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Non è mai troppo tardi


Alla fine, abbiamo optato per il titolo più positivo, in omaggio al messaggio del maestro Alberto Manzi, riportato in auge dal grande successo dello sceneggiato televisivo. E’ stato preferito a “Renzi, la gatta furiosa fece i gattini ciechi”, che poteva diventare addirittura “I palloni gonfiati rotolano meglio”, sempre dedicato al sindaco di Firenze.
Si poteva optare anche per “La penultima spiaggia”, ironizzando sul clima “western” (cioè finto epico) che si è creato intorno al nuovo vecchio governo. Qualcosa tipo “qui si fa l’Italia o si muore”, o più banalmente “o la va o la spacca”. Tutta retorica. Renzi sta solo allungando la fase di transizione, che dura dalle dimissioni di Berlusconi (novembre 2011).
L’unica vera occasione di cambiamento c’è stata l’anno scorso ad aprile, ed è stata sprecata ignobilmente: Bersani avrebbe dovuto far convergere il PD su Rodotà come presidente della Repubblica, e votarlo insieme al Movimento 5 stelle, a costo di incassare uno stuolo di franchi tiratori.
Ci voleva un po’ di coraggio, Bersani non l’ha avuto, anche perché era troppo compromesso con il passato (vedi scandalosa vicenda Penati in questi giorni).
Si era già giocato la faccia quando si è presentato col nome di Marini, vecchio arnese democristiano della prima Repubblica gradito a Berlusconi.
Il giorno dopo si è giocato anche la carriera (e una bella fetta di salute), cercando di mettere una toppa col nome di Prodi, e subendo la clamorosa bocciatura dei suoi.
Per non essere capace di fare un passo avanti, l’Italia ne ha fatto uno indietro, tornando penosamente a Giorgio Napolitano.
Siamo fermi alla fine del 2011. A dicembre saranno tre anni. E magari potessimo dire che sono bastati, tre anni di transizione, per cominciare veramente a cambiare. Uno ci spera sempre, ma è probabile che ce ne vorranno di più. Perché Renzi minaccia di allungare l’autunno dell’establishment, anche se ha assolto alla prima delle tre condizioni per poter avviare il cambiamento (vedi “DecaDance”, novembre 2013) : mandare a casa il governo Letta.
Le altre due erano e restano : mandare in pensione Napolitano (forse ci siamo un po’ più vicini) e mandare in galera Berlusconi (idem).
Questo per arrivare ad un cambio di maggioranza (PS-SEL-M5S), possibilmente con Fabrizio Barca premier. Certe svolte non hanno prezzo. Per tutto il resto c’è Renzi, parafrasando in senso ironico una famosa pubblicità.
Fuori di metafora: Grillo e Renzi , il brutto e il buono del film citato nel pezzo “L’anno che verrà”, non saranno i due geni che fanno fuori il pollo Berlusconi, a scapito del compare Letta, come auspicavamo senza crederci troppo.
Però il film del loro duello potrebbe anche concludersi, a fine 2014 o l’anno prossimo, con la reciproca dissolvenza, e sarebbe un gran bene per l’Italia.
Sarebbe fantastico poter rivedere fra un po’ di tempo la diretta streaming dei due e concludere che l’Italia è guarita dalla sindrome del leader, cioè è uscita definitivamente dal berlusconismo, dal pensiero televisivo. Che è uscita dall’analfabetismo politico (e non solo) di ritorno, che è tornata allo spirito del maestro Manzi, di don Milani, di La Pira, citato a casaccio dal Matteo nazionale.
Ritorniamo al suo governo. Abbiamo già detto in apertura che la novità è solo presunta.
Le nomine dei ministri e ancor più quelle dei sottosegretari hanno rivelato una volta di più la natura eminentemente gattopardesca del nuovo che avanza,e cioè “cambiare tutto perché tutto rimanga uguale”.
Un po’ di volti giovani, tante donne, un bello spot. Questo per i ministri. Con i sottosegretari invece siamo tornati all’antico: alle vecchie conoscenze, ai riciclati, agli squali, alla gente come Gentile, capace di chiudere un quotidiano perché parlava delle vicende poco pulite del figlio. Nomine calibrate col bilancino, nel vecchio stile democristiano.
Attenzione, però: sono gattopardi anche quelli che criticano ma non troppo, quelli che sembrano prendere le distanze, che attendono Renzi al varco (le Tv nazionali – cioè il mostro Raiset – e i principali quotidiani ). Hanno già allestito la trama della telenovela prossima ventura (bello sforzo, è la stessa in onda da anni): si parlerà solo di economia e di riforme istituzionali.
Primo copione, l’economia: Renzi si sparerà un po’ di decreti legge (il primo dovrebbe essere il famoso “Job acts”), di non immediata comprensione, come si lancia uno spot pubblicitario. Seguiranno polemiche sulle coperture finanziarie, con i consueti trucchi contabili, accuse e smentite, il consueto polverone mediatico (trasmissione perfetta: “Ballarò”), e qualche politico che ricorderà che “gli italiani non arrivano a fine mese” e “gli imprenditori si suicidano” e “i giovani non hanno speranza”.
Secondo copione, il peggiore, quello delle riforme istituzionali: per provocazione, ci rifiutiamo di commentarle fin d’ora. Impegno solenne su questa rubrica: non leggerete una sola parola su legge elettorale, abolizione del Senato e altre menate, fino alla fine dell’anno.
Economia (così come se ne parla) e riforme istituzionali non sono i nostri temi, sono i LORO.
Per essere più chiari, facciamo un esempio: non si dovrebbe accettare nessun dibattito sull’economia se prima l’interlocutore non prende una posizione esplicita sul TAV Torino- Lione. Perché non serve a niente e costa 26 miliardi (come ha scritto l’inviato del settimanale francese “Les Echos” su “Internazionale”). E magari già che ci siamo, si chiede anche quanto c’è costato il bluff del Ponte di Messina, e se per caso lo stiamo ancora pagando (non sorprenderebbe).
Ancora. Non si dovrebbe accettare nessun dibattito sulle riforme istituzionali se prima non si chiarisce perché non c’è ancora una legge sul conflitto di interesse (vero signora Guidi, ministro allo Sviluppo e infrastrutture, che ricorda così tanto il vecchio Lunardi ?) , o perché nemmeno si ipotizza la riforma televisiva, cioè la fine del mostro a sei teste (vedi “Pali, paletti e palinsesti” o “Specchio delle mie brame” in archivio), che è il vero Moloch della conservazione in Italia, e che sta festeggiando i 30 anni (!).
Insomma, se non si fosse ancora capito, la considerazione che abbiamo di Renzi è così bassa, ma così bassa, che siamo disposti a spargerci di cenere sul capo se solo riuscirà ad approvare una sola legge, un solo provvedimento di quelli che ci stanno a cuore, di quelli che non serve lo specialista per spiegarti di cosa si tratta: ci accontentiamo anche (pensa che scommessa al ribasso) dell’unica questione di principio su cui il sindaco di Firenze si è (un po’) sbilanciato: l’introduzione dello “ius soli”, il diritto di cittadinanza a chi nasce in Italia, perfino se fosse condizionato ad un lungo periodo di residenza dei genitori.
Ci sentiamo un po’come Nanni Moretti con D’Alema. E siamo talmente critici su questo governo che non chiediamo, per quest’unico provvedimento di principio o un altro a scelta di lorsignori, soprattutto se A COSTO ZERO (fra i tanti: abolizione della Bossi-Fini, reintroduzione del falso in bilancio, abolizione del dimezzamento della prescrizione, introduzione del reato di tortura, matrimonio gay, fine del programma degli F35, legge sull’acqua bene comune, legalizzazione della cannabis, abolizione del numero chiuso all’università, innalzamento dell’istruzione obbligatoria a 18 anni,…) che venga realizzato nei tempi della turbo-politica promessi da Renzi, cioè una riforma universale al mese. Ci accontenteremmo di vederne uno, uno solo, entro la fine di maggio.
Perché poi ci sono le elezioni europee, e i voti si conteranno sul serio. Vediamo quanto ne prende, intanto, il PDL con Berlusconi ai servizi sociali o ai domiciliari (molto meglio in galera, speriamo che per maggio sia già arrivata una delle prossime condanne, mentre aspettiamo in gloria quella definitiva per mafia di Dell’Utri). Vediamo quanti ne prende il PD di Renzi (che almeno è entrato ufficialmente nel PSE, fine della disputa bizantina sulla collocazione europea, con buona pace degli ex-democristiani). Vediamo infine se la vera novità e la vera speranza, la lista Tsipras, saprà coinvolgere il M5S, dopo aver trascinato SEL e ciò che resta della sinistra tutta; o, in caso contrario prendere un bel po’ di voti grillini. Sono i famosi cento giorni. Quelli che portarono Napoleone scappato dall’Elba alla sconfitta di Waterloo. Una splendida metafora, non solo per Renzi.
Cesare Sangalli