W l'Italia ...fra memoria e attualità ...
Campioni del mondo
La Prima Repubblica finisce gloriosamente, senza ovviamente saperlo, l’undici luglio 1982, con l’Italia di Bearzot campione del mondo. Guardate bene le immagini di quella notte meravigliosa. Confrontatele con l’attualità. Il presidente Pertini che esulta sulle tribune del “Bernabeu” di Madrid, ultima icona dell’Italia della Resistenza e dell’antifascismo, cantata perfino da un campione del trash come Toto Cutugno (“un partigiano come presidente”).
L’urlo di Marco Tardelli, simbolo dell’Italia autarchica, che non importa giocatori stranieri dal 1964 al 1980, senza sponsor sulle maglie dei club fino a due anni prima. Un calcio per la prima volta a colori dopo anni di bianco e nero, rigorosamente sulla TV di Stato (cioè gratis e per tutti), raccontato sui giornali da giornalisti grandiosi come Brera e Arpino, alla radio da talenti come Ciotti e Ameri. Enzo Bearzot portato in trionfo dai suoi ragazzi, un friulano tutto d’un pezzo, che parla come un sergente degli alpini, tecnico nato che e cresciuto nella federazione, cioè pagato meno di tutti, che non ha vinto niente prima, che non vincerà niente dopo, e che finirà la carriera senza avere mai allenato una squadra di club. Quella notte, una nazione intera celebra senza rendersene conto, la fine di un’era.
Fra ombre e luci, contraddizioni laceranti, pagine nere mai acclarate, mille problemi, mille difetti, la Prima Repubblica può dire: missione compiuta. L’Italia del 1982 non è sicuramente quel paese virtuoso immaginato dai nostri padri della Costituente. Ma è una democrazia libera, che ha superato prove terribili, traghettando nel benessere diffuso un paese di poveracci, distrutto dalla guerra e dal fascismo. In soli 35 anni l’Italia è passata dalla fame alle diete, dalle scarpe come obiettivo al telecomando come necessità, vero simbolo dell’inizio dell’opulenza.. In un certo senso, da qualsiasi parte la si guardi, la prima Repubblica ha raggiunto, anche se con casini mostruosi e aberrazioni non risolte, tutti i suoi obbiettivi. Dal punto di vista sociale, l’Italia è un paese avanzato, post-industriale, come rivelato dal censimento del 1981: la maggior parte degli italiani lavora ormai nei servizi, quando nel 1951 lavorava nei campi. La scuola e la sanità, con tutti i loro difetti, sono garantite a tutti. L’università vede iscritte per la prima volta più donne che uomini. Il paese del papa ha già approvato e confermato da anni sia la legge sul divorzio che quella sull’aborto. Sono state adottate riforme coraggiose, fra le più audaci in Europa, anche se di realizzazione incerta, dalla legge180, o Legge Basaglia, sui manicomi, fino ai decreti delegati che cercavano di “democratizzare” la scuola, con i vari “parlamenti” permanenti (consigli di classe, di istituto, eccetera).
Dieci anni di terrorismo e di stragi più o meno di stato non hanno comunque portato nessuna deriva autoritaria, come in Grecia (1967) o in Cile (1973). Anzi. La fine degli anni Settanta ci consegna l’esperienza anarcoide delle radio libere, la satira devastante e perfino eccessiva del “Male”, di “Frigidaire”, e tante altre pubblicazioni, di una generazione straordinaria di vignettisti (da Pazienza a Altan, da Chiappori a Vauro, da Fremura a Forattini). La vituperata Democrazia Cristiana, con il pungolo costante e poi l’apporto del Partito Comunista, può essere nonostante tutto orgogliosa: il nostro sistema statale, il nostro capitalismo protetto (con la Fiat in testa) ha superato la crisi terribile degli anni Settanta, e cioè shock petrolifero, inflazione a due cifre e recessione mondiale, senza privatizzare nulla e senza tagli alle spese sociali, riuscendo ad accontentare anche un sindacato fra i più forti e agguerriti del mondo. E, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i nostri governanti sono riusciti nell’impresa senza gonfiare il debito pubblico nel modo folle che seguirà: agli inizi degli anni Ottanta, il debito è infatti a livelli che oggi vengono considerati virtuosi, il 60 per cento del PIL; nei dieci anni successivi raddoppierà, piombando il futuro di un’intera nazione. Missione compiuta, dunque. L’Italia, nel 1982, è ancora incredula, di fronte al miracolo, proprio come era totalmente scettica sulla nazionale di calcio, che pure era già stata splendida protagonista quattro anni prima in Argentina, ed era arrivata ad un passo dalla finale agli europei del 1980, e tutto questo in un periodo in cui le squadre italiane erano sistematicamente umiliate nelle coppe europee.
Siamo ancora un paese umile, come i nostri undici guerrieri di fronte all’Argentina e al Brasile, le grandi favorite. L’autocompiacimento, la spocchia, la vanità, verranno subito dopo, con Craxi e Berlusconi, con la moda e il marketing, le palestre e le vacanze all’estero, “il campionato più bello del mondo” e il sorpasso economico all’Inghilterra.
La DC, la mitica Balena bianca di tutti i mali e tutti i beni, inizia la sua fase finale, la sua definitiva deriva morale. Ma una domanda è d’obbligo, negli anni Ottanta dell’edonismo rampante: che fine ha fatto il comunismo? Berlinguer, che cominciava a interrogarsi, non risponderà mai (meglio per lui). Tutti gli altri, non si sa. Il comunismo in Italia negli anni Ottanta è uno dei più grandi misteri di questo paese. Alla prossima puntata.
Cesare Sangalli