Mattarella, la Costituzione è bella (Renzi meno)
Habemus presidentem. Il “latinorum” è in omaggio al paragone con il Conclave che elesse papa Francesco due anni fa. Nel commento precedente auspicavamo, senza crederci troppo, una scelta del Parlamento che rappresentasse una svolta per l’Italia.
Non sappiamo se Sergio Mattarella sarà l’equivalente di Bergoglio, come hanno detto, tremebondi, alcuni parlamentari ciellini, tutti nel centrodestra. Sono due figure molto diverse per due ruoli molto diversi. Ma un po’ di speranza, dopo l’elezione dell’ ex giudice della Corte Costituzionale, c’è.
La cronaca delle giornate che hanno portato a risolvere il rebus del Quirinale è già Storia.
In sintesi, l’operazione Mattarella è stata considerata un capolavoro tattico di Renzi, ed in buona parte è così. Lanciando a sorpresa il nome del tranquillo costituzionalista siciliano, Renzi ha spiazzato Berlusconi e Alfano, ricompattato il PD (e SEL), lasciato il M5S al suo isolamento, e tutti gli altri (noi compresi) piuttosto stupiti che la scelta del Capo dello Stato, presentata come un gioco machiavellico di trattative, veti incrociati e patti segreti, fosse risolta così presto e bene.
Come riconoscemmo a Napolitano, nel novembre 2011, di aver sbrigato benissimo la pratica delle dimissioni di Berlusconi, non abbiamo problemi a riconoscere a Renzi una grande capacità di destreggiarsi nelle manovre di Palazzo. Ma l’elogio nasce e finisce qui. Perché la vera politica non vive di queste astuzie, che pure appassionano tanto i nostri analisti, tornati a sentire il piacevole brivido della Prima Repubblica, quando erano (eravamo) tutti 30 anni più giovani.
La voglia di passato, in effetti, è tanta. Sembra così bella, l’Italia dei primi anni Ottanta, vista con lo sguardo di oggi. Prima dell’euro, di Internet, di Berlusconi. Prima delle tv a pagamento, degli insulti sui social network, delle stragi di disperati nel Mediterraneo. Quando non esisteva la “jihad”, e nemmeno il “made in China”. Quando non c’erano né “call center”, né “outlet”, né “fast food”. Quando non c’era perfino l’ICI (e i comuni non stavano male, e le autostrade erano di Stato, non c’era il numero chiuso nelle università, non c’era nemmeno il 5 per mille alla Chiesa).
Sembra così vero che “si stava meglio quando si stava peggio”, che perfino l’imbarazzante ritorno di Al Bano e Romina è stato un trionfo di ascolti (a proposito: non c’erano nemmeno l’”audience” e lo “share”, ai tempi dell’Italia campione del mondo in Spagna ).
Ora, questa voglia di tornare indietro in buona parte è solo “nostalgia canaglia”, tanto per rimanere nella melassa sanremese. Ma in parte, invece, è probabilmente un segnale di resipiscenza, forse addirittura una nuova consapevolezza (volesse il Cielo).
Ritorniamo a Mattarella. Quelli che hanno detto “ci voleva un uomo della Prima Repubblica per far nascere la Terza” potrebbero avere ragione, magari senza rendersene conto. Se intendevano che Mattarella sarà la spalla istituzionale per Renzi e le sue riforme (e molti intendevano questo), speriamo si sbaglino di brutto. Ma Mattarella, che conosce il valore profondo della nostra Carta costituzionale, e sa quanto è stata pesante l’aggressione a tutti i suoi valori fondanti durante la Seconda Repubblica, potrebbe aiutare l’Italia ad uscirne definitivamente, e ricominciare da dove eravamo rimasti (per noi, lo sapete, al 1982, ma è una pura convenzione).
E cioè ad un’Italia che per quasi quattro decenni aveva provato ad essere più giusta, più libera, più democratica. E in qualche modo c’era riuscita, anche se con tante ombre dietro alle luci. Come c’erano riuscite, con i loro ritardi e le loro specificità, Grecia, Spagna, Portogallo.
Nei primi anni Ottanta, il Sud Europa diventò europeo a tutto tondo, con la differenza che l’Italia era membro fondatore.
La culla dell’Europa unita, infatti, è stata Roma. Non Berlino; non Parigi o Bruxelles, o Strasburgo; meno che mai Londra: l’Europa contraria ai nazionalismi e alla guerra è innanzi tutto un’idea italiana, a partire dal “Manifesto di Ventotene” del 1941.
Sergio Mattarella è il ricordo di questa storia. E’ nato proprio nell’anno in cui Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Enrico Rossi, ipotizzando un futuro di pace proprio nel peggior momento della guerra, dettero voce ad un’esigenza che tre quarti di secolo dopo è stata realizzata solo in parte.
Mattarella è cresciuto in una cultura tanto democratica quanto europeista. Le due cose dovrebbero essere sinonimi. Mattarella sa bene che l’Europa è nata su basi economiche solo per cominciare a trovare un’intesa ( siamo nati come Comunità del carbone e dell’acciaio, non lo dimentichiamo).
Ci sono voluti quasi trent’anni (1950-1979) per arrivare alle prime elezioni europee, al primo Parlamento, mentre si armonizzavano le economie (a partire dall’agricoltura), sempre con politiche di tipo pubblico, diciamo pure “dirigiste”. Le guerre commerciali fra nazioni venivano sistematicamente sventate (ricordate quella del vino fra Francia e Italia?). La vecchia CEE aveva saputo attrarre e integrare tanto il nord anglosassone e scandinavo, quanto i paesi del Mediterraneo, quelli in seguito denominati “Club Med”. Il bilancio era allora largamente positivo, ed è proprio in questa fase che Mattarella prende il posto in politica del suo fratello Piersanti, ucciso dalla mafia giusto agli inizi degli anni Ottanta (il male c’era già tutto, nella Prima Repubblica).
Bisogna ripartire da lì, da quella parte buona che è stata quasi annichilita, ma che non è morta. Bisogna ridare voce ai cittadini, voce ai loro rappresentanti nei Parlamenti, voce a quello che fu, giustamente, “il primato della politica” (o “la politique d’abord”, come diceva Nenni).
La sfida posta dalla Grecia di Tsipras, la cui vittoria coincide con l’elezione di Mattarella, non è di natura finanziaria, come vorrebbero farci credere. E’, o dovrebbe essere, una clamorosa operazione di verità. Una verità che è stata ribaltata fino all’assurdo, fino al controsenso: i cosiddetti creditori (che poi sono le banche e la loro finanza di folle ingordigia), i presunti “virtuosi”, hanno approfittato spudoratamente di politici tanto corrotti quanto manovrabili (quelli greci, e non solo) mettendo la cravatta intorno al collo dei governi, cioè dei paesi. Chissà chi ha approfittato delle forniture di armi e dei fastosi Giochi Olimpici di Atene, che sono di gran lunga le prime due voci di spesa del debito pubblico greco. Fra tanti analisti economici e tanti guru, c’è voluto Luca Casarini per ricordarlo.
E che succede nell’Italia altrettanto indebitata di Renzi? Si conferma l’acquisto dei novanta F35 (il bidone più costoso degli ultimi decenni), ci si vuole svenare (e sventrare le montagne) per l’inutile Tav, e, dulcis in fundo, ci si candida in pompa magna alle Olimpiadi del 2024 (mentre a Roma sono ancora in corso le inchieste per “Mafia capitale”), mettendo a capo del baraccone proprio il mitico Luca Cordero di Montezemolo, il cervello del vergognoso fallimento di Italia ’90, che si può considerare l’inizio ufficiale della decadenza: dal mondiale del 1982 a quello degli stadi costati anche cinque volte il preventivato, e che erano da buttare già dieci anni dopo.
Per fare tutto ciò, Renzi continua ad umiliare il Parlamento. E poi i partiti, i sindacati, i movimenti. Non c’è una sola legge di civiltà in più, anche a costo zero (“ius soli”, introduzione del reato di tortura, matrimonio gay, depenalizzazione della cannabis…..); non c’è una sola tassa in meno, né un solo punto in meno del debito pubblico; non c’è nient’altro che il “Jobs Act”, e un mezzo aborto di riforma costituzionale, cioè Italicum, Senato e altra robaccia ( che, se proprio va male, spazzeremo via con i referendum, remember 2006).
Davvero un bel bilancio, per il primo anno, non c’è che dire.
Mattarella ha davanti a sé un compito non facile , ma possiede le coordinate giuste, e sa qual è la rotta: favorire la crescita politica del M5S (intanto fornire una sponda istituzionale per le tante battaglie parlamentari giuste dei grillini, di cui non parla quasi nessuno); impedire il bavaglio ai gruppi di opposizione a Renzi (intendiamo a sinistra di Renzi); appoggiare il tema nascente e crescente di un’Europa veramente democratica, ricordando che l’Italia è membro fondatore tanto quanto la Francia e la Germania,e che la parola di un Capo di Stato deve valere più di quella del Fondo Monetario Internazionale o del ministro delle finanze tedesco.
Mattarella deve ricominciare da dove abbiamo cominciato a prendere la strada sbagliata.
Quando avevamo trent’anni di meno.
Cesare Sangalli