She leaves you, yeh, yeh, yeh
Dopo una settimana di parole sul Brexit, c’è un solo commento, una sola analisi all’altezza della situazione: quella di Barbara Spinelli sul “Fatto Quotidiano”. Nel giorno di San Pietro e Paolo, la figlia del “profeta” dell’Europa unita, Altiero Spinelli, fa innanzi tutto un’operazione di verità e memoria, importantissima, perché l’ipocrisia va a nozze con l’oblio.
La memoria riportata da Barbara Spinelli non è quella remota del dopoguerra, dei 70 anni di pace dopo la distruzione epocale voluta dal nazifascismo, memoria usata da alcuni in buona fede (ma con un inevitabile effetto retorico, vedi commento di Saviano) , da molti altri ipocritamente, proprio per saltare a piè pari la memoria recente, a partire da quella dell’anno scorso.
Dodici mesi fa, ricorda infatti Spinelli, era la Grecia a tenere banco su tutti i media, con un referendum che disse una cosa semplicissima: i greci volevano restare nell’Unione Europea (e pure nell’euro), ma non alle condizioni ingiuste dettate dalla “Trojka” (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale).
La volontà del popolo di uno stato membro fu umiliata, considerata meno di zero, con il plauso di tutti gli altri 27 governi, quell’informe massa grigia di centrodestra, destra, e sinistra di facciata, che va dalla Merkel a Hollande, da Renzi a Cameron, passando per i leader populisti (di ultradestra) come l’ungherese Orban (anche se con colpe maggiori dei paesi dell’eurozona, e ancor di più dei leader degli Stati indebitati, a partire da Renzi). Tutti contro uno, e i posteri valuteranno le responsabilità di Tsipras il “traditore”, che forse abbiamo sopravvalutato, in questa rubrica (vedi “Tsipras forever”), ma ci sarà tempo per l’autocritica.
Autocritica completamente assente nella maggioranza parlamentare europea, scrive Spinelli, per non parlare dei governi succitati. Nessuno sembra avere niente da rimproverarsi, non c’è un solo politico (ma vale anche per giornalisti e intellettuali) che ammetta un po’ di responsabilità per aver portato intere popolazioni, dall’Atlantico agli Urali, a pensare (con molte buone ragioni) che questa Europa è pensata per gli affari dei grandi gruppi industriali e finanziari (che tendono sempre di
più a coincidere) e contro i popoli. La crisi seguita alla tempesta finanziaria mondiale del 2008 ha semplicemente reso palesi storture presenti da anni.
Senza andare troppo in là, prendiamo spunto dal reportage sull’Estonia, che è del 2007, quando quasi nessuno parlava di “antipolitica” o del gettonatissimo “populismo”.“Paesi come l'Estonia non possono rappresentare il modello per l'Europa unita, come Tony Blair e il pensiero unico di stampo anglosassone ci vanno ripetendo da anni, contagiando perfino la Francia di Sarkozy l'“americano”: un'area di libero mercato, con una politica debole e senza molta giustizia sociale, che eventualmente gestisce le contraddizioni relegandole nella sfera dell'ordine pubblico, all'insegna di un “law and order” che vale solo per i perdenti, per gli scarti, sempre più numerosi, del sistema.”
Infatti, la seconda questione rimossa del passato recentissimo e del presente è quella dei rifugiati, che poi si allarga ai migranti: la meschinità e la vigliaccheria di Bruxelles (e dei governi europei) non ha avuto niente da opporre alle urla rabbiose degli xenofobi, dei razzisti e dei fascisti più o meno riverniciati. Come se avessero ragione, o almeno qualche buona ragione, quando non ne hanno nessuna. Loro, i pagliacci alla Salvini o alla Farage, dicono di essere anticapitalisti, e infatti pescano a piene mani in settori della popolazione che prima votavano i partiti socialisti, comunisti, laburisti, socialdemocratici e sinistra varia. Ma poi sbagliano bersaglio, chissà come mai, e invece di colpire in alto mirano sempre in basso, dimostrando un approccio che vorrebbe essere popolare, o addirittura proletario, ma è sempre e solo piccolo borghese, com’è nella quintessenza di tutti i fascismi: si guarda la prostituta straniera, ma non il cliente concittadino; ci si accanisce con lo spacciatore nordafricano, ma non con chi gestisce il vero business delle droghe (soprattutto quelle da benestanti come la cocaina).
Terza questione “in itinere”, del tutto ignorata: il TTIP, il trattato di libero commercio fra UE e USA, progettato in segreto (dal 2013) dalla nostra nomenklatura di tecnocrati, simboleggiati dalla pessima, arrogante, bugiarda Cecilia Maelstrom, da tempo asserviti alle logiche del libero mercato, cioè allo strapotere delle multinazionali. E’ così emblematica, la questione del TTIP, che prima è stata completamente oscurata (per la serie: non disturbate il manovratore); poi trattata con sufficienza, come fosse una secondaria questione di natura tecnica e commerciale (roba da ragionieri, per dire); infine, visto che era impossibile continuare come se niente fosse, è stata presa in considerazione, a furor di popolo, soprattutto per gli standard sanitari, alimentari e di protezione dei marchi. Anche chi si oppone da tempo al trattato ha insistito soprattutto su questi punti, sapendo che la gente è più sensibile e attenta su temi come la salute e l’alimentazione.. Si è puntato solo in seconda battuta sulla questione generale, che è politica, o se preferite ideologica (che non è una parolaccia), di visione del mondo: il diritto commerciale non può e non deve prevalere sul diritto pubblico, gli interessi delle multinazionali, che rappresentano solo gli azionisti (o meglio: i guadagni degli azionisti), non possono avere maggiore tutela degli interessi collettivi che gli Stati hanno l’obbligo di difendere, come l’ONU ha ribadito con forza e chiarezza assoluta nel 2015 (non fosse stato per un miniarticolo del “manifesto”, non ce ne sarebbe traccia).
Ecco, il punto sta proprio qui, e casca a pennello, considerando i neurodeliri di chi ha messo in discussione lo strumento del referendum, la democrazia diretta, e addirittura il suffragio universale (incredibile a dirsi, ma questo è stato uno dei due argomenti più dibattuti in seguito al Brexit; l’altro è quello del presunto conflitto generazionale, giovani europeisti contro vecchi nazionalisti).
Non si riesce ad avere un discorso intellettualmente onesto sugli elettori, sul “popolo sovrano”. Chi pensa che ci siano temi che debbano essere sottratti al responso dei popoli per la loro presunta complessità o perché materie troppo delicate, fa un discorso sostanzialmente reazionario, che non vale nemmeno la pena contestare più di tanto, perché manca dell’ABC democratico. Non c’è complessità che non possa essere resa semplice ed intelligibile, e questo sarebbe proprio compito degli intellettuali, e di chi fa informazione. Ma la “complessità” è solo una foglia di fico per nascondere il fatto che è molto più facile (e remunerativo) seguire la corrente, stare dalla parte del più forte, fare i gazzettieri dell’establishment.
Altrimenti molta gente non si sarebbe fatta blandire dalle lusinghe e dalle illusioni del neoliberismo, sia in salsa provinciale, autarchica (Berlusconi, ma anche Trump, che incarna il volonteroso “self made man”, l’uomo intraprendente unico artefice della propria fortuna), sia in chiave internazionale, col modello del libero professionista/lavoratore autonomo che fa carriera in qualsiasi parte del mondo.
Il popolo sovrano, quello ora temuto perché ha cominciato ad arrabbiarsi, la favola dell’iniziativa privata, del libero mercato che vede e provvede, della concorrenza e della competizione come soluzione di tutto, se l’è bevuta alla grande, e in molti casi se la beve ancora (vedi elezioni in Spagna). Sarebbe l’ora di cominciare a dirselo chiaramente, dopo un quarto di secolo che la sinistra vera, in Europa, non tocca palla. Sennò, stai a vedere che tutta ‘sta destra che ci governa da oltre 20 anni l’ho votata io.
Ma di sicuro è più difficile, anche per la sinistra, dire in faccia alle masse di consumatori mediamente felici fino a qualche anno fa (compreso i greci che nel 2004 si beavano del successo delle Olimpiadi di Atene e del titolo di campioni europei nel calcio) che sono stati anche loro causa del loro male, e lo sono ancora, sia quando seguono i pifferai che lisciano il pelo semplificando tutto con il nazionalismo (che funziona sempre, anche nell’ultima repubblica delle banane latinoamericana ) e con il capro espiatorio, lo straniero; sia quando si fanno paralizzare dai cantori della paura di tutto e mantengono disciplinatamente lo status quo. Cioè quando oscillano fra due opzioni di destra, una liberale e una conservatrice.
I dubbi sul Movimento Cinque Stelle, per tornare in Italia, stanno tutti lì. Nel fatto di cercare, qualche volta, argomenti di facile consenso. Non a caso fin qui di Europa ci hanno capito poco. Una critica al capitalismo che finisce in salsa nazionalista prima o poi porta alla deriva fascistoide.
La sinistra europea è arrivata ultima, nella costruzione della UE, ma ci è arrivata (forse).
Semplifichiamo: l’Europa sarà di sinistra, o non sarà. Il Brexit, nella sua negatività, può aiutare a fare chiarezza. I laburisti inglesi che vogliono scaricare la sconfitta su Corbyn fanno finta di non capire di chi è la responsabilità del “Brexit”, perché
dovrebbero ammettere di essersi venduti al padrone, ai tempi di Tony Blair. Idem i renziani. Idem i socialisti spagnoli, se faranno la Grande Coalizione con i popolari. . O la SPD tedesca. I socialisti francesi, e tutti gli altri gruppi politici europei di centrosinistra.
Costringiamoli a schierarsi sul TTIP, senza ambiguità. E regaliamogli l’idea semplice, chiara e vincente per uscire dall’impasse: dare valore costituente alle elezioni europee del 2019, magari previo referendum nazionale in ogni paese membro. “Volete che i vostri rappresentanti scrivano una vera Costituzione di un’Europa federale, con un governo che risponde agli elettori, e istituzioni modellate secondo le Convenzioni ONU, a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo?”.
Ecco una vera grande sfida democratica, popolare, antifascista. E’ la terza opzione, fra il mantenimento dello status quo, cioè la palude tecnocratica neoliberista da un lato , e il ritorno ai confini, alle sacre Nazioni e agli squilli di tromba nazionalisti e alla paura dello straniero dall’altro. Il neoliberismo risveglia i mostri fascistoidi. Ora le due destre si guardano in faccia, in Inghilterra. Noi dobbiamo seguire un’altra strada.
Cesare Sangalli