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Duri e muri



Un sesto (abbondante) del 2016 se n’è andato, intorno al tema quasi unico della legge Cirinnà sulle unioni civili. Sapete tutti com’è andata. E’ stato un compromesso, un compromesso al ribasso. Ma almeno, fra qualche mese, la vita per molte coppie potrà cambiare. Cambiare in meglio. Una parte di cittadini fin qui trascurata o emarginata potrà sentire l’abbraccio delle istituzioni, della società, e contribuire a cambiare un po’, in meglio, tante abitudini (all’ospedale, negli uffici, nelle parole, nei gesti).
Abbiamo un maledetto bisogno di migliorare. Raggiungere un traguardo. Sentirsi orgogliosi di essere italiani, cittadini della Repubblica.
Per esempio decidendo a maggioranza, in un referendum popolare, che no, non ci serve il petrolio dell’Adriatico, non ci sono motivi per correre il rischio di un’ennesima catastrofe ambientale, fra qualche anno o fra qualche decennio.. Niente trivelle, grazie. E’ un’idea di sviluppo che non vogliamo più, che non accettiamo più. Intanto non ne abbiamo bisogno. Regioni come la Puglia già esportano il 50 per cento dell’energia prodotta senza inquinare.
Il petrolio, (l’esempio della Basilicata è illuminante), porta grandi benefici alle compagnie, e modestissime ricadute in termini di lavoro per la popolazione. L’impatto ambientale invece lo paghiamo tutti.
E’ ancora e sempre il modello economico del secolo scorso, quello della “dark economy”, i grandi profitti basati sugli idrocarburi, sulle attività estrattive, e, più in generale, sul consumo e la devastazione del territorio. E noi dobbiamo cominciare a cambiarlo un po’, questo mondo sbagliato, questo mondo ingiusto, questo mondo malato.
Bisognerebbe riguardarsi il film “Pride”, anche se è la storia di una sconfitta economica e politica.. La sconfitta dei minatori britannici , che lottavano contro la chiusura delle miniere voluta dalla Thatcher, e che trovarono l’inaspettato aiuto di un’associazione di gay e lesbiche londinesi. L’antico simbolo del sindacato dei minatori riassume benissimo ciò di cui abbiamo bisogno: due mani che si stringono,
e che significano “non importa chi sei, qual è il tuo sesso o nazionalità o religione o altro, se ci aiutiamo gli uni gli altri”.
Nei referendum, gli schieramenti sono più liberi che alle elezioni. E’ un voto a tema, un voto di coscienza. Speriamo di ripetere la mobilitazione che scattò, col passaparola, nel 2011.
Sono passati cinque anni esatti dalla catastrofe nucleare di Fukushima. Non è bastata nemmeno quella tragedia a scuotere il popolo giapponese: il governo non ha rinunciato al nucleare. Molti giapponesi si dichiararono ammirati della scelta fatta dagli italiani.
Ora abbiamo l’occasione di essere fra i primi al mondo a dire di no al business del petrolio, almeno a casa nostra. Bisogna “solo” raggiungere il quorum, e come nel 2011 i media non ci aiuteranno nell’impresa (le eccezioni le conosciamo: “Il manifesto”, “Il Fatto quotidiano”, forse La Sette, non Rai Tre con Lucia Annunziata che torna a dirigere il Tg3, lei che è pagata dalla rivista patinata “Oil” dell’ENI, la multinazionale italiana dell’oro nero. – ma speriamo di essere contraddetti -). Quindi, passate parola. Appuntamento il 17 di aprile.
Oltre alla legge Cirinnà, la questione che continua a tenere banco, e lo farà ancora a lungo, è quella dei rifugiati e dei migranti. Il fronte dei duri, quelli che vogliono alzare i muri anziché abbatterli, e che quindi non sono cristiani, secondo Papa Francesco, è abbastanza ampio, purtroppo.
Questo è un tema dirimente, e lo è da tempo. Il prossimo commentatore che dice che non ci sono più destra e sinistra si prende gli insulti. La destra “sovranista”, come ama definirsi, o “identitaria”, più classicamente nazionalista e fascistoide, è pronta a tornare ai sacri confini delle piccole patrie. A innalzare i muri. Il filo spinato. I cani poliziotto e i manganelli contro i diseredati, i bisognosi, donne e bambini compresi. L’Europa dovrebbe tornare agli scenari inquietanti della prima metà del Novecento. Ci sono almeno tre nazioni europee che hanno un governo parafascista (Polonia, Ungheria, Croazia), col loro passato ingombrante.
La destra liberale e liberista non si dissocia davvero dalla xenofobia, perché, se ancora non si fosse capito, vuole la libera circolazione dei beni e dei capitali, ma non quella delle persone. Gli esempi sono lì, da anni, ma non li vogliamo vedere. Ha bisogno che gli immigrati arrivino, ma soprattutto ha bisogno che siano clandestini, irregolari, sempre a rischio, ricattabili.
Il modello dell’emigrazione economica non si è sviluppato nel Mediterraneo, ma in California. La libertà economica totale su quel continente è stata sancita con il NAFTA, l’accordo di libero commercio fra Canada, Stati Uniti e Messico, che prese il via il primo gennaio 1994, e scatenò l’insurrezione zapatista del Chiapas (ormai un lontano ricordo).
A partire da quel momento, grande è stata la libertà economica: investimenti, delocalizzazioni, nessuna tassazione o quasi, nessun dazio doganale, o quasi. Ma due barriere sono invece rimaste: quella alla libertà di movimento alle persone e quella, all’apparenza sacrosanta, alla circolazione delle droghe, a partire dalla cocaina. Sono due barriere funzionali al libero mercato, e funzionali alla criminalità organizzata, che è solo libero mercato elevato a potenza: essere clandestini toglie diritti, e quindi
tutele sindacali; vietare le droghe le rende costose, alimenta incredibilmente il business.
Quindi: il liberismo aborre gli ostacoli che riguardano le imprese, le holding, le classi agiate. Ma ama le barriere che impediscono l’accesso ai diritti sociali per le persone. Tutti i tipi di barriere: numeri chiusi nelle scuole, rette salatissime per l’istruzione, prezzi alti per la sanità, prezzi alti per tutto. Barriere economiche; muri insormontabili per molti; asticelle spostate più in alto, oppure (che è lo stesso), livelli di salario, di tutele, di diritti abbassati ai più deboli.
Eppure, il tema del “dagli all’immigrato” suona così pop, così adatto a conquistare il pubblico degli anziani, il pubblico che guarda tanta TV e che legge poco, i maschi da bar e da stadio, le casalinghe schiantate dalla mancanza di aiuto, i giovani precari (ché l’immigrato lo vedono per strada, il sistema che gli ruba il futuro no).
Qualcuno sostiene da tempo che stare dalla parte degli immigrati sia uno snobismo da “radical chic” (lo si vede bene a Lampedusa, noto salotto borghese dedito ai tornei di burraco), e questa sciocchezza, incredibilmente, circola ancora. Per fortuna c’è papa Francesco, a riportare le semplici verità al centro del dibattito. Almeno in Italia quello che dice il papa ha ancora un certo peso. E qui torniamo alla piccola politica di casa
La destra si dibatte nel dilemma: Salvini con le sue sparate conquista un po’ di voti, ma se ne aliena altri; e l’altro grande demagogo, Berlusconi, che ha sempre mantenuto un profilo meno aspro, più gaudente e meno arrabbiato, non è adatto ai tempi che corrono, anche perché la vecchiaia è inesorabile.
Oltretutto il PD è così democristiano, così indistinguibile, che continuerà ad attrarre voti e volti del PDL che fu. La fine del berlusconismo per assorbimento. La strategia di Renzi per ora sta funzionando egregiamente. Ancora una volta abbiamo sperato troppo dall’Italia, auspicando un’era di riscatto nazionale, un cambiamento radicale, una rivoluzione gentile. Il leader che aveva coniato il termine, Vendola, ha optato per una scelta che lo ridimensiona enormemente: una scelta “americana”, una scelta da ricco che si può permettere di comprare il corpo di una donna,e considerarlo come un’incubatrice. Oltretutto, a quasi sessanta anni, un’ età più da nonno che da padre Questa rubrica lo ha sostenuto con forza nei tempi bui, quando è stato l’unico faro per la sinistra annichilita dal ventennio, l’unico capace di ribaltare il berlusconismo dominante, due volte in Puglia, in controtendenza e solo contro tutti, e poi nel 2011, con la clamorosa vittoria nella Milano della Moratti (e Cagliari, eterna città di centrodestra), e la ancora più clamorosa vittoria nei referendum del 2011 (nucleare e acqua bene comune). Vendola è stato sempre isolato, emarginato, osteggiato, perfino più di Occhetto, il grande perdente della Seconda Repubblica. In questi anni infausti, è stato uno dei pochi a distinguersi dal conformismo imperante. Ma ha deciso di uscire di scena, e di farlo in una brutta maniera. Mentre la partecipazione politica si fa grottesca, nelle primarie romane e napoletane,
e la politica annaspa sul nulla, speriamo almeno nel referendum contro le trivelle nel nostro mare.
Cesare Sangalli