L’Italia al bivio, anzi, al “trivio” (come l’Europa)
La Corte Costituzionale ha aperto le danze. Di sicuro non ci annoieremo, in questo 2017. Liquidiamo subito il nuovo Grande Dilemma della politica italiana (ma come faranno i giornalisti a ripetere sempre le stesse cose, a vivacchiare nel nulla, parlando del nulla?) e cioè: al voto subito (giugno), fra un po’ di mesi, oppure fra un anno? Risposta semplicissima: al voto dopo i referendum presentati dalla CGIL, e approvati (due su tre)dalla Corte Costituzionale a gennaio, prima del pronunciamento sull’Italicum: uno sull’abolizione dei voucher, il secondo sull’abrogazione della non responsabilità della ditta appaltante rispetto alla ditta che subappalta. Dispiace per il referendum sull’articolo 18, il più ideologico, cioè di principio (in questa rubrica l’aggettivo non è squalificante). Ma i quesiti restanti, se approvati, sarebbero altrettanti siluri per affondare definitivamente la politica di Renzi.
Il compito di Mattarella non è così difficile, anche se il nostro presidente sta deludendo parecchio (ma un po’ è colpa nostra: troppe aspettative): basta non farsi manovrare come un pupazzo dal genietto fiorentino, detto anche “il Bomba”: le camere si sciolgono solo se il PD toglie la fiducia a questo governo, fotocopia del precedente. Un atto grave, che difficilmente si realizzerà (ma tutto è sempre possibile, siamo in Italia).
Anche perché Renzi e il PD devono andare al congresso, Mattarella lo sa bene, e sa bene come funziona la democrazia. Avallare la fuga di Renzi dal dibattito interno (in altri tempi ci sarebbe stato un vero e proprio processo politico, ma la presa renziana sul PD sembra ancora molto forte) e scippare la scelta popolare sui temi del lavoro sarebbe piuttosto indegno.
Non siamo certo contenti che il governo Gentiloni duri ancora un anno. Ma anticipare il voto sembra la classica fuga in avanti. A quanto pare non accadrà. Di fronte alla minaccia di scissione, Renzi ha fatto marcia indietro. Dodici mesi a disposizione per cercare di ridefinire il quadro politico, in modo di arrivare preparati al bivio, anzi, al “trivio”, visto che le strade sono essenzialmente tre, in Italia come in Europa.
La prima, la più gettonata fin qui, è quella di andare avanti nella continuità. Cioè in uno schema neoliberista, cercando solo di aprire qualche breccia nel rigore imposto dal “fiscal compact”, il patto sul pareggio di bilancio inopinatamente inserito nella Costituzione (ecco una mini-riforma costituzionale da fare subito, meglio se insieme agli altri paesi europei). Politicamente significa insistere, fino all’accanimento terapeutico, sulle “grandi coalizioni” fra centrosinistra e centrodestra, sempre più declinanti,e non certo per le difficoltà nel trovare accordi fra le varie forze politiche, ma per il vuoto crescente di legittimazione popolare.
In Italia la situazione è ancora più squallida, perché insistere su questo schema “tedesco” significherebbe un nuovo abbraccio fra PD e Forza Italia, con l’aggiunta dei soliti satelliti: Berlusconi non vede l’ora, Renzi continua a fingere di essere l’asso pigliatutto, ma la direzione è quella, e il destino di Renzi è segnato. Con tutto il rispetto, il suo destino è quello di rappresentare una scoreggia storica, lo stato gassoso della politica che si infrange contro la dura realtà dei fatti. Vedere la squadra renziana (e alfaniana) all’opera per altri 365 giorni dovrebbe sventare ogni tentativo di bis. Purtroppo, è probabile che il congresso non basti a far uscire il PD dal suo stato comatoso; ci vuole probabilmente una purga elettorale per tornare non tanto ai tempi di Bersani, o all’Ulivo, come si sta delirando, ma addirittura al 1993, a Occhetto, che tutto sommato era un’alternativa vera allo status quo dell’epoca (erano gli italiani a non essere pronti alla svolta).
Seconda strada: la destra-destra, quella che con elegante eufemismo si definisce “sovranista”. L’Italia agli italiani, fuori dall’euro e dall’Unione Europea (sempre che Salvini, Meloni & C. abbiano la chiarezza di posizione di Marine Lepen, di cui sono un clone maldestro e un po’ posticcio). Un anno di attesa aiuterebbe molto a chiarire le idee, visto che ci sarebbe tutto il tempo di vedere le scelte di olandesi, francesi (in particolare) e tedeschi. Ma in Italia, l’opzione di destra, per quanto i suoi leader alzino la voce e gonfino il petto, convinti di interpretare il malcontento crescente, non sembra affatto vincente. Il motivo è abbastanza semplice: gli italiani li hanno già visti in azione, cioè al governo, visto che il nostro Trump (Berlusconi) si palesò nel lontano 1994, sdoganando in un attimo fascisti e razzisti “alla Valsugana”, con tutto il peggior repertorio nazionalpopolare. No pasaran.
Terza strada: il cambiamento a sinistra. Che passa per un’affermazione del M5S. Decidete voi se aggiungere purtroppo. Certo, il movimento di Beppe Grillo è spurio, il suo leader ambiguo o confuso o tutt’e due, gli elettori sono eterogenei assai. Ma i temi di fondo, a partire dall’ambientalismo e dalla critica al sistema finanziario, tendono nettamente a sinistra. Tanto al parlamento nazionale quanto a quello europeo i rappresentanti del M5S votano, tre volte su quattro, insieme a SEL o al gruppo di sinistra europea (come confermato da Curzio Maltese). A livello di base, erano (eravamo) insieme ai referendum del 2011 (acqua bene comune, no al nucleare), insieme al referendum sulle trivelle, insieme al referendum sulla riforma Renzi, a difesa della Costituzione. Come linea politica potrebbe bastare e avanzare, con uno sforzo reciproco. Gli under 35 spingono decisamente in quella direzione, e questo fa ben sperare. Ma le idiosincrasie, dai 40 anni in su, sono ancora notevoli, purtroppo. Non è tanto l’atteggiamento sull’Europa o sui migranti l’ostacolo principale, anche se non si può ignorare una componente del M5S destrorsa e
qualunquista che pesa, agli occhi della sinistra-sinistra. E’ che la sinistra in Italia deve uscire dal suo complesso di superiorità, assolutamente immotivato, se si guarda a ieri l’altro (esperienze di governo), e all’impatto (minimo) sulle masse popolari (come si diceva una volta). E il M5S, dal canto suo, deve maturare, calibrando meglio atteggiamenti e parole, e trovando un assetto meno improvvisato e legato al leader e alla “Casaleggio e associati”. Ci fosse un congresso anche per loro, saremmo più ottimisti. Intanto vediamo se intorno a Sinistra Italiana si coagula una forza politica decente, che dovrebbe “rubare” voti al PD quanti il M5S ne prende un po’ a tutti, in particolare alla destra.
L’alleanza si dovrebbe costruire in Parlamento. E a quel punto, si potrebbe recuperare una parte del PD, o anche tutto, una volta smaltita l’ubriacatura renziana. La prospettiva non è affatto scontata, ma almeno cominciano ad esserci le condizioni. Condizioni che si crearono, per un attimo, solo al momento della mancata elezione di Rodotà. La maggioranza che allora seguiva Bersani è diventata presto minoranza, e ha dovuto subire l’arroganza di Renzi, perfino superiore a quella mostrata dai grillini al primo confronto, perché veniva in gran parte dagli stessi compagni di partito, presto saliti sul carro del vincitore. Quindi: sfida aperta ai renziani al Congresso, sfida alle primarie, e poi elezioni politiche (per l’eventuale scissione, c’è sempre tempo), possibilmente dopo aver incassato la vittoria ai referendum portati dalla CGIL (cioè dalla vecchia guardia di sinistra)
Il ritorno ad un sistema proporzionale (salvo “miracoli” dell’ultim’ora) ha già il grande merito di far uscire il paese dal culto del leader, dalle scorciatoie semplificatorie e menefreghiste, dalla mentalità della vittoria a tutti i costi, imbarcando nelle coalizioni di tutto e di più.
Si torni a fare politica vera, fuori dai salotti televisivi, ma anche fuori da Internet. Si deve recuperare almeno un po’ del buono che c’era nella Prima Repubblica, che abbiamo abbandonato (giustamente) per ritrovarci però molto più inquinati di prima: la Seconda Repubblica è stata un fallimento totale. Ma le cose si sono rimesse in movimento, a partire dal 2013 . Ora, tutto sommato, la nostra classe dirigente fa meno schifo. Sta per nascere davvero la Terza Repubblica (vedi “Nata sotto il segno dei pesci”). Un anno di gestazione potrebbe bastare.
Cesare Sangalli