Il Fatto del Mese

 

IL FATTO DELLA SETTIMANA


Dopo due notizie piuttosto nascoste (la condanna di Lombardo, la prescrizione di Penati) e una gonfiata nei commenti (la richiesta di rinvio a giudizio per Vendola), questa settimana è la volta di una non notizia, una specialità italiana.
La non notizia è quasi sempre un annuncio, che viene ripreso dai giornali come se fosse un fatto reale. In questo caso, il titolo sparato con leggerezza è più o meno: “Governo: stop agli F35”.
Il lettore, soprattutto se un po’ distratto, è indotto a pensare che finalmente il decisionista Renzi ha messo un punto e a capo nella telenovela dei super cacciabombardieri di produzione Lockheed, che costano oltre 100 milioni di euro a velivolo (almeno 15 miliardi in tutto, ma potrebbero essere di più) e a quanto pare sono anche piuttosto difettosi.
In realtà, è solo il ministro (o ministra) della Difesa Roberta Pinotti che prima fa una dichiarazione (ambigua per la verità), poi la smentisce, sempre in modo ambiguo, mentre il governo conferma (ma non troppo), il Presidente della Repubblica ribadisce il concetto (“avanti tutta”), il Consiglio di Difesa dice che la questione non è di competenza del Parlamento, il Parlamento rivendica di poter decidere in materia. Insomma, non è successo niente.
Ma questo non significa che la questione non sia di assoluta importanza. Anzi. Sugli F35 si gioca una partita che ha implicazioni enormi. E non solo o non tanto per il grande risparmio che si potrebbe realizzare, in tempi di crisi e di tagli di bilancio. Ma perché getta una luce dentro il “Sancta Sanctorum” di tutti i segreti italiani: l’apparato militare e l’alleanza con gli Stati Uniti.
E’ una storia vecchia come la Repubblica. La ditta costruttrice, la Lockheed, è la stessa di uno dei più grandi scandali degli anni Settanta, che vide la condanna (rarissima allora) di un politico di primo livello, Mario Tanassi, segretario del PSDI e ministro della Difesa a libro paga della potente ditta americana.
Oggi i tempi sono cambiati: abbiamo avuto fino a ieri l’altro (governo Letta) un ministro della Difesa, Massimo Mauro, che per la Lockheed faceva addirittura gli spot, e pochissimi hanno avuto qualcosa da ridire (anche perché la notizia, come quasi tutte quelle che riguardano il settore militare e l’alleanza con gli USA, è stata nascosta abbastanza bene).
Il fatto è che sul tema degli F35 l’accordo centrodestra/centrosinistra è di ferro, e dura almeno dal 1996, cioè da quando il governo Prodi decise di aderire al progetto, come partner di secondo livello (cioè fuori dalle decisioni strategiche, che competono solo a USA e Regno Unito) insieme all’Olanda.
Decisione confermata e resa esecutiva prima dal governo Berlusconi (2002), poi dal nuovo governo Prodi (2007). Il parlamento approvò, praticamente all’unanimità, anche perché la disinformazione regnava sovrana: nel settore militare, che poi è quello dei servizi segreti, nessuno deve disturbare il manovratore.
La stessa alleanza di ferro, spezzata solo parzialmente dai magistrati italiani, ha riguardato il segreto di stato per gli agenti coinvolti nel sequestro di Abu Omar. Sulla questione, il rimpallo di responsabilità fra Prodi e Berlusconi fu ancora più comico: il cittadino era indotto a pensare che il segreto di stato si era creato da solo. E in qualche modo è così, perché questo resta il grande tabù della Repubblica Italiana, il dogma indiscutibile per omnia saecula saeculorum: l’appartenenza alla NATO, l’alleanza con gli USA, da cui discende direttamente la (quasi) totale impunità del settore militare e per estensione, di tutte le divise italiane..
Negli stessi giorni delle goffe dichiarazioni della ministra Pinotti e della solita nebbia sparsa dalla classe dirigente, su richiesta di Laura Boldrini il governo decideva di aprire i documenti riservati sul caso Ilaria Alpi, la giornalista uccisa in Somalia con l’operatore Milan Hrovatin perché indagava sui traffici di armi e di rifiuti tossici, sotto il controllo dei militari italiani e delle strutture della cooperazione (le bande somale ricevevano armi in cambio di siti dove seppellire veleni prodotti in Italia). Chissà cosa è rimasto, dopo 20 anni, in quei dossier. Ma almeno il caso si riapre.
Sarebbe molto, ma molto più facile dichiarare solennemente che “l’Italia si ritira dal programma degli F35”: a quanto pare, non ci sarebbe conseguenza alcuna, tranne un po’ di entrate in meno per Alenia e qualche altra ditta, e un grande risparmio dei soldi dei contribuenti.
Lo farà il decisionista Renzi? Noi ci crederemo solo quando sarà nero su bianco. Sarebbe il primo segnale in controtendenza rispetto all’imbarazzante servilismo nei confronti degli USA. Magari, in chiave europea, si potrebbe anche cominciare a dire che dall’accordo della Nato ci si può ritirare, magari alla sua scadenza decennale. Prossimo appuntamento, 2019: meglio prepararsi da adesso, altrimenti toccherà festeggiare gli 80 anni dell’alleanza (2029), e lasciare i nostri nipoti a piagnucolare che l’Europa non ha una politica estera.
Cesare Sangalli