Femminile Plurale
Se la velina si ribella
Certamente dalle lotte del femminismo ad oggi i tempi sono cambiati, e con essi anche la situazione contingente.
Noi donne non dobbiamo più lottare per vedere riconosciute le tanto decantate Pari Opportunità; finalmente esistono!
Almeno formalmente.
Già. qualcosa dev'essere andato storto; perché, se davvero le donne italiane potessero godere dei frutti delle loro lotte, non si spiegherebbe il pullulare di organismi a tutela delle pari opportunità di genere, il cui lavoro risulta ahimè necessario.
Cosa non ha funzionato, allora?
Non ho né gli strumenti né la memoria storica per poter fare un'analisi approfondita di ciò che poteva essere e non è stato e perché; quel che è certo è che nel giro di una decade dopo l'acme di tutto ciò che è stato archiviato sotto la voce “femminismo”, si è andato ad affermare quello che si pone sempre più come un nuovo tipo umano: la famigerata “velina”.
Io e le mie coetanee (circa la stessa età dell'erede più fortunata di Tele Milano ) siamo cresciute con questo modello; per noi è normale, c'è sempre stato, nel bene o nel male ci conviviamo e ci confrontiamo ogni giorno con esso. Ciò non significa che questo sia assurto a nostro modello di vita.
Tutt'altro: quello della velina è semplicemente il modello che viene propugnato nella maniera più prepotente che esista, e ciò dà adito ad un'impropria equazione a cui siamo forzatamente sottoposte.
In questo contesto di superficialità strillata sembra non esserci posto per quelle che sono altre proposte di femminilità, altri modi di esser donna, a cui si ispira la stragrande maggioranza delle ragazze; così accade che bisogna arrivare fino al “Newsweek” per poter leggere un articolo a sostegno e celebrazione di tutte quelle donne, italianissime, che hanno regalato qualcosa al mondo intero: da Margherita Hack a Rita Levi Montalcini, passando per Anna Magnani (e quanti hanno mai sentito parlare di Artemisia Gentileschi?).
E non è che noi ragazze non ne siamo consapevoli, sebbene in Italia faccia più scalpore una coscia scoperta che non l'exploit di iscrizioni “rosa” alle facoltà scientifiche. Forse il nostro problema più grande è che noi siamo troppo proiettate nel futuro.
In che senso?
Come le nostre coetanee di quarant'anni fa siamo, per dirla con Fruttero, donne informate sui fatti; siamo spesso attiviste, riusciamo negli studi anche in quegli ambiti a tradizionale appannaggio maschile, sogniamo di realizzarci come persone prima ancora che come donne, perché le due cose sono dopotutto inscindibili.
E' come se non avvertissimo immediatamente il problema delle differenze di genere, nonostante magari le frequenti battute degli amici maschi, che tra un broncio e una risata a denti stretti giustifichiamo come un atto di goliardia.
Poi però arriva il momento di buttarsi nel mondo del lavoro, e allora capisci che effettivamente c'è qualcosa che non quadra, se per essere assunta devo giurare e spergiurare che no, non ho assolutamente intenzione di avere dei figli, e devo accontentarmi del semplice prestigio personale derivante da una promozione ottenuta faticosamente, visto che la mia retribuzione rimarrà sempre inferiore a quella del mio collega maschio.
Siamo vittime della società? Dell'utilitarismo? O , semplicemente, dei pregiudizi?
Certo è però che il problema in sé per sé non è rappresentato dal velinismo. Dopotutto, se ci pensiamo, questo è un fenomeno facilmente declinabile al maschile (chi non ha mai detto, riferendosi ad un palestrato depilato e vestito all'ultima moda, “quello è un tronista”? ). Il problema vero è che il cosiddetto velinismo è solo la punta di un iceberg, l'espressione più superficiale di un'impostazione culturale retrograda che costringe noi ventenni occidentali, ma in fondo tutte le donne di qualsiasi età, a misurarsi con problemi vecchi (diritto all'autodeterminazione della donna) e nuovi, legati perlopiù all'inserimento nella società.
Si può dire che la nostra generazione sia vittima di un grande paradosso: siamo circondate da una galoppante tendenza alla demolizione della figura femminile, ma non la combattiamo, nonostante la condanniamo e anzi, ne siamo disgustate. E' che siamo esasperate da mille altri problemi; o forse, siamo semplicemente più individualiste: cioè, a me basta sapere di avere dei progetti più o meno seri nella vita, di essere apprezzata per doti che vanno al di là dell'aspetto fisico, cioè mi basta sapere di non essere una velina e tutto il resto va bene.
Ma allora, perché non siamo in grado di arrabbiarci?
Probabilmente dovremmo ritrovare l'idea del gruppo, della collettività e della potenza delle idee condivise.
Recuperare l'esempio delle nostre mamme, probabilmente recuperare anche alcune delle loro lotte, senza sfociare in un ridicolo quanto anacronistico veterofemminismo, ma avendo la capacità di riadattarle ai nostri tempi.
Bisogna rendersi conto che il velinismo non è solo quello delle minigonne inguinali e degli scandali di Arcore, ma è tutto quel complesso di atteggiamenti e attitudini culturali che segrega la donna e la limita nella sua essenza e nella sua espressività.
E' questo che dobbiamo combattere, e tutte ne siamo consapevoli. Non resta che guardarci negli occhi e parlarne. Insieme.
Federica Epifani