Il Fatto del Mese
Al Tribunale, la Palestina vale
La Palestina è stata ammessa nel Tribunale Penale Internazionale. E’ una notizia importante, un’altra tappa nel lungo percorso verso la piena indipendenza, unica vera soluzione per una pace duratura con Israele.
Avendo raggiunto lo status di “paese osservatore” alla fine del 2012, la Palestina doveva passare attraverso una decisione di Ban Ki Moon, segretario generale dell’ONU, che è arrivata nel mese di gennaio. A partire dal primo aprile 2015, la decisione avrà la sua piena efficacia.
Ma la prima conseguenza importante si è già concretizzata: è iniziata l’inchiesta sui crimini di guerra commessi dalle forze armate di Israele nell’invasione dell’agosto scorso (2104).
Il governo israeliano ha parlato di “decisione scandalosa” che vuole mettere in discussione “l’esercito più morale del mondo”.
Ora, il Tribunale Penale Internazionale non si è certo distinto , nel suo primo decennio, per l’efficacia della sua azione. Istituito nel 1998, con il Trattato di Roma, il Tribunale (ICC la sigla inglese, “International Crime Court”) è entrato in funzione nel 2002, dopo avere raggiunto il numero di ratifiche necessario. Sono ben 123 i paesi che hanno aderito al Trattato di Roma.
C’è tutta l’Europa, praticamente tutta l’America Latina, gran parte dell’Africa a sud del Sahara, più Oceania e Canada. Schematizzando, li possiamo definire i “paesi della pace”. Paesi che hanno accettato di limitare la propria sovranità, e di essere sottoposti ad un giudizio “super partes” in caso di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio. La giurisdizione del Tribunale riguarda infatti atti commessi da chiunque sul territorio degli stati membri, oppure crimini commessi da cittadini degli stati membri in altri paesi.
L’elenco dei paesi che non hanno aderito al TPI comprende Stati Uniti, Russia e Cina (cioè tre dei cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU), ovvero le tre più grandi potenze militari del mondo, e una serie di stati nemici fra loro, come Israele e Iran, India e Pakistan, Etiopia ed Eritrea; poi ci sono quasi tutti gli stati della Lega Araba, le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, la Turchia, l’ Indonesia, più gli ultimi paesi a regime comunista: Corea del Nord, Bielorussia, Cuba, Vietnam, Laos.
Si capisce quindi che l’azione del Tribunale è già in partenza limitata dal fatto che i paesi più bellicosi, quelli che hanno più probabilità di finire sotto accusa, non ne fanno parte.
In pratica, fin qui la giurisdizione è stata esercitata solo nei confronti di paesi africani; e in più di dieci anni è stata emessa una sola condanna (a Thomas Lubanga, capo di una fazione guerrigliera nel Congo RDC), a fronte di un costo di 900 milioni di dollari, come fanno notare i tanti detrattori dell’istituzione.
Al di là delle oggettive difficoltà ad esercitare un potere reale nel mondo, assai criticato è stato l’approccio di Luis Moreno Ocampo, l’uomo che per la prima volta nella Storia ha rivestito il ruolo di pubblico ministero mondiale (“procuratore capo”).
Moreno Ocampo, prima di lavorare per il TPI, si era distinto nelle inchieste contro gli ufficiali argentini colpevoli delle desapariciones: era la prima volta da Norimberga che alti gradi militari venivano processati per omicidi di massa. Ocampo sembrava davvero l’uomo giusto al posto giusto.
Ma in veste di procuratore del TPI è sembrato troppo condizionato dall’establishment USA, soprattutto quando si è prestato alla ridicola operazione mediatica contro Joseph Kony, criminale di guerra ugandese (“Make Kony famous”: un video di un giornalista americano che chiedeva al governo americano di arrestare entro l’anno 2012 il criminale di guerra, un video che ha ottenuto oltre 80 milioni di sottoscrizioni on line, un’operazione di marketing) . Per l’opinione pubblica americana, c’è sempre qualcuno che veste i panni del cattivo, e ovviamente gli USA hanno il dovere morale di punirlo, a prescindere da qualsiasi legge, operando da sceriffo del mondo.
L’Africa purtroppo pullula di capi banda in divisa disposti a tutto per avere un po’ di potere.. Ma certo non è solo sul suolo africano che si sono visti crimini di guerra e contro l’umanità.
In realtà, contro la presunta parzialità del Tribunale (“ve la prendete solo con i paesi poveri”), si sono pronunciati i governi africani molto più della gente comune, in molti casi ben felice di vedere banditi ed ex potenti alla sbarra. .Però resta il problema della sostanziale impunità dei paesi più forti.
Il nuovo procuratore capo è una donna africana, Fatou Bensouda. Classe 1961, originaria di una famiglia musulmana poligamica, Bensouda ha lavorato per anni come magistrato nel suo paese, il Gambia. Il fatto che la sua carriera, da tutti considerata brillante, sia avvenuta in un paese guidato da un presidente militare, non certo un campione di democrazia, non è ben visto dai più critici (come il fatto di essere stata per anni la vice di Moreno Ocampo). Ma Bensouda si è fatta conoscere anche per l’indipendenza e la fermezza: vedremo come si muoverà. Fatto sta che da oggi (o meglio, dal primo aprile) sarà molto più difficile per Israele intervenire in Palestina con la pretesa di farsi “giustizia” da sé, al di sopra di ogni legge che non sia la propria. C’era un grande bisogno di iniziare l’anno con una buona notizia sul fronte della guerra: la forza della legge contro la legge della forza.
Cesare Sangalli