Ricordi di un'estate tra veli e veline
Quel giorno afoso di luglio Anna era arrivata in ufficio con il chador. Era spuntata all'orizzonte con quel profilo diverso, inusuale. Quando le sue colleghe l'avevano scorsa avevano strizzato gli occhi incredule, cercando di capire se fosse lei. Ma sì era proprio lei.
“Sono diventata musulmana – aveva spiegato – e non portare il velo mi stava pesando, sentivo il bisogno di mostrare la mia fede religiosa anche attraverso un segno esteriore.”
“Ma sei sicura ? Con questo caldo coperta dalla testa ai piedi?” erano state le prime parole impacciate che le colleghe avevano trovato. “E poi il velo non è mica obbligatorio ... e il tuo femminismo dove è finito? Non ti sembra un segno di sottomissione?” avevano poi incalzato.
Ma la sua risposta era stata che nell'interpretazione più autentica della religione musulmana il velo era un elemento importante e poi che si sentiva protetta, che aveva un nuovo rapporto con il suo corpo. Inoltre aveva spiegato che sarebbe stato bello potersi fidare, ma non era possibile.
“Ma che vuoi dire ? - avevano ribattuto le altre - hai proprio una pessima opinione degli uomini... a me non dispiace se un uomo mi guarda, bè certo dipende come...”
In ufficio non si parlava d'altro, come era possibile che una giovane donna che si era sempre mostrata forte, indipendente, alternativa si presentasse con il chador?
Alcuni sentenziavano che era il marito musulmano che la obbligava, altri invece erano convinti che fosse comunque una sua scelta, una scelta totalizzante che non ammetteva mezze misure.
Chiaramente erano le donne le più colpite e sconcertate. Avevano chiuso la porta e si erano riunite in una sorta di collettivo femminile dell'ufficio autoproclamatosi d'urgenza quasi per riaffermare i punti imprescindibili della loro identità femminile, come per rispondere ad un bisogno fondamentale di fare memoria del cammino dell'emancipazione tracciato con fatica dalle loro mamme e dalle loro nonne.
Dopo qualche giorno però il collettivo era stato di nuovo convocato d'urgenza per contenere l'ira di Sara che la sera prima aveva scoperto la presenza di una avvenente cubista nella discoteca estiva gestita dal marito.
I soci in affari dell'impresa estiva dicevano che non esiste discoteca senza cubista e la riprova era che da quando era arrivata lei i clienti erano aumentati a dismisura..
Bè i clienti... più che altro si trattava di ragazzini di 15 anni che se ne stavano lì con gli occhi di fuori di fronte a tanta grazia... “Bel modello educativo”, pensava Sara che non riusciva a capire che bisogno ci fosse di andare ad incrementare la cultura imperante di veline e letterine e la già florida industria della donna oggetto, proprio quella che il movimento femminista aveva tanto combattuto.
Proprio recentemente era uscito il libro “Ancora dalla parte delle bambine” che riprendendo 30 anni dopo il famoso testo di Elena Giannini Belotti, punto di riferimento di un'intera generazione di donne, richiamava ancora l'attenzione sulla discriminazione femminile. L'autrice sottolineava però che questa volta il modello offerto alle bambine non era più quello della casalinga o della donna subalterna all'uomo, bensì quello della velina, della moglie del calciatore famoso, in ogni caso della donna dalle forme e misure perfette, graziosa e disponibile. Questa nuova forma di discriminazione, forse meno immediatamente percepibile, rischiava poi di essere proprio per questo ancora più pericolosa in quanto non spinge alla lotta e alla rivendicazione e anzi appare a molte ragazze un'ambizione legittima, un mestiere divertente o magari anche solo un modo per fare soldi velocemente.
Ed ancora una volta era il corpo delle donne a essere protagonista: coperto per proteggersi da sguardi indiscreti e indicare un'appartenza totalizzante o scoperto e amiccante per soddisfare il desiderio maschile e gli imperativi del marketing.
Due mondi apparentemente opposti si erano scontrati quell'estate nell'improvvisato collettivo femminile dell'ufficio. Due mondi secondo taluni simbolo dello “scontro di civiltà” e tuttavia forse solo due estremi che si toccano, due universi dove il corpo femminile appare sempre e comunque centrale, occupa gli spazi di giornali e canali televisivi – diretti da uomini – ed è oggetto di minuziose prescrizioni religiose – decise, almeno in origine, da uomini.
Motivi sufficienti per riflettere e segno che paradossalmente la posizione della donna nella società più che dividere le civiltà le unisce in un sottile fil rouge ...