Renzi e la corazzata Potemkin
Non ce l’abbiamo col segretario del PD, e nemmeno con Sergej Eizenstein, autore di quel grande film che è “La corazzata Potemkin”. Ma parlando di legge elettorale e di riforme costituzionali, è impossibile non fare riferimento all’epopea tragicomica del ragionier Ugo Fantozzi.
Nel nostro caso, il direttore megagalattico è collettivo, e si chiama classe politica, o classe dirigente, o establishment o élite o casta. Insomma, tutti quelli che contano, che hanno voce in capitolo e mani in pasta.
Dall’altra parte ci siamo noi che, come il povero Fantozzi e i suoi colleghi, siamo costretti a rivedere lo stesso film noiosissimo e falsissimo che si intitola “Riforme istituzionali con riforma della legge elettorale”. E come gli impiegati dovevano per forza esprimersi sull’importanza del “montaggio analogico” del film, o sullo “sguardo della madre”, noi dovremmo concentrare attenzione e dibattito su doppi turni, premi di maggioranza, soglie di sbarramento, collegi, coalizioni, ballottaggi, liste bloccate, con primarie o senza, con tre blocchi o cinque partiti, uninominale secco e proporzionale puro.
Dovremmo invece alzarci e urlare: “la storia della riforma istituzionale e della nuova legge elettorale è una BOIATA PAZZESCA”. O meglio: è un’arma di distrazione di massa.
Il bello è che tutti dicono di farlo “per l’interesse del Paese”. E sono pronti a parlare di ciò che vogliono gli italiani, citando perfino i referendum passati.
Si sono già dimenticati il messaggio inequivocabile del referendum del 2006 (vedi “Indietro Savoia” in archivio).
Era proprio l’estate dei mondiali, il giorno degli ottavi, di Italia-Australia . C’era da accettare o meno la riforma costituzionale approvata di forza in Parlamento (tenetelo presente) dal centrodestra che godeva di una solidissima maggioranza (tenete presente anche questo). Con lo specchietto delle allodole della riduzione dei parlamentari e del cambiamento del Senato, volevano fare passare un presidenzialismo cucito addosso a Berlusconi e un federalismo d’accatto modellato sull’egoismo e sull’ignoranza della Lega.
Gli italiani veri (non quelli dei sondaggi) votarono un NO grosso come una casa, con percentuali del 90 per cento, e raggiungendo anche il quorum di partecipazione che non era obbligatorio, trattandosi di referendum su una riforma costituzionale che non aveva nemmeno provato a raggiungere i due terzi dei voti in Parlamento.
Il messaggio del popolo era stato chiarissimo: “giù le mani dalla Costituzione”.
Ora andrebbe detto con un po’ più di schiettezza, perché siamo nell’era del populismo: “Riforme? Ma riformatevi l’anima e il cervello, se ancora ne avete un po’”. E forse ancora non basta, perché sono veramente sordi su questo tema. Certo che anche noi, a forza di sentire sempre le stesse cose, ci siamo adeguati, in modo fantozziano.
Invece, come Fantozzi, dovremmo ribellarci, e costringerli (costringerci?) a guardare per due giorni di fila, invece che “Giovannona coscialunga” e “L’Esorciccio”, film come “Diaz” o come “Mare chiuso”, così poi vediamo chi si azzarda a parlare ancora di riforme istituzionali.
Partiamo dalla madre di tutte le battaglie: la legge elettorale. Smontiamo pezzo per pezzo tutti gli argomenti che ci vengono propinati quasi senza soluzione di continuità da circa trent’anni.
In principio furono i referendum di Mario Segni, che abolirono a furor di popolo il sistema proporzionale nel 1993. Da allora, viviamo il mito del maggioritario, il più amato dagli italiani.
Nessuno cerca mai di ricordare in quale contesto nacque quella scelta di popolo. Era, ancora e sempre, una scelta dettata dall’esasperazione, il tentativo di smuovere una democrazia rimasta bloccata sui governi DC e alleati per quasi 50 anni !).
Ma da quel tentativo nacque purtroppo non l’alternanza, cioè il governo della sinistra dopo mezzo secolo di opposizione, ma l’egemonia di Berlusconi (che proprio in questi giorni “festeggia” il ventennio).
I proporzionalisti puri (per lo più dell’ultrasinistra) sembravano sostenere che fosse proprio “a causa” del maggioritario che era nato il regime del magico Silvio. E’ un po’ come dire che il fascismo nacque per colpa della (vergognosa) legge elettorale Acerbo, quella delle ultime elezioni “libere” (1924) , denunciate come truffaldine da Giacomo Matteotti.
In ogni caso, qualunque siano state le conseguenze, l’Italia ha ampiamente sperimentato il maggioritario, e col “Porcellum” anche l’iper-maggioritaro. Perseverare sarebbe diabolico.
Come se il problema dell’Italia fosse la stabilità, la governabilità., i piccoli partiti.
Abbiamo avuto periodi di stabilità totale, anni di maggioranze schiaccianti.
Vogliamo ricordare il governo Berlusconi 2001-2006, che stracciò ogni record di longevità? Vogliamo ricordare (era ieri l’altro) le leggi spropositate (basterebbe citare il Lodo Alfano, cioè la proposta di impunità totale delle alte cariche mentre sono al potere) approvate nel giro di qualche settimana, nonostante il presunto handicap del “bicameralismo perfetto”?
La vogliamo fare finalmente una prima operazione di verità su questi decenni disgraziati?
Tutto ciò che non è stato realizzato (un elenco incredibile, dalla legge sul conflitto di interessi all’introduzione del reato di tortura, dalla legge Amato-Ferrero che doveva sostituire la famigerata Bossi-Fini sull’immigrazione alla legge anticorruzione) non lo è stato solo ed esclusivamente perché mancava la volontà di farlo. Perché, per un motivo o per un altro, si riteneva più “conveniente” lasciare le cose come stavano. Le lentezze del “bicameralismo perfetto” non c’entrano niente, se si vogliono sveltire le procedure basta cambiare i regolamenti, o limitare le leggi che debbono essere sottoposte al vaglio del Senato. Non occorre nessuna Grande Riforma, per cominciare ad attaccare i tanti mostri burocratici creati dalla Seconda Repubblica (a partire dalle Authority).
E non occorre nemmeno, lo diciamo con enfasi liberatoria (e provocatoria) una nuova legge elettorale, perché il Porcellum, semplicemente, non c’è più.
Si può tranquillamente andare a votare anche domani, con il proporzionale puro e le preferenze. Tanto non si sfugge alla necessità di formare alleanze. E non si sfugge alla necessità di trovare un qualche forma di accordo, lo ripetiamo, fra PD, SEL e M5S.
Renzi si deve rassegnare: nessun trucco magico, nemmeno questo penoso “Italicum” impostato insieme a Berlusconi, gli garantirà mai di comandare il paese; anche perché si tratta di governarlo, il paese, con tutte le fatiche che comporta. Prima se ne rende conto e meglio è. Altrimenti ci penseranno i fatti a ricordarglielo.
Una volta attestato che è inutile barare al tavolo della democrazia, e che , con tutti i suoi limiti, il proporzionale puro con le preferenze è il sistema più onesto e trasparente che c’è, forse si capiranno un altro paio di cose importanti.
Intanto che non occorre tenersi questo governo indefinibile, e questo presidente della Repubblica, che ha già esaurito la sua missione (inesistente, per la verità,a parte tenere in vita l’ancien régime)
E poi che non occorre andare a votare, visto che lo abbiamo fatto solo undici mesi fa e visto che sono già stati lasciati a casa due terzi dei vecchi parlamentari, con notevole svecchiamento (a proposito di battaglie generazionali) e riequilibrio dei generi (non siamo più il parlamento più maschile d’Europa).
Vogliamo riprendere un classico slogan populista di questi tempi? Costringiamoli a lavorare. Spingiamo quelli che già ci sono a farle davvero, le leggi giuste, senza stare a tergiversare.
Renzi dovrebbe intanto guidare il partito, se ne è capace. Provare a dargli un vero profilo europeo, ché le elezioni già incombono. Troppo facile pensare di vincere nella Terra dei cachi contro il fantasma di Berlusconi. Che si dimostri un leader vero riuscendo là dove è fallito Bersani (nel formare una nuova maggioranza con l’appoggio del M5S). Che freni un po’ (solo un po’) le ambizioni personali, facendo vedere se è capace di sostenere e stimolare un governo che non sia quello delle vergognose larghe intese e che non sia il suo personale .Per esempio un governo Barca, con il meglio dei “renziani”, del resto del PD, di SEL, del M5S e della società civile.: di nomi ne possiamo suggerire una quantità .
Inizi una vera battaglia politica, ché sui temi c’è solo l’imbarazzo della scelta. E se in realtà di vere idee non ne ha, o ne ha pochissime, come abbiamo sempre sospettato, nel cono d’ombra ci finirà da solo, come pensiamo, soprattutto se una sinistra degna di questo nome, a partire da SEL, la smette di farsi imporre l’agenda (che non è manco un’agendina) e si mette a discutere di cose serie. Altro che “Italicum”.
Cesare Sangalli