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Hasta siempre, papa Francisco


Ma perché un titolo in spagnolo? Perché è la lingua di papa Bergoglio, innanzi tutto.
Perché è una lingua che sa accendere il cuore. E infine perché, diciamocelo, il periodo che stiamo vivendo in Italia è così mediocre, così insipido, così vigliacco, in fin dei conti, che viene voglia di alzare lo sguardo su altri orizzonti. Lo sguardo del sud del mondo che papa Francesco porta con sé, primo vero leader spirituale del secolo appena iniziato. La politica è rimasta indietro, arranca, non sa né voltarsi indietro, né guardare avanti.
Per questo quando lo sguardo del papa si posa sull’Italia, torna l’essenzialità, la limpidezza. Ti fa capire quanto si è appannato il nostro, di sguardo, nel frattempo (e nell’appannamento ci vanno di diritto gli otto anni di Ratzinger, che per “altrevoci” è l’ultimo papa del Ventesimo Secolo).
La prima visita del papa, la prima uscita mondiale a Lampedusa, a piangere i fratelli migranti annegati due volte, nel mare e nel cinismo, è stato già un sasso nello stagno.
Un richiamo che da solo fa girare il vento sul tema dell’immigrazione: adesso si comincia a capire che razza di vergogna sia il reato di clandestinità, un reato di “status”, commesso anche da chi non ha fatto altro che vivere (magari dopo che il permesso di soggiorno non gli è stato rinnovato). E per la prima volta qualcuno ha detto, e scritto, che la Bossi-Fini va abolita, e Beppe Grillo è stato clamorosamente sbugiardato dai suoi, sia in Parlamento che sulla rete, proprio sul tema degli extracomunitari, sul reato di clandestinità.
Non solo richiami forti, comunque: papa Francesco sa prendere decisioni operative, politiche: manda a casa l’eminenza grigia, Tarcisio Bertone, un pezzo da novanta (segretario di Stato vaticano), un architrave dell’establishment di questi anni.
Se uno pensa alla cena da Bruno Vespa (!) del luglio 2010, con il cardinale Bertone, Mario Draghi, Berlusconi (con la figlia Marina), Gianni Letta, Casini e Geronzi , vengono i brividi.
Il Potere. Quello di Andreotti, della convivenza pacifica con la mafia e la corruzione, quello che nel 2009 pensava di vivere l’età aurea del berlusconismo, con il PDL nuovo partito - Stato, la sinistra cancellata definitivamente, il controllo sui media che forse nemmeno Putin, l’attuazione postuma del “piano Rinascita” di Licio Gelli, un regime morbido basato sul consenso, cioè sulla manipolazione.
Attenzione: era ieri. Adesso, abbagliati dagli show di Grillo e di Renzi, distratti da troppi slogan e troppe battute, ce lo stiamo già scordando. Senza capire che non sarà a colpi di rimozioni che ci tireremo fuori dal pantano.
Ma poi, nel giorno dell’inizio della primavera, il papa incontra don Ciotti, uno dei sacerdoti meno considerati dal Vaticano in questi anni, uno dei sacerdoti “scomodi”, perché lotta testardamente contro l’impunità e l’indifferenza, contro la corruzione, contro le mafie.
Don Ciotti denuncia “i silenzi, le sottovalutazioni, gli eccessi di prudenza, le parole di circostanza”. della Chiesa nei confronti delle mafie. Con il coraggio di nominare espressamente (lo scrive Barbara Spinelli su “Repubblica”) la procura di Palermo e il giudice Di Matteo, e chiedere che i magistrati onesti non siano lasciati soli. Mette il dito nella piaga, don Ciotti, nomina l’innominabile, cioè la trattativa Stato-mafia, e lo fa con il pontefice accanto. Come a dire: non sperate nel solito effetto cloroformio dell’incenso: papa Francesco, nella sua semplicità, è venuto a svegliare le coscienze, non ad assopirle (Ratzinger tendeva al coma vigile).
Non fosse bastato, ecco la messa con i politici, che si prendono un cazziatone come Dio comanda: non c’è perdono per i corrotti che non si pentono e collaborano, scordatevi amnistie e amnesie, scordatevi i “volemose bene” (andrebbe spiegato anche ad una bella fetta di sinistra cosiddetta “garantista”).
Non c’è da confondersi col sermone del riciclato Giorgio Napolitano al Parlamento dell’anno scorso: quello era puro teatro. Il discorso di Re Giorgio era tanto falso quanto quello di Bergoglio è autentico. Lo si è visto anche dalle reazioni (si fa per dire, le cose importanti finiscono nelle pagine interne). La più stizzita è quella di Maria Giovanna Maglie su “Libero”; lei sarebbe perfetta per fare coppia con Giuliano Ferrara, sono praticamente gemelli: entrambi comunisti ben inseriti in gioventù, craxiani di ferro quando c’era da fare carriera, intorno ai 35 anni; infine, (più o meno) berlusconiani. fino all’età della pensione (sono coetanei, classe 1952). L’arroganza in entrambi è pari alla stazza. Però mentre Maglie ha nei confronti del papa che tuona contro la corruzione un rigurgito che vorrebbe essere laico (ma è solo craxiano), nel dire che i politici dovevano alzarsi e andarsene, e che il papa si facesse gli affari suoi, Ferrara da un po’ di tempo critica (o fa criticare) Bergoglio sulla base della sua posizione di “ateo devoto”, cercando raffinati spunti teologici per dire che la Chiesa dovrebbe tornare quella di prima, cioè iperconservatrice sulle questioni definite anni fa “non negoziabili” dal giornalismo più conformista del mondo (quello italiano), cioè aborto, fine vita, procreazione, omosessualità, famiglia e dintorni.
Una Chiesa muta (o collusa) su tutto il resto.
La loro parabola è emblematica, come da vecchio detto conservatore (“si nasce incendiari, si muore pompieri”). Sono la dimostrazione vivente che non è l’età a rendere vecchi, ma lo spirito.
Bergoglio è molto più vecchio di loro, e fra l’altro ha l’età di Berlusconi, che va verso il vuoto assoluto (l’ultima crociata per cani e gatti è davvero emblematica) per non affrontare il passato criminale.
Ma basterebbe ascoltare la voce profetica di un vecchio missionario di 101 anni, don Arturo Paoli, che fu intellettuale di riferimento insieme a Dossetti ai tempi della Costituente: a costo di scandalizzare i benpensanti, i baciapile che si spacciano per cattolici, don Paoli rilascia un’intervista alla rivista ultralaica “MicroMega” per appoggiare esplicitamente la Lista Tsipras., guidata da Barbara Spinelli (degna figlia di Altiero, che sognò l’Europa unita al confino di Ventotene, nel momento più buio del continente).
Spinelli fa parte dei pochi intellettuali che hanno uno sguardo “dritto e aperto sul futuro” (per dirla alla Pierangelo Bertoli, già citato in questa rubrica).
Ecco, se fossimo in un film tipo i “Blues Brothers”, manderemmo Renzi in pellegrinaggio sulle colline lucchesi, da don Paoli, con l’indicazione “Matteo, vai a catechismo”. Però, dubitando della sua predisposizione a “vedere la luce” come Jake - John Belushi, lo accompagneremmo con due bei “pattoni” (toscanismo: scappellotti, ceffoni).
Ci vuole uno spirito evangelico e profetico per andare avanti. E sta in un tale spirito vedere i “segni dei tempi”. Il cambio fra Benedetto XVI e Francesco, un anno fa, era uno di questi, fortissimo nella sua semplicità.
Adesso, per la prima volta da molti anni (si potrebbe dire addirittura dal primo voto europeo del 1979) si può sostenere e votare non solo i meno peggio, o votare per esprimere una protesta, o una semplice appartenenza, ma per una vera, chiara visione di futuro.
Alexis Tsipras in Grecia ha iniziato dal solito partitino di sinistra radicale del 5 per cento, solo pochi anni fa: a giugno sarà il più votato nel suo paese. Ma ancora più interessante è che nel luglio del 2001 Tsipras era a Genova, da sconosciuto studente di ingegneria, per gridare ai potenti del G8 che un altro mondo è possibile.
Tredici anni dopo, lui sarà candidato a guidare la Commissione Europea. Berlusconi, che guidò la repressione e non esitò a mostrare al mondo le prove false fabbricate dalla polizia, sarà agli arresti domiciliari o affidato a qualche centro di recupero. Ci aspettano davvero “cieli nuovi e terra nuova”.
Hasta sempre, papa Francisco.
Cesare Sangalli