Femminile Plurale

 

Lauree e dintorni


Barbara Berlusconi, classe 1984, ha conseguito la laurea triennale in filosofia, con votazione 110 e lode e onore di stampa, presso l'Università privata san Raffaele a Segrate.
Alla cerimonia era presente il magnifico Rettore, don Verzè, il quale dopo le proclamazioni ha invitato la neo laureata a esprimere la propria opinione riguardo alla possibile apertura di una facoltà di economia presso quella Università e a voler far parte del corpo docente della stessa.
Se non fosse stato per la coraggiosa indignazione della professoressa Roberta De Monticelli, presente alla cerimonia, tutto ciò sarebbe passato sotto silenzio. Con la sua protesta la professoressa Monticelli intendeva dissociarsi dalle parole del Rettore e dalla logica che le sottende.
Alla lettera di denuncia di questo evento hanno risposto sia ufficialmente l'Università stessa, sia professori, tra cui Massimo Cacciari, con lettere ai giornali. La lettera di Cacciari metteva in evidenza che la figlia del premier era arrivata alla discussione della tesi con un punteggio già molto alto e che sarebbe stato ben bizzarro che non si fosse laureata col massimo dei voti; la presa di posizione dell'Università San Raffaele indica nella cura personale dell'Università da parte del rettore la sua propensione a reclutare i docenti proprio tra le fila degli studenti stessi. Ci si chiede comunque se a tutti i giovani che si laureano brillantemente, don Verzè richieda opinioni sull' apertura di nuove facoltà all'interno dell'Ateneo e se il sistema di reclutamento dei docenti non debba avvenire secondo un merito basato su logiche professionali oggettive quali ricerche, pubblicazioni, partecipazioni a convegni, e concorsi aperti a tutti coloro che vogliono provare a fare della ricerca il proprio lavoro.
Che le parole rivolte a Barbara Berlusconi da don Verzè fossero una captatio benevolentiae nei confronti dell'augusto genitore è parso evidente a tutti, d'altro canto è di poco successivo l'intervento, ancora di don Verzè, durante la cerimonia di consegna del neo costituito premio “Grande Milano” che definisce Berlusconi come uomo inviato dalla divina provvidenza per salvare il Paese (inutile, o forse ancora utile, ricordare che un altro personaggio fu definito “uomo della provvidenza” da un altro uomo di chiesa, quella volta un papa, e che quell'uomo provvidenziale è stato al potere un ventennio, con tutto quel che ciò ha comportato per il nostro paese).
In tutto questo ci si chiede quali siano i pensieri della neo laureata, se le parole del rettore le siano parse opportune o inopportune, se l'abbiano gratificata o offesa.
La laurea è un momento importante per ognuno, famiglie orgogliose circondano il neo dottore, è una gratificazione personale in cui si tirano le fila di anni di lavoro, e ci si congratula con se stessi per quello che si è fatto, o ci si rammarica per quello che non si è fatto abbastanza bene.
Che un momento così privato, così personale diventi un'occasione per la gestione di bieche logiche di potere, per ingraziarsi un finanziatore, per garantirsi l'Appoggio Politico, non può che danneggiare il neo laureato stesso. Danneggiarlo nel profondo del proprio essere, nella stima di sé, nella comprensione del senso che i propri sforzi valgono solo se coadiuvati da un cognome importante.
In maniera uguale e contraria, migliaia di neo laureati sanno così che, proprio perché non portano un cognome importante o perché le proprie famiglie non hanno potuto – o voluto – dar loro l'accesso a queste Università in cui in cui si auto coltivano i propri frutti, non avranno la possibilità reale di tentare una carriera universitaria. Probabilmente sono ragazzi meritevoli tanto quanto la signorina Berlusconi.
Certo la mancanza di senso del pudore con la quale don Verzè ha esplicitato i rapporti di forza e di sudditanza al potere, non fa che confermare quel che è evidente a tutti nella gestione delle Università italiane: non solo la figlia di Berlusconi, ma moltissimi – non tutti per fortuna - ricercatori, dottorandi di ricerca,
assegnisti e poi professori associati ed ordinari, sono ai loro posti solo perché hanno saputo piacere al “barone” giusto, perché si sono saputi vendere, perché sono serviti a ringraziare qualcuno o far dispetto ad altri. In altre parole molti sono dove sono non per meriti professionali.
Quante lettere ai giornali, quante testimonianze, quanti libri di ricercatori che sono dovuti fuggire all'estero per poter svolgere la propria professione dovremo ancora leggere e ascoltare prima di indignarci anche noi per come funziona l'Università italiana? Quel che avviene all'interno dell'Università italiana non è diverso da quel che avviene in tutti gli altri ambiti lavorativi, i figli di notaio diventano notai, i figli di medico entrano a medicina, e via dicendo per farmacisti, avvocati, commercialisti, dentisti, politici, giornalisti, pubblici amministratori, in tutti quegli orti grassi dove inserirsi ex novo è assai arduo.
Il sistema delle raccomandazioni che in altri paesi significa assunzione di responsabilità da parte di un esperto nel settore per segnalare una persona particolarmente meritevole, in Italia non è quasi mai garanzia di buoni risultati professionali: il figlio di Tizio, la nuora di Caio vanno “sistemati” in barba alle loro reali competenze e in barba all'utilità dell'ente in cui vengono assunti. E allora si comprende come la ineffabile battuta di Berlusconi alla giovane disoccupata: “lei è una bella figliola, dovrebbe sposare un miliardario”, mentre lascia inorriditi e scandalizzati alcuni, per altri diventa un buon suggerimento per sistemare se stessi e famiglia in eterno.
Questo sistema non è stato inventato da Berlusconi certamente, lui ha saputo però insinuarsi e portarlo a perfezione. Al punto che alla propria stessa figlia, nel momento della laurea, una laurea ben meritata come ci ha ricordato il professor Cacciari, il magnifico rettore non trovi nulla di meglio per elogiarla che offrirle, fuori tempo, fuori luogo, senza nessun appiglio formale, qualcosa che lei forse desidera o forse no. Lasciandole per sempre il dubbio di non valere null'altro oltre il proprio cognome.


Silvia Cutaia