OK, il quorum non c’è stato, hanno vinto (per ora) le trivelle, abbiamo perso noi. Ma non c’è da stracciarsi le vesti. La resistenza, con la minuscola, è un fiume carsico che si diffonde fra la gente ed emerge poi in maniera improvvisa, qualche volta perfino tumultuosa. Poi sembra rientrare, rifluire, perfino sparire, ma intanto ha lavorato, scavato o innalzato, modificando gli argini, cambiando lentamente il quadro.
Misuriamo la distanza dall’ultimo referendum vincente, quello del 2011. Fu, allora, un mezzo miracolo. Ma le questioni erano quattro, e di grande importanza. Sarebbe forse bastato il solo quesito sul nucleare, dopo lo shock di Fukushima, per raggiungere il quorum, come abbiamo ricordato nella rubrica precedente. Ma anche l’acqua era un tema molto sentito. Qualcosa è cambiato, da allora, non necessariamente in peggio, come la sconfitta referendaria potrebbe suggerire, in apparenza.
Confrontiamo gli scenari. Cinque anni fa, prima ci furono le amministrative nelle grandi città, poi il referendum. Le vittorie di Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli, Zedda a Cagliari, per citare le più significative, furono il segnale di riscossa di una sinistra praticamente sommersa, dopo le infauste elezioni del 2008, e il segnale del declino evidente del berlusconismo (vedi “Ce n’est qu’un début” e “Onda su onda”, ma anche “Cassandra crossing” in archivio). I quattro referendum di giugno ampliarono a dismisura l’area del dissenso. Il governo Berlusconi ormai si aggrappava all’inerzia, non avendo più una maggioranza reale né nel Paese, né in Parlamento (ricordiamoci la miracolosa fiducia ottenuta per tre voti nel dicembre 2010, vedi “Costretti a vincere”). Che nei mesi successivi, a fronte dello stato comatoso dell’Italia, siano arrivate forti pressioni dall’Europa e dagli USA, è quasi fisiologico; ma solo i nostalgici possono gridare al complotto, anzi, al “golpe” (lo si fece anche con il 25 luglio di Mussolini, e perfino per Craxi ad Hammamet, altro complotto della CIA, secondo la destra: niente di nuovo per la mentalità italiana).
La spinta popolare di quella bellissima primavera 2011 è stata raccolta quasi in toto dal M5S.
Storicamente, era giusto che fosse così: SEL e la sinistra sparpagliata hanno pagato la vicinanza al PD di Bersani o l’irrilevanza totale (che è la stessa cosa, alla fine), al di là dei propri demeriti (anzi, nonostante i propri meriti). Ma quella spinta è, ancora oggi, minoritaria, per quanto robusta. I 13 milioni di voti contro le trivelle ne sono la dimostrazione.
Dopo l’energia nucleare (battaglia stravinta), dopo l’acqua bene comune (battaglia in corso), anche il petrolio ha avuto la sua bella botta. Quando, nel decennale dei fatti del G8 di Genova, scrivevamo che i temi degli “altermondialisti” si sarebbero affermati uno ad uno, ma che sarebbe occorso almeno un decennio, all’Italia, per farli propri, non c’eravamo sbagliati. La manifestazione nazionale contro il TTIP indica che la direzione è quella. La democrazia è lenta, ma tutto è in movimento, perfino in Italia.
Nell’aprile 2011, mentre divampavano le primavere arabe, il Parlamento votò a favore della versione grottesca di Berlusconi che salva Ruby credendola la nipote di Mubarak. Possiamo considerare quel momento il punto più basso toccato dalla politica italiana nel dopoguerra. Fra i votanti, c’erano Beatrice Lorenzin, attuale ministro della sanità, Angiolino Alfano, ministro dell’interno, e Denis Verdini, ormai alleato di ferro di Renzi. La loro presenza ai vertici dello Stato è il segno più evidente che una vera svolta non c’è stata. Con una certa dose di cinismo, si potrebbe dire che si è passati da Nicola Cosentino (“Nick ‘o Mericano”) del PDL, fra i votanti della barzelletta su Ruby, e soprattutto uomo della camorra dentro le istituzioni, a Stefano Graziano, anche lui ammanicato coi casalesi ma targato PD. Il principe di Salina non troverebbe esempio migliore. Anzi, sorriderebbe amaro, osservando che oggi c’è molto meno clamore di ieri, su questi fatti: “cambiare tutto per non cambiare nulla”.
Ma questa continuità gattopardesca potrebbe interrompersi con un altro referendum, quello di autunno sulla riforma/deforma di Renzi sulla Costituzione. Preceduta dal voto nelle amministrative. Che qualcosa di nuovo potrebbero dircelo. Per esempio, che il Sud non è più spettatore passivo della Storia d’Italia. Anzi. Il fatto che la Basilicata sia stata l’unica regione italiana dove il quorum è stato raggiunto, e che il Trentino Alto Adige sia risultato la maglia nera fra le regioni per la partecipazione, è già un segnale dirompente: gli ultimi diventano i primi. Uno potrebbe obiettare che le trivelle riguardavano la Basilicata più da vicino; ma i lucani potevano essere ancora abbagliati dal mito del “più grande giacimento d’Europa”, volano di sviluppo secondo Renzi, Prodi e tanti altri illustri analisti. Mentre sembra invece che se la siano bevuta di più i cittadini dell’Emilia Romagna, una regione che fino a qualche anno fa teneva alta la bandiera della coscienza civica, e che oltretutto le piattaforme ce l’ha in casa, nel suo mare. Inoltre, la Puglia di Emiliano ha votato molto di più del Veneto leghista, che pure appoggiava il referendum.
La verità è che il Nord politicamente è latitante da un ventennio, e fa un enorme fatica a liberarsi dal berlusconismo e dal leghismo, che ora si ripropone come fascioleghismo. A Milano, nonostante la buona esperienza di Pisapia, sono tornati alla non scelta di (circa) vent’anni fa, quando al ballottaggio andarono l’imprenditore Albertini e l’imprenditore Fumagalli. Oggi l’alternativa è fra il manager già
collaboratore della Moratti, Sala, contro il manager berlusconiano Parisi. Sai che brividi, per l’eventuale vittoria della zuppa sul pan bagnato.
A Roma e a Napoli la musica cambia. La capitale potrebbe andare al M5S, e sarebbe un avvenimento (a proposito: anche la “pasionaria”Giorgia Meloni votò per Ruby nipote di Mubarak).
Meglio ancora a Napoli, dove De Magistris, che ha sempre avuto tutta la grande stampa contro, potrebbe “scassare” per la seconda volta,e sarebbe un altro segnale inequivocabile. Tanto per dirne una, De Magistris è l’unico sindaco di una grande città che ha dato piena attuazione al referendum sull’acqua. La sua provocazione su “Napoli comune derenzizzato”, poteva sembrare tale almeno fino alle indagini su Graziano. Adesso indica un’alternativa netta. De Magistris a modo suo è un eroe, non avendo potuto contare né sull’appoggio del centrosinistra, né su quello del M5S. La sua vittoria avrebbe un grande significato anche per uscire dalla logica del bipolarismo, diventato tripolarismo dal 2013.
In questa fase di passaggio, infatti, il ritorno ad un sistema proporzionale sarebbe un segnale importantissimo per chiudere la logica del ventennio berlusconiano (ormai in realtà quasi un quarto di secolo), cioè la mistica del sistema maggioritario e dell’uomo solo al comando. Anche a rischio di trovarsi in una situazione spagnola (lì il Partito socialista non ha voluto fare l’alleanza con “Podemos” e “Izquierda Unida”: semplificando molto, è la situazione del PD in Italia).
Entro l’anno sapremo se Renzi riuscirà laddove Berlusconi ha fallito. Il Caimano aveva concentrato molto più potere nelle sue mani, rispetto a Renzi, la sua minaccia alla democrazia era assai più grave. Però Berlusconi era comunque elemento di forte divisione, aveva spaccato l’Italia fra pro e contro. Mentre l’antirenzismo è ancora allo stato embrionale, ed è affidato quasi esclusivamente al M5S e a quel che resta della sinistra. A portare gli elettori di Salvini, Meloni e centrodestra vario ed eventuale dalla parte di Renzi ci vuole un attimo. Non conterei su di loro, quando si tratterà della nostra battaglia del Piave. E’ sul piano della passione e della convinzione che possiamo e dobbiamo battere quelli che andranno a votare SI alle riforme, e a plebiscitare Renzi al potere(nelle loro intenzioni) per un altro decennio.
La conquista di Roma da parte del M5S e la conferma di De Magistris a Napoli potrebbero essere un ottimo viatico. Ma l’ appuntamento con la Storia (un po’ di enfasi è giustificata per rovesciare la demagogia di Renzi) è previsto in autunno. Noi ci stiamo preparando (il referendum sulle trivelle è stato un buon allenamento): è questa la novità (Lucio Dalla, “L’anno che verrà”).
Cesare Sangalli