Femminile Plurale

 

Salvate dall'Europa ?


Sfogliate un giornale qualsiasi e contate quante volte bellissime donne dai corpi perfetti, spesso poco più che adolescenti, e quasi sempre in abiti succinti, sono utilizzate per pubblicizzare i prodotti più disparati, dalla pasta alla cucina, dalle automobili ai computer.
Camminate per strada in una qualsiasi città e anche se siete distratti il vostro occhio non potrà fare a meno di posarsi su gigantografie che pubblicizzano apertamente locali di lap dance con tanto di ragazze in pose pornografiche o che riproducono vecchissimi stereotipi come il binomio “donne e motori” (tra l'altro viva
l'originalità!)
Aprite Internet e mentre state semplicemente cercando di entrare nella vostra posta elettronica ecco di nuovo materializzarsi una donna in bikini che si propone per incontri, o che vuole raccontarvi le sue vacanze su spiagge tropicali.
E ovviamente accendete la televisione e contate quanti minuti, ma potrebbero essere secondi, dovete attendere perchè l'ennesima rappresentazione della donna oggetto si materializzi non solo nella pubblicità ma anche negli ormai innumerevoli programmi popolati da veline.
Contro tutto questo in patria non si odono voci, la televisione pubblica è da tempo a traino di quella privata che ha fatto dell'instupidimento del telespettatore uno dei suoi punti centrali di marketing, la politica ha ben altre faccende di cui si occuparsi, nemmeno la Chiesa cattolica ultimamente sempre così solerte a intervenire in ogni questione morale del paese, si preoccupa di lanciare moniti sulla dignità della persona e neppure sulla vecchia categoria della “pubblica decenza”.
A onor del vero bisognerebbe ricordare il lavoro importante delle tante commissioni pari opportunità, delle università e degli enti che promuovono studi di genere, ma ahimè la loro possibilità di incidere è ancora troppo debole. Quanto al ministero pari opportunità, soprassediamo, potrebbe essere in conflitto d'interessi.
Ma una soluzione forse c'è e viene dall'Europa. Guidata dall'eurodeputata svedese, Eva-Britt Svensson, che ha presentato una risoluzione sull'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini approvata qualche mese fa dall'europarlamento a ampia maggioranza.
Scrive la Svensson nella sua relazione che la pubblicità presenta messaggi discriminatori e/o degradanti basati sul genere e che questi devono essere combattuti con urgenza se si vuole veramente costruire una cultura dell'eguaglianza di genere. E come non potrebbe essere così vista la centralità della comunicazione nella costruzione della cultura, eppure pochi sembrano rendersene conto.
La risoluzione chiede che le istituzioni europee e gli Stati membri si adoperino attraverso l'approvazione di leggi e/o codici di condotta per combattere la presenza di stereotipi di genere nella pubblicità, ma anche su Internet, nei videogiochi, nei giocattoli e nei testi scolastici.
La relazione sottolinea come la pubblicità, che al tempo stesso riflette la cultura e contribuisce a crearla, sia attualmente un potente veicolo di stereotipi di genere e spesso lesiva della dignità delle donne ma anche di quella degli uomini. Le immagini stereotipate dei sessi sono poi particolarmente nocive per i bambini che
imparano imitando, mentre la rappresentazione irrealistica del corpo femminile contribuisce a aumentare nelle adolescenti problemi quali l'anoressia o la bulimia.
In concreto la risoluzione chiede agli Stati di realizzare campagne di sensibilizzazione sulle immagini degradanti della donna presenti nei media; istituire organi nazionali per il monitoraggio dei media, con una sezione dedicata alla parità di genere; eliminare immagini stereotipate e sessiste da videogiochi, testi scolastici e Internet; richiedere che i media non facciano ricorso a immagini di modelle troppo magre, ma scelgano rappresentazioni più realistiche del corpo delle donne.
Trattandosi di una risoluzione, quelle elaborate dalla Svensson sono per ora solo raccomandazioni, ma se ci fosse una volontà politica sufficiente potrebbero aprire la strada a una normativa vincolante per gli Stati membri, ad esempio una direttiva. Se questo avvenisse avrebbe una portata rivoluzionaria, forse più di molte leggi sulla parità, perchè la cultura, il sentire comune, si cambia proprio a partire dalla comunicazione.
Ciò che sorprende è come tale proposta sia stata così poco ripresa dalla stampa italiana e anzi in alcuni casi addirittura ridicolizzata. Si è evocato lo spettro di un «Grande Fratello» europeo delle pari opportunità che costringerà tutti a giocare, studiare o navigare in rete in modo politicamente corretto, e che ci priverà di quel
messaggio (fatto di sorridenti signorine della pubblicità che da mezzo secolo, ogni sera prima o dopo il tg, esultano per il bucato perfetto, il frigorifero senza difetti, i surgelati preferiti) probabilmente sessista, ma che è stato parte costitutiva della rinascita d'Europa dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale. (Tarquini) Certo le misure proposte dalla Svensson non sarebbero di facile applicazione e come tutte le censure sarebbe forse più piacevole non dovervi ricorrere, ma tra i due mali sembra evidente quale preferire. Anche perchè il dopoguerra è passato da un pezzo e quel modello già non esiste più nella realtà, nemmeno nella nostra Italia. E dopotutto credo che siamo sopravvissuti bene all'immagine di un uomo in cucina già da tempo presente nei cataloghi Ikea, visto il successo di questa catena di negozi, non a caso svedese....
Chiediamolo anzi a tutti i nostri europarlamentari di sostenere con forza questa risoluzione. Magari potrebbe anche aiutarci a elevare il livello della nostra televisione...
Erika Bernacchi