Mamma Mà (un anno vissuto pericolosamente)
Le buone notizie a volte arrivano per sfinimento. Il 2014 si chiude con una piccola grande svolta internazionale: la riapertura delle relazioni diplomatiche fra Cuba e Stati Uniti.
In una rubrica che tratta dell’Italia parlare di Cuba e USA sembra prenderla un po’ alla larga.
Ma la metafora ci può stare, in un passato che si chiude e in un futuro da inventare.
Nel cinquantennio di “Guerra Fredda” in versione caraibica si è svolto il duello fra comunismo e capitalismo.
Il capitalismo ha vinto, ma non è che si senta tanto bene. Fra Stati Uniti e Cuba, invece, è finita in parità.
Al di là della gioia (legittima) e della rabbia (retrograda) di un bel po’ di cubani e di un bel po’di statunitensi, quello fra USA e Cuba è sembrato l’abbraccio sul ring di due pugili stanchissimi. Imperialismo “yankee” da un lato, comunismo sopravvissuto dall’altro. Due lunghi tramonti.
Da domani, un sacco di retorica in meno, tanta verità in più.
Cuba non è più un mito per nessuno, è una cartolina truccata, metà della vita cubana è finta.
Gli USA sono un paese decadente, che si illude di essere ancora all’avanguardia, ma invece è rimasto indietro, solo che nessuno glielo dice con chiarezza.
Obama è già una foto sbiadita, un leader che dopo aver deluso mezzo mondo si toglie almeno la soddisfazione di lasciare qualche segno del suo passaggio.
Ecuador e Bolivia, tanto per dire, due ex repubbliche delle banane, sono paesi politicamente molto più avanti degli “States”.
Insomma, come due vecchie glorie il cui match non interessa più come ai bei tempi andati, Davide e Golia hanno fatto pace.
Potrebbe succedere presto una cosa del genere in Italia.
Potrebbe succedere al momento dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Potrebbe succedere quello che è successo nel marzo 2013 in Conclave.
Il vecchio potere vaticano, logorato dalla meschinità, se n’è andato senza gloria alcuna; e chi quel potere aveva fortemente voluto solo otto anni prima, ha trovato, forse per estrema stanchezza (del vecchio, dello schifo del vecchio), la forza per cambiare, per eleggere una figura di svolta, papa Francesco.
Re Giorgio se ne va, e non ci sarà discorso di capodanno o di carnevale a restituirgli un’ aura che ha già perduto,e da molto tempo, anche se i suoi tanti cantori non lo vogliono ammettere .
Hai voglia a enfatizzare, come hanno cercato di fare per Ratzinger: l’ex papa e il quasi ex presidente sono figure mediocri, piccole, che al massimo possono ispirare malinconia.
Quando Napolitano si insediò per la seconda volta, si permise di umiliare il Parlamento, in un gioco delle parti degno della miglior commedia all’italiana: sferzate imperiose a quelli che di lì a poco lo avrebbero eletto, nessuna considerazione per chi non lo avrebbe mai votato (per esempio il M5S, SEL, e qualche dissidente). In pratica, parlava a se stesso.
Ecco, forse per sfinimento, le Camere riunite riusciranno ad eleggere una persona degna, una persona all’altezza dei tempi, un uomo che possa essere veramente punto di riferimento per una comunità quasi esausta.
L’Italia non ha chiuso né con la Prima, né con la Seconda Repubblica. C’è sempre qualcuno che ruba la scena al momento opportuno, e continua la rappresentazione, con tutto il circo di giornalisti al seguito.
Ora è il momento dei due Matteo, Renzi e Salvini (da qui, per assonanza il titolo: “Mamma, Ma…”). Una finzione di governo per una finzione di opposizione.
Due coetanei, campioncini delle tv berlusconiane negli anni Ottanta, ambiziosi giovani di partito negli anni Novanta, scalpitanti aspiranti leader negli anni Zero, due che hanno simbolicamente “ucciso i padri” (Prodi, Bersani, e tutta la cricca del PD, Matteo Renzi; Bossi, ma anche Maroni, Matteo Salvini) e ora vivono il loro momento, la loro occasione.
In mancanza di meglio, Beppe Grillo insegue Salvini sul terreno populista dell’uscita dell’euro (iniziativa davvero senza significato, di nuovo energie sprecate e distrazione di massa).
Tutti gli altri stanno più o meno a guardare, anche se si segnala nei banchi del Parlamento un andirivieni di scontenti, dissenzienti, espulsi, insoddisfatti, transfughi, potenziali franchi tiratori; chi per coerenza, chi per opportunismo, chi “senza addurre motivazioni plausibili” (Elio e le Storie tese). Insomma, la situazione è fluida, e come diceva un appassionato di calcio, “nel casino nasce il gol”.
Impossibile fare previsioni, in questo momento. Abbiamo scritto un anno fa che per cambiare, nel 2014, occorreva mandare a casa Letta, mandare in galera Berlusconi, mandare in pensione Napolitano. Ci siamo andati vicini. Ma la svolta non c’è stata. E’ come se mancasse un punto d’appoggio, quello che per il principio della leva, “solleverebbe il mondo”. Un presidente della Repubblica potrebbe esserlo. Ma poi ci vuole poi un’aggregazione dal basso come quella della Grecia o quella della Spagna. Sono già due modelli possibili, quello spagnolo sembra più vicino.
In Grecia il miracolo di portare la sinistra vera (quella che qui definiscono “radicale”) a essere nettamente il primo partito, e forse al governo già l’anno prossimo, è stato un leader, Alexis Tsipras, e la reazione della gente alla crisi devastante. Ma è stato anche il logoramento delle “larghe intese” fra socialisti e democristiani, fra centrosinistra e centrodestra, entrambe ormai “imposte” da Bruxelles (per non dire da Berlino).
In Spagna, paese molto più vicino all’Italia per dimensioni, importanza, situazione economica e sociale, un movimento, “Podemos”, che ha sicuramente affinità con il M5S, ma è più definito politicamente e più orientato a sinistra, si appresta a passare dalla protesta al governo, attraverso un’alleanza strategica con “Izquierda Unida”, la classica sinistra da sette-otto per cento dei voti.
Su questa rubrica lo andiamo ripetendo da un paio di anni: è un’alleanza che va fatta anche in Italia. Certo, qui la situazione è maledettamente più complicata. Ma come si dice nel bellissimo “Italy in a day”, documentario-collage di Gabriele Salvatores, “il futuro è solo un inizio”.
Il Parlamento ha l’opportunità di cominciare bene il 2015. Noi dobbiamo semplicemente, come dice papa Francesco, “farci carico della speranza”. Buon Anno a tutti.
Cesare Sangalli