Il Fatto del Mese
Tangentopoli alla nigeriana (viva l’ENI)
Per Renzi, non è successo niente. Lui dice che “l’Italia cambia verso”, ma certe nomine segnano la continuità totale: a capo dell’ENI c’era Scaroni, ora c’è Descalzi, che era il suo vice. Tradotto: la multinazionale italiana del petrolio (e del gas) sporca era e sporca rimane.
La notizia, di sicuro poco strillata, era “Descalzi indagato per corruzione internazionale”: l’ENI ha versato per anni tangenti al governo nigeriano per garantirsi lo sfruttamento di alcuni giacimenti di petrolio. In realtà, nell’indagine emergono anche delle belle “stecche” che i nostri boiardi dell’ENI giravano a se stessi, ma questi sono dettagli: la magistratura chiarirà.
Per Renzi, appunto, l’indagine non è un problema: Descalzi, da lui nominato, non si tocca.
Al nostro premier basta un tweet di sostegno al manager, e si va avanti come nulla fosse. E’ la conferma implicita che la notizia non giunge improvvisa, che tutti sapevano.
In effetti, la storia è vecchia, e la notizia delle tangenti nigeriane compariva nella nostra newsletter di “altrevoci”, luglio-agosto 2013 (controllare, please): in quel caso si parlava di gas, ma il filone di indagini era evidentemente lo stesso. Di più: delle tangenti SAIPEM (una controllata dell’ENI) per la costruzione del gasdotto dall’Algeria si parlava addirittura nella newsletter di gennaio, sempre 2013. Alessandro Bernini, direttore finanziario dell’ENI, si era dimesso in seguito alle accuse relative ad una tangente da circa 200 milioni di dollari pagata a membri del governo algerino per ottenere la realizzazione di un lotto di un nuovo gasdotto.
Insomma, storia vecchia, com’è vecchio lo sfruttamento feroce del petrolio nigeriano (vedi reportage sul sito, anno 1999) , che lascia alla gente del Delta del Niger solo l’inquinamento, e si prende il petrolio per i consumatori italiani, guadagnando un fiume di denaro (l’Eni è il primo gruppo italiano per fatturato).
Ma il giornalismo nazionale, tranne poche eccezioni, sembra funzionare alla rovescia. Quindi: della Nigeria, della lotta per la sopravvivenza dei popoli indigeni, dell’impiccagione del grande scrittore nigeriano Ken Saro Wiwa (1995), che lottava contro la Shell,è normale non interessarsi. Delle inchieste internazionali che riguardano dirigenti di gruppi controllati dallo Stato nemmeno, o solo negli angoli più negletti dell’informazione.
Alla terza ondata di scandali e di avvisi di garanzia (in gran parte dovuti alle inchieste dei PM milanesi De Pasquale e Spataro), dopo alcune dimissioni e perfino un arresto (l’ex ad Varone) i media nostrani sono stati finalmente costretti a dare uno spazio un po’ più ampio (sapete com’è, si tratta solo della multinazionale di Stato degli idrocarburi, cosa volete che sia). Ma già scatta un discreto coro di commenti (dal “Foglio” al “Giornale”, da “Libero” al “Garantista”) che parlano, di “giustizia ad orologeria”, di “vendetta dei magistrati”, di “attacco a Renzi che vuole riformare la giustizia”.
E Gad Lerner , su “Repubblica”, concede un’intervistona-piagnisteo al mitico De Scalzi, il fedele vice arrivato finalmente sulla poltronissima, grazie all’infornata di nomine di primavera targate Matteo Renzi. L’intervista è di un’ingenuità che fa pensare al tenero Giacomo, il personaggio della Settimana Enigmistica.
Perla numero uno: “Dopo una vita nel petrolio, sempre rimasto alla larga da giri loschi…”: Descalzi parte con un ossimoro: come si può essere un dirigente per anni nel settore petrolifero, il più oscuro e devastante dell’economia mondiale, e pretendere di rimanere “alla larga dai giri loschi”? Oltretutto Descalzi ha fatto buona parte della sua carriera in Africa: fa l’altro ha una moglie del Congo. Gli dev’essere sfuggito che proprio in Congo (non l’ex Zaire, ma il Congo c.d. Brazzaville – vedi “L’altro Congo” su www.globalwitness.it), e proprio negli anni in cui lui si occupava di Africa, c’è stata una lunga “guerra civile” fra tre fazioni, una guerra finanziata dalle multinazionali del petrolio senza nemmeno nasconderlo troppo, proprio per spartirsi i proventi dell’oro nero.
Quindi: per fare business nel mondo del petrolio, e per farlo in Africa in particolare, ci vuole tanto di quel pelo sullo stomaco che la metà basta (a Descalzi).
Perla numero due: Descalzi ammette (bontà sua) di avere incontrato Luigi Bisignani (ebbene sì, ancora lui: il faccendiere della P2 e della P4) , ma “tutte le successive comunicazioni passarono dal telefono di Scaroni”: lui non c’entra niente, i “cattivi” agivano a sua insaputa.
Perla finale: Descalzi sostiene che “né le multinazionali né i governi occidentali possono più permettersi la scorciatoia immorale della corruzione”, e che “sarebbe disastroso per tutti se il fiume di denaro riversato sull’Africa continuasse ad affluire nelle tasche sbagliate”.
Non si sa se ridere o piangere. Intanto, a proposito di scorciatoie, Descalzi si fa difendere dall’avvocato Paola Severino, ex ministro della Giustizia nel governo Monti.
Poi ci si chiede come faccia Gad Lerner a prestarsi ad un’operazione mediatica del genere.
La risposta, o almeno l’indizio, arriva con una breve ricerca su Internet (a proposito: doveroso segnalare dorsogna.blogspot.com, di Maria Rita D’Orsogna, laureata in fisica, attivista ambientale che collabora con “Il Fatto Quotidiano”) : dal 2008 esiste una rivista trimestrale patinata dell’ENI che si chiama “OIL”. Nel comitato editoriale si trovano Lucia Annunziata, Federico Rampini, Giuseppe Turani, tutti attuali o ex giornalisti di “Repubblica”. In compagnia di Moses Naim, cervellone della geopolitica USA (rivista “Foreign Politics”) e , udite udite, Joaquin Navarro Valls, ex portavoce di papa Woytila ). Aggiungiamo che Ferruccio De Bortoli fa parte della fondazione ENI, e che pure Sergio Romano collabora con la rivista del petrolio. Potete immaginare da soli quale sia la potenza occulta dell’ENI,e perché ogni questione legata al petrolio è praticamente tabù in Italia e nel mondo. Perfino la più grande manifestazione ambientale mondiale di sempre, quella di domenica 21 settembre, equinozio d’autunno, ha avuto uno spazio ultraridotto sui quotidiani nazionali (a parte la prima pagina de “Il manifesto”, con il Cristo brasiliano del Corcovado illuminato contro il riscaldamento del pianeta). Siamo trattati proprio da sudditi.
Cesare Sangalli