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In mezzo al Paese di mezzo
“L’Italia di mezzo”: che idea geniale ha avuto Marco Follini. Il centro del centro, o qualcosa del genere. Il primo impulso, ovviamente, sarebbe una grossa risata, di fronte all’ennesimo tentativo di resuscitare la DC (la necrofilia dei democristiani è alla fine superiore a quella storica dei post-fascisti e a quella più recente dei comunisti). Ma con questi chiari di luna, potrebbe perfino risultare una formazione vincente, e cominciare a risucchiare i voti in uscita da Forza Italia (che saranno sempre di più, anno dopo anno, nonostante i patetici sondaggi di Berlusconi). Il fatto è che l’Italia di mezzo esiste davvero, ed è pure tanta. Si tratta solo di capire quanta.
L’Italia di mezzo è una palude enorme che prescinde da ogni vero discorso politico. L’Italia di mezzo se ne frega della politica, se ne frega dell’etica, se ne frega e basta.
Prendiamo l’ultima finanziaria, che tiene banco, in mancanza di meglio, in tutti i programmi e in tutte le testate giornalistiche (l’Italia moderna sa parlare solo di soldi, a stento si ricorda un “Ballarò” del buon Giovanni Floris che non abbia avuto il denaro per argomento unico). Dal nostro modestissimo punto di vista è una manovra accettabile, che non merita, né in positivo, né in negativo, tutto il can can che si sta facendo. Punto. La politica economica, sempre dal punto di vista di un profano, non ha mai subito un vero cambiamento, dal 1992 in poi (vedi “Soldi, soldi, soldi”). Anzi. destra e sinistra si sono spesso scambiati i ruoli, la sinistra che privatizza e liberalizza, la destra che accentra e si oppone allo straniero. Ma le linee guida sono sempre le stesse: avanti adagio, quasi indietro: una prudenza di antica scuola democristiana prende tutti quanti, al di là delle polemiche, che sono tanto più forti quanto meno importante è il contenuto. Per contro, sulle vere questioni, i toni si abbassano, fino al silenzio totale. Facevamo l’esempio dell’ultima finanziaria. Qui l’Italia di mezzo si fa davvero grande, anche se con diverse gradualità: è l’Italia che gode di privilegi ingiusti, che approfitta delle situazioni, che continua a non avere né senso civico, né senso di appartenenza.
Da un lato, la massa enorme, vergognosa, degli evasori fiscali, la stragrande maggioranza del lavoro autonomo: a parte qualche rara aves (diciamo, statistiche alla mano, i notai), tutti gli altri rubano alla grande, chi più (un esempio per tutti: i dentisti), chi meno (i farmacisti, un po’ di artigiani, un po’ di piccoli imprenditori , qualche commercialista, alcuni professionisti) . Le medie nazionali dichiarate al fisco sono sconcertanti, dovrebbero azzittire qualsiasi protesta., perché esiste anche un’Italia che le tasse le paga (se non tutte, una gran parte).
Dall’altro lato, un lavoro dipendente, quello pubblico, che in moltissimi casi è praticamente un prepensionamento, gente pagata per non fare quasi nulla (tanto che, in moltissimi casi, un lavoro vero lo si va a fare altrove, mantenendo la rendita). Una burocrazia enorme, ignobile, esosa, incompetente, arrogante. Milioni di “clientes” del malgoverno, di nemici del cittadino (di cui dovrebbero essere servitori).
Ecco l’Italia di mezzo: il bue che chiama cornuto l’asino, ma entrambi sanno di assomigliarsi almeno un po’, e quindi di meritarsi a vicenda. Sopra l’Italia di mezzo, che ruba talmente tanto e talmente spesso che non se ne rende neanche conto, ecco la
partitocrazia sovrana, che ha creato questo sistema a sua immagine e somiglianza, girando alla società civile gli scandalosi, surreali “costi della politica”, che ci garantiscono una delle peggiori amministrazioni d’Europa con i compensi più elevati del continente (e quindi del pianeta).
Qualcuno dirà: discorso semplicistico, ai limiti del qualunquismo. E allora qualcuno spieghi da dove viene fuori uno dei tre debiti pubblici più alti del mondo, se le cose non stanno così. Siccome i giusti, gli onesti, i meritevoli, i motivati, i dotati di senso civico, sono diventati dovunque minoranza, e spesso minoranza silenziosa, ci ritroviamo da 15 anni alle prese con gli stessi problemi e non ne veniamo mai a capo. Le cifre sono lì, impietose: otto governi otto (senza contare le edizioni “bis”), di destra, centro, sinistra, di transizione, di legislatura, tecnici, istituzionali, 14 finanziarie (di lacrime e sangue, di aggiustamento, di rilancio, di salvataggio) ma il debito pubblico non è mai sceso sotto il 100 per cento del PIL. Figuriamoci il 60 per cento dei virtuosi europei. E questo solo perché ci controlla l’Europa; altrimenti, il nostro destino “argentino” sarebbe già stato segnato, lo Stato avrebbe dichiarato la bancarotta, che ora chiamano elegantemente “default”, e gli italiani sarebbero stati costretti a guardarsi allo specchio, e vedere come si sono ridotti.
L’Italia di mezzo, quindi, esiste, e non ha nessuna voglia di cambiare. Si tiene strette le sue tv da idioti, la sua cultura maschilista e retrograda, il suo consumismo volgare, il suo cattolicesimo di facciata. Sono tanti i campioni dell’Italia di mezzo. Però ci sono alcune icone che meritano di essere citate.
Il volto per eccellenza dell’Italia di mezzo è quello di Bruno Vespa. Immutabile, con il peggior programma di informazione politica di tutti i tempi, Bruno Vespa è il gran maggiordomo dell’eterna partitocrazia. Nella notte dove tutto si confonde, due indicatori da tenere presenti: chi ha in casa anche un solo libro dell’interminabile serie prodotta da Vespa appartiene sicuramente all’Italia di mezzo (andrebbero censiti, con nome e cognome); e qualcosa sarà cambiato alla Rai quando Vespa sarà definitivamente oscurato, mandato a lavorare per Mediaset o per qualche tv regionale.
Però sparare su Bruno Vespa è perfino troppo facile, come passare in rassegna i nostri leader politici, che sono così piccoli che non si meritano neanche una condanna troppo gridata. No, l’Italia di mezzo ha anche altre icone, più sofisticate, ma ugualmente deleterie.
Ne vogliamo citare due fra le tante.
Una è quella rappresentata da Luca Cordero di Montezemolo, presidente di tutto (Fiat,
Ferrari, Confindustria), uno degli ultimi rappresentanti del cosiddetto “salotto buono” del capitalismo, l’imprenditore con quarti di nobiltà, il manager eternamente giovane, il nome buono per tutte le stagioni. Montezemolo vive della gloria riflessa degli Agnelli, cioè di un’altra mitologia a cui l’Italia di mezzo è assai legata. Ma basta pensare a come gestì l’organizzazione dei mondiali in Italia, nel 1990, l’ennesimo sperpero di denaro pubblico, l’ennesima occasione mancata che ci ha lasciato solo pesanti eredità (a partire dagli stadi già da rifare dieci anni dopo, “Delle Alpi” di Torino in primis), per capire come non abbiamo assolutamente bisogno di gente come lui, tutta chiacchiere e distintivo, in questo momento buio per il paese.
L’altra icona dell’Italia di mezzo veste color porpora e si occupa dell’anima cattolica della Terra dei Cachi: monsignor Camillo Ruini. Aggrappato alla DC morente fino all’ultimo (vedi “La messa è finita”), l’ineffabile don Camillo è riuscito a soffocare i fermenti positivi, che già non abbondavano, della Chiesa italiana. Se un marziano scendesse sulla terra, e magari comprasse “Avvenire” (o un qualsiasi quotidiano laico), penserebbe che quello che sta veramente a cuore ad una cinquantina di milioni di battezzati e sedicenti cattolici (di cui una dozzina di milioni praticanti) è impedire il matrimonio gay, discutere i PACS, difendere gli embrioni, limitare la fecondazione assistita o artificiale che dir si voglia. Cioè questioni, che, messe tutte insieme, riguardano si e no il due per cento degli italiani. Un po’ come la difesa delle scuole private cattoliche (sempre roba da ultraminoranze), o i distinguo sulla spinosa questione islamica (siamo di nuovo intorno al due-tre per cento di popolazione, cioè meno della metà dei tre milioni di stranieri residenti in Italia). Senza dimenticare i dotti interventi sui casi più efferati di cronaca nera, dal delitto di Cogne a quello di Novi Ligure. Il resto, mancia, come si suol dire. Di etica pubblica dei cattolici neanche l’ombra. Di contrasto al berlusconismo, inteso come rampantismo, ostentazione dei soldi, culto del successo a tutti i costi, manco a parlarne. Come di aprire un dibattito culturale serio, di grande respiro, sui rapporti storici del partito cattolico di massa con la mafia, con la questione meridionale, con il “familismo amorale”. Figuriamoci poi se i cattolici del paese di mezzo hanno voglia di confrontarsi davvero con i temi della solidarietà fra nord e sud nei tempi della globalizzazione, sulla questione ambientale intesa come moderazione dei consumi, sul presunto “scontro di civiltà”. No, i cattolici dovrebbero esultare, come ha fatto don Camillo, perché gli italiani disertano in massa (ovviamente) gli assurdi referendum sulla fecondazione assistita.
La sensazione è che il Paese di mezzo sia davvero molto grande. Follini è una nullità tale che potrebbe perfino sfondare, quando i giudici ci avranno finalmente tolto Berlusconi dalle palle. Se c’è da ridere o da piangere, decidetelo voi.
Cesare Sangalli