i nostri uomini, i nostri amici, mariti, padri che con la loro richiesta alimentano una domanda pressochè inesauribile.
Si dice sempre che la prostituzione è il mestiere più vecchio del mondo, ma non si può non interrogarsi davanti al numero crescente di ragazze che dal sud e dall'est del mondo arrivano sempre più numerose, e sempre più giovani, per soddisfare i desideri dei nostri uomini. Uno su tre.
Uomini forse smarriti di fronte al cambiamento dell'universo femminile, che con la prostituta possono finalmente ristabilire quella relazione di potere che con la moglie o la compagna non osano più pretendere.
E' per questo che Isoke ripete spesso una frase così dura alle orecchie di una donna occidentale “ogni africana stuprata è un'italiana salvata”.
Ma quella di Isoke è una storia di riscatto anche al maschile. Gli ex clienti, insieme a quelli che ancora lo sono e ai semplici amici, hanno cominciato a ritrovarsi in piccoli gruppi per vedere come possono aiutare le ragazze, ma anche per confrontarsi sui propri problemi sessuali e affettivi uscendo dal perbenismo e dalla vergogna e andando per le strade a distribuire volantini che invitano altri ad unirsi a loro. Quasi un miracolo per le nostre società così ottuse e conformiste. Non si fa fatica a credere, come si legge sul sito internet che si tratta di un'esperienza unica in Italia e forse anche in Europa.
Sono belli gli occhi di Isoke, il suo sorriso malinconico, la sua voce timida, ma ferma. E sono belli anche gli occhi del suo compagno mentre racconta di quella sera in cui le ragazze decisero di fare sciopero e gli ex clienti divennero le loro guardie del corpo. Per una notte...
Erika Bernacchi