Femminile Plurale
Lettera aperta
Ho bisogno di condividere con qualcuno la rabbia e il senso di schifo che provo in questo momento, perché ormai sta degenerando in un malessere generale e devastante; di quelli che, giorno dopo giorno, in maniera subdola e insistente, ti logorano l’esistenza in uno stillicidio di cattiveria gratuita.
Ma quando penso a chi potrebbe essere il destinatario (o i destinatari) di questo mio sfogo, vengo assalita dai dubbi.
Vediamo un po’…
Potrei rivolgermi al signor Berlusconi, degenere immagine di un’Italia che sembra esser costretta a sputar via le sue speranze; potrei rivolgermi a lui e vomitargli addosso tutto il mio sdegno, spinta dall’irrealizzabile desiderio di vederlo corroso da un senso di responsabilità che no, proprio non lo tange. No, sarebbe troppo facile ed anche piuttosto inutile; non lo capirebbe, proprio non ce la fa, e tra l’altro quel briciolo di dignità che ancora posso conservare in quanto essere umano (anche come donna, nonostante il signor B. non possa concepire qualcosa di simile) mi impedisce di perder tempo in un lavoro di Sisifo.
Potrei allora rivolgermi alle istituzioni: esse mi rappresentano in quanto cittadina, e in quanto cittadina ho diritto a che le mie istanze possano quantomeno essere discusse; ma le istituzioni in questo momento sono oberate da una pletora di problemi legati alla situazione contingente: c’è la crisi da arginare, il federalismo da approvare e un premier da salvare, non c’è tempo per la questione morale! Anzi, secondo alcuni dei miei rappresentanti non c’è nessuna questione morale; addirittura c’è chi afferma, in barba a secoli di riflessioni sul tema, che la questione morale non sia un problema politico.
Potrei rivolgermi a Ruby-Karima (e alle altre di Arcore), farle notare che non è necessario prostituirsi fisicamente e moralmente per superare una situazione difficile; ma lei, che è molto intelligente, con un’alzata di spalle mi risponderebbe che non ne guadagnerebbe nulla, perché tanto lo fanno tutti, è così che bisogna fare se si vuole andare avanti nella vita; e poi a questo punto dovrei nuovamente rivolgermi al signor Berlusconi e spendermi nel vano tentativo di fargli capire che è ripugnante l’abusare di persone in condizioni di disagio, che questo è lo stesso meccanismo utilizzato dalla mafia per assoldare manovali.
E vorrei gridare alla Minetti che, se c’è qualcosa che ho imparato in quattro anni di scienze politiche, è che fare pompini e mostrare tette e culo non sono attività legate alla militanza politica. Ma i fatti mi smentiscono, mandandomi anche un po’ in crisi sul mio futuro, io che, povera illusa, ho sempre pensato che la politica fosse passione per un ideale e non parteggiare per i Duran Duran piuttosto che per gli Spandau Ballet perché Simon Le Bon è più figo (Pascale docet).
Proverei a chiedere aiuto alla società civile, perlomeno un supporto morale per non sentirmi sola; credo che cercherei un confronto con gli uomini e soprattutto coi ragazzi, mi piacerebbe sapere se è davvero questa la concezione che hanno della donna, se si rendono conto di essere vittima e fautori allo stesso tempo di un dilagante sessismo insito ormai nella nostra società; non posso, non voglio credere che siano tutti come i loro coetanei intervistati dai talk-show che prendono ad esempio di vita non un grande scienziato o un bravo musicista, ma uno che a 70 anni suonati ama vantarsi delle sue presunte qualità da latin lover senza rendersi conto che, prima ancora di usare, è usato egli stesso. Quasi rimpiango i tempi in cui il modello dominante era quello del calciatore.
E mi rivolgerei alle donne, mi scioglierei in un disperato appello all’unità.
Le donne schifate da tutto questo, le implorerei di uscire dalle loro torri d’avorio, di finirla di rifugiarsi nelle loro dignità ferite per provare a rovesciare l’infame tendenza all’indifferenza che ci sta soffocando irrimediabilmente.
Mi rivolgerei anche a tutte le donne che tutto questo disagio non lo avvertono, che magari mi prenderebbero per pazza; proverei a spiegar loro per quale motivo mi indigna e mi offende uno che, eletto Presidente del Consiglio, osa denigrare il lavoro delle ministre del governo da lui presieduto affermando pubblicamente che
le donne, a differenza degli uomini, non sono poi tanto tagliate per la politica perché poco avvezze al compromesso (su quali basi poi?); e alle ministre e alle parlamentari rivolgo la preghiera di agire e di reagire, di fare blocco unico contro questa becera convinzione.
Vorrei parlare con le donne più mature, confrontare i miei sogni e le mie aspettative con quelle che loro avevano alla mia età, e scoprire che in fondo abbiamo tutte quel senso di rifiuto nei confronti di tutti quei retaggi storici e culturali che ci segregano all’ombra di un uomo; vorrei parlare con le femministe del Sessantotto, domandare loro cosa le spingeva in piazza e se sono ancora capaci di indignarsi, e se ne hanno voglia.
Vorrei parlare anche con donne di altri paesi, capire cosa pensano di noi e cosa farebbero se una situazione simile si presentasse a casa loro.
Vorrei parlare con tutte le italiane,perché ho una grande domanda esistenziale che mi perseguita:
PERCHE’ NON CI ARRABBIAMO?
orrei, vorrei parlare con tutti, perché non è possibile che si possa arrivare ad una tale umiliazione della dignità morale di una nazione nella più totale noncuranza mista a senso d’impotenza.
Vorrei che qualcuno mi ascoltasse, ma non ho la potenza mediatica del signor Berlusconi, perciò non mi prefiggo certo di plasmare le coscienze (oltretutto sarebbe contro i miei principi); quindi mi affido alla rete, che è di tutti, sperando che questo sassolino che lancio possa crepare qualche vetro. E chissà, magari qualcuno mi risponderà.
Federica Epifani