Femminile Plurale
Milano, un anno dopo
La primavera 2011 rimarrà nella storia di Milano per l'incredibile partecipazione dei cittadini all'elezione, dopo 18 anni di governi di destra, di Giuliano Pisapia a sindaco della città.
Ho utilizzato l'aggettivo “incredibile” perché difficilmente si riuscirà a comprendere quanto variegato fosse il popolo arancione. Ex sessantottini, giovani precari, ma soprattutto una grandissima quantità di persone normali, senza passati di attivismo politico, con vite normali, borghesi, con la casa di proprietà, con una buona formazione scolastica, molti anche tendenzialmente conservatori.
Durante quella meravigliosa primavera ho assistito a molti incontri, molti dibattiti, molte iniziative, tavole rotonde. Ne ricordo una in particolare, al circolo della stampa, cui partecipavano, con Pisapia, il city manager di Torino, e i sindaci di Venezia e Lecco.
Gli interventi dei due sindaci hanno avuto un approccio diverso rispetto a quello del city manager, la cosa che più mi aveva colpita era che entrambi indicavano in un errore di valutazione della destra rispetto ai propri elettori, buona parte delle proprie vittorie. A Lecco il candidato della destra era Castelli, a Venezia Brunetta.
Forse la protervia di considerare la vittoria certa, forse la distanza dai cittadini, forse il dubbio che, visti i ruoli istituzionali, non avrebbero poi svolto il lavoro di sindaco, forse altre ragioni ancora, o forse, meglio, un ricco miscuglio di tutto ciò, han fatto sì che molti elettori di destra avessero disertato le elezioni, e che molti altri avessero destinato il proprio voto al candidato di sinistra.
Quindi, uscendo da quell'incontro, il mio pensiero è stato: non è stata la sinistra a vincere, ma piuttosto la destra a perdere.
E non volevo che, a Milano, potesse verificarsi una circostanza analoga (senza contare che Pisapia è stato dato per perdente per mesi).
Anche a Milano in parte ha perso la destra: le lotte intestine al PdL, gli scontri con la Lega – è rimasta storica una battuta di Bossi che quasi costretto a partecipare a un comizio al fianco della Moratti, arrivò con un congruo ritardo, e quando intervenì la prima cosa che disse fu: sono arrivato in ritardo perché Milano è piena di buche! – , la Moratti candidata sindaco fra mille dubbi del suo stesso partito.
Ma, a Milano, ha vinto Pisapia e, con lui, un modo nuovo, o forse antico, di vivere la città.
La città era in fermento, centinaia di iniziative, persone che giravano in bicicletta con nastri arancioni, gazebo di volontari che ogni giorno volantinavano, persone che, uscite dall'ufficio, andavano direttamente in piazza a parlare coi passanti.
In fila per comprare il biglietto del cinema ho sentito ragazzi, normali comitive da sabato pomeriggio, che parlavano delle elezioni.
Si è riparlato di Politica.
La novità è questa, in una Milano dove si era spenta qualsiasi fiammella di interesse civico, finalmente era tornata l'idea, e con l'idea, il sentimento, che ciascuno di noi poteva far qualcosa, che non siamo tutti uguali, che non tutti i politici rubano, che occupare due ore a settimana – tra la spesa, i colloqui con gli insegnanti dei figli, le visite mediche, e un cinema – per andare a sentire cosa propone un candidato sindaco sulle piste ciclabili, sul traffico, sull'uso delle biblioteche rionali, sulla gestione dei mercati comunali, sui rom, gli extracomunitari, sul diritto di culto per i non cattolici, insomma per la vita della città che è vita nostra, è interessante, importante, e che fa la differenza esserci attivamente.
In effetti il programma di Pisapia è stato strutturato anche sul lavoro uscito dalle Officine per la città, veri laboratori di democrazia, si è lavorato per temi, si sono formulate proposte, si sono evidenziate le cose che non andavano e come migliorarle, le criticità nei quartieri.
E da quelle officine è nato un movimento che, a elezioni finite – e vinte – continua a lavorare.
Come? Nelle 9 zone di Milano, ciascun comitato x milano lavora sui temi nevralgici della zona, anche in base agli interessi e alle competenze dei partecipanti. I comitati si riuniscono, attraverso i loro coordinatori, per fare il punto dei lavori, per vedere se si riescono a unire le forze. Ogni comitato è autonomo, ma mette a disposizione il lavoro fatto, le competenze acquisite, fa il punto delle relazioni con i Consigli di zona, gli organi politici cui si presentano le iniziative e le proposte.
Il cammino è lungo, e non porta in altro luogo che a un coinvolgimento dei cittadini nel pensare la città, nel chiedersi come la vorrebbero, come potrebbe essere più funzionale a chi la abita, più sicura, e, termine che fa da collettore al nostro sentire, più gioiosa.
Non so se – come sancisce la Costituzione americana – ogni cittadino avrà diritto alla felicità, ma tentare di perseguirla per tutti – sostenendo una vita cittadina migliore e partecipata - è, per i comitati, un obiettivo concreto.
Silvia Cutaia