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Post Patriarcato
L’agonia di un ordine simbolico


“Il titolo di questo libro non è un annuncio”, ci avverte subito l’autrice, Irene Strazzeri. “Non siamo di fronte ad una nuova era, e non si è conclusa quella precedente”. Siamo in mezzo al guado, o nel bel mezzo di un gelido inverno, visto in una prospettiva maschile. Perché siamo noi maschi a non avere “le parole per dirlo”. E qui nasce la nostra difficoltà di lettori di fronte all’avventurosa ricerca proposta dalla giovane sociologa salentina.
Lei, come Elettra Deiana nell’introduzione, una bussola sembra possederla, per orientarsi nel mare magno della post modernità, l’epoca della fine di tutto: fine del lavoro, fine delle ideologie, fine della Storia.
L’epoca dell’impossibilità, o più semplicemente difficoltà, di pensare l”altrove”. Pensare “l’altrove” per poter uscire da questa “contemporaneità senza tempo” . Per trovare nuovi paradigmi, nuovi linguaggi, nuovi codici che siano comunque aperti, elastici, eclettici, che sappiano coniugare esperienza soggettiva ed esperienza collettiva.
E’ un libro difficile, quello di Irene Strazzeri. Ed è bello perché è difficile. Siamo invitati ad andare oltre le colonne d’Ercole di un mondo pensato al maschile. Ma non ci sono risposte “pret à porter”, solo tracce, indizi, o, per dirla con l’autrice “sintomi”, “passaggi”, “discontinuità” e “sfide”.
E’ una navigazione nel mare aperto dell’intelligenza, quella che “Post Patriarcato” ci propone, e nel mare aperto ci si può perdere e perfino affogare. Ma ci sono un po’ di stelle, nella notte della crisi , dove sembra che ognuno di noi non abbia altra prospettiva che “diventare impresa di se stesso, mettersi in concorrenza e sopravvivere. O diventare scarto del mondo” (Elettra Deiana).
Le stelle del femminile brillano con più intensità, perché le donne hanno il vantaggio di essere state per secoli a lato della Storia scritta dai maschi, come sosteneva Carla Lonzi, pioniera del femminismo della differenza (“Sputiamo su Hegel”).
La crisi del patriarcato, infatti, va di pari passo con la crisi della modernità: ma se tutto è “post” (qualcuno parla anche di “post democrazia), l’unica risposta sembra
essere “no future”. “Come se la storia del fare delle donne per mantenere in piedi il mondo, da che mondo è mondo, non potesse produrre sapienza sulle cose da fare, sulla politica da inventare, sulla sfida da lanciare”. E’ vero il contrario, ci dicono Elettra Deiana e Irene Strazzeri: sono le donne, è il femminismo il movimento più attrezzato per uscire dal pantano del mondo coniugato al maschile. Un mondo in cui il patriarcato agonizzante cerca di rispondere alla rivoluzione possibile con artigliate feroci, come denuncia Eve Ensler in un nuovo, breve monologo sugli stupri di guerra, sullo schiavismo sessuale dell’IS, sulla rivolta armata delle donne kurde.
Ma pur nella piena consapevolezza delle “risacche” e dei “depositi” del comportamento patriarcale in questa fase storica, Strazzeri non ha dubbi (come non ne ha Deiana) sul vero bersaglio della critica femminista contemporanea: la società capitalista, talmente intrisa della cultura dominante neoliberale da non ammettere punti di vista alternativi.
E’ una sorta di “non avrai altro dio al di fuori di me”, il comandamento non detto della cultura post-moderna: al di fuori della competizione, dell’individualismo, dell’economicismo esasperato, non c’è alternativa.
Se mai c’è stata un’alleanza, o meglio, una connivenza, fra femminismo di una certa fase e liberismo, è ora di romperla definitivamente. Perché la società capitalista postmoderna, nel suo essere proteiforme, nella sua “liquidità” ben descritta da Bauman, ha avuto ed ha ancora risorse notevolissime nella rappresentazione del femminile, inteso come accesso delle donne al lavoro, alla realizzazione professionale, al successo, alla ricchezza. Una trappola molto ben congegnata, che ha saputo neutralizzare o strumentalizzare molte istanze del femminismo. Ma le donne sono capaci di autocritica, e un certo tipo di femminismo (delle donne bianche, occidentali, ricche) è stato messo fortemente in discussione da parte delle donne “altre”: nere, lesbiche, provenienti dal Sud del mondo (“postcoloniali”). La società capitalista non ha affatto liberato la donna, ha solo sfruttato la sua capacità di tenere tutto insieme, la sua tendenza all’”oblatività” (capacità di donarsi, spirito di sacrificio), cercando di dare un tocco “glamour” all’ingiustizia di sempre (i marxisti avrebbero parlato di “fiori nelle catene”).
Strazzeri, collocata saldamente sulla linea di Carla Lonzi e di Luisa Muraro, ma anche di Derrida e di Foucault, citati più volte, si spinge oltre, non si accontenta di demistificare le lusinghe del capitalismo, ma va addirittura a criticare il cosiddetto “patriarcato dei fratelli” alla base dei principi della Rivoluzione Francese; contesta cioè il paradigma maschile sottinteso nel preteso universalismo dei diritti umani, ricordando la “Dichiarazione universale dei diritti della donna e dei cittadini” di Olympe De Gouges, sconosciuta eroina di quei tempi, mandata al patibolo dai rivoluzionari maschi per aver osato tanto.
Quando ci si spinge così avanti, al lettore vengono le vertigini: cresciuto ed educato al classico criterio di cittadinanza, da estendere a tutti, nel nobile intento democratico universale, uno si scopre “paternalista” nella considerazione delle donne come soggetti da proteggere, da tutelare, perfino nel caso di un Welfare generoso (che non c’è più, a parte qualche eccezione), ma incapace di andare oltre la costruzione maschile della società.
La cittadinanza è collegata al lavoro, e il lavoro è inteso sui paradigmi di sempre, diventati solo più flessibili (quasi sempre a scapito del lavoratore, immancabilmente a scapito delle donne, anche se si sosteneva il contrario). Insomma, siamo sempre alla “vita per l’economia” e non all’ “economia per la vita”.
Siamo molto lontani, in altre parole, dal “mettere al mondo il mondo”. Eppure la sfida è quella. C’è da riscrivere il concetto stesso di democrazia, a partire dalla questione dell’autorità e del riconoscimento. Sappiamo tutti che la democrazia non è mai qualcosa di definitivamente acquisito;e sappiamo anche che la democrazia va contro ogni concentrazione di potere, che non tollera né (troppo) autoritarismo, né (troppa) diseguaglianza. Ma la questione, vista nella prospettiva del femminismo della differenza, non ruota più intorno al concetto di eguaglianza, il criterio fondamentale secondo la visione classica (spiegata in modo esemplare da Bobbio in “Destra e Sinistra”).
Si va oltre; si va verso un criterio di reciprocità, in cui anche nella disparità delle posizioni c’è sempre arricchimento nella RELAZIONE. E’ la relazione, quasi sempre relegata nella sfera privata, è l’amore per l’inutile che sfugge all’utilitarismo, è il libero riconoscimento fra soggetti e altre cose ancora che costituiscono “l’autorità femminile” (Luisa Muraro), che non è,ovviamente, il potere alle donne o delle donne, come tendiamo a pensare nello schematico pensiero maschile, prigioniero delle dicotomie (natura/cultura, maschio/femmina, governanti/governati…), ma è finalmente l’espulsione della violenza, del dominio, della sopraffazione dalla politica.
Quest’ultimo concetto, così semplificato, non corrisponde esattamente alla raffinatezza dell’analisi di Irene Strazzeri, che balla leggera fra filosofia e sociologia, avventurandosi come un’equilibrista nei territori inesplorati dell’utopia.
Alla fine, restano tante domande, tanti dubbi, e magari perplessità su ciò che sembra più astratto che reale., sicuramente di là da venire, non detto, addirittura non pensato, in molti casi. . Non ancora, almeno.
Per questo ci piace chiudere con la semplicità della dedica del libro fatta dall’autrice; una dedica che ci riporta tutti nell’immediatezza di un messaggio che sta fra passato (in gran parte superato), presente e futuro: “Al bimbo che aspetto, al mondo che gli auguro”


Cesare Sangalli

Irene Strazzeri
“Post Patriarcato- l’agonia di un ordine simbolico”
Edizioni Aracne
Euro 10