Il Fatto del Mese
Prendi i soldi e scappa (con la cassa dei giornalisti):
l’incredibile storia dei fratelli Magnoni
La notizia sembrava quasi banale, con tutto quello che succede in Italia: l’INPGI, l’istituto di previdenza dei giornalisti, è stato truffato per diversi milioni di euro, spariti nella bancarotta (fraudolenta) della SOPAF, una società di investimenti immobiliari controllata dai fratelli Magnoni.
Nelle truffe dei Magnoni sono cadute anche la Cassa dei ragionieri e quella dei medici.
Il nostro intento era anche quello di denunciare la pessima gestione (sempre che non emerga altro dalle indagini in corso) del presidente dell’INPGI, Andrea Camporese, un nostro “fortunato” collega, che dalla redazione regionale RAI del Veneto si è trovato, a 44 anni, a dirigere (!) l’ente pensioni dei giornalisti, con un compenso di oltre 250mila euro all’anno, che oltretutto non gli bastavano (soltanto “Il Fatto Quotidiano” ha avuto qualcosa da ridire al riguardo).
Ma è bastato approfondire un po’ la sporca faccenda, per vedere emergere, come la classica punta dell’iceberg, una storia allucinante, che uno si chiede come mai non sia stata sbattuta in prima pagina, a nove colonne, su tutti i giornali, o perché non sia stata ripresa da qualche trasmissione TV.
Controprova, (se magari ci fosse sfuggito qualcosa): chi di voi lettori ha mai sentito parlare dei fratelli Magnoni?
Forse vi è rimasto nelle orecchie il nome di Buzzi, e della sua cooperativa implicata in “Mafia Capitale”. Ma basta guardare le cifre per capire che quello romano è uno scandaletto, al confronto, e che Carminati, Buzzi, Alemanno, Odevaine & Co. sono dei dilettanti, gente che, almeno stando a quanto emerso fin qui, si vendeva anche per 5mila euro al mese.
Davvero robetta, e da questo punto di vista ha ragione Ferrara, che si guarda bene, però, dal denunciare gli scandali “veri”. Questa storia è dedicata anche a lui, visto che risale agli anni Settanta, periodo in cui il comunista Ferrara prendeva la paghetta dalla CIA (lo ha detto lui),magari per tacere (perché c’entrano pure gli USA, nella storia dei Magnoni). Vediamola..
I Magnoni sono gli otto figli di Giuliano, vecchio esponente della finanza milanese, e di Maria Carmen. Ecco i loro nomi: Giorgio, Pier Sandro, Vittoria, Aldo, Massimo, Ruggero, Consuelo e Giuliana.
Ricostruire la loro storia familiare è un’impresa: le tante fonti on line dicono più o meno tutte le stesse cose, e in gran parte magnificano le numerose attività filantropiche della Fondazione che porta il loro nome.
Questa difficoltà a reperire informazioni è già di per sé assai significativa. Ma la rimozione più emblematica riguarda un fatto che pure compare spesso negli articoli sullo scandalo SOPAF, ma sempre in maniera fugace, quasi fosse secondario (perfino Gad Lerner, parlando proprio delle coperture nel mondo dei media di cui godono i Magnoni, sembra scordarsene). Parliamo della collaborazione del padre Giuliano e soprattutto di PierSandro con Michele Sindona, di cui PierSandro era genero, avendo sposato Maria Elisa Sindona,e dei loro stretti contatti con la mafia.
Pier Sandro Magnoni è stato coinvolto nell’omicidio di Umberto Ambrosoli, l’avvocato “eroe borghese” (vedi film) che doveva liquidare la fallita Banca Privata Italiana,, e che stava scoprendo tutto il verminaio creato dal bancarottiere Sindona, e cioè i suoi legami con la politica (Andreotti in primis), le sue referenze vaticane, i suoi ottimi agganci con l’intelligence americana,e, soprattutto, le sue affiliazioni a massoneria e mafia ( a partire dalla famiglia Gambino di New York).
Qualche tempo dopo l’omicidio di Ambrosoli, commissionato alla mafia da Sindona, PierSandro Magnoni si trova ad organizzare il finto rapimento dello stesso Sindona, che aveva bisogno di sparire per qualche tempo per sottrarsi alle indagini e sistemare un po’ di cose direttamente con i boss siciliani (gli Inzerillo, gli Spatola). Magnoni fornisce a Sindona una falsa identità e un falso passaporto, gli organizza il viaggio per la Sicilia via Grecia, agendo in combutta con i mafiosi americani.
Succede poi che indagando su questa storia, i magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo scopriranno, quasi per caso, nell’indagine su in commerciante aretino massone, uno strano elenco di altissimi funzionari di Stato, leader politici, giornalisti: il commerciante è Licio Gelli, la lista è quella degli appartenenti alla Loggia P2.
Come vedete, si torna sempre lì, al nodo massone - mafioso- anticomunista (diciamo pure fascista, la CIA, lo sappiamo, non ha mai guardato troppo per il sottile, vero Ferrara?).
Attenzione: non stiamo parlando di qualche ricostruzione giornalistica con una certa credibilità (come quella dell’ottimo Gianni Barbacetto, uno dei pochi che si è calato davvero in queste vicende). Ci sono gli atti processuali del Tribunale di Palermo, dove Magnoni risulta imputato con uno stuolo di picciotti e capi-bastone mafiosi, fra i quali il mitico Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, l’uomo ombra di Berlusconi (e di Dell’Utri).
Insomma, tutte queste notizie, invece di essere sparate per giorni e giorni e riprese da inchieste e dibattiti, sono comparse pochissimo, E noi le abbiamo tratte addirittura da una newsletter dei giornalisti (quella di Franco Abruzzo).
Ma state certi che l’omertà, per essere veramente efficace (efficacissima, nel caso dei Magnoni, quasi quanto quella sulla famiglia Agnelli e su De Benedetti) deve essere bipartisan, avere agganci a destra e a sinistra. E infatti.
Un altro Magnoni, Ruggero, era vicepresidente per l’area Europa di Lehman Brothers (unica banca fallita nella crisi finanziaria del 2008), e presidente, sempre per l’area europea, di Nomura, la banca giapponese che ha fabbricato uno dei prodotti derivati all’origine del disastro del Monte dei Paschi di Siena, disastro causato dal “compagno” Mussari. Ci siamo spostati decisamente a sinistra, nell’area del PD.
Ma già prima delle truffe col Monte dei Paschi, Ruggero Magnoni si era distinto nella scalata di Colaninno e soci (i “capitani coraggiosi”) alla Telecom, una spregiudicata operazione fatta senza soldi, con la protezione di Massimo D’Alema (altro che bottiglie di vino e libri, altro che bonifici alla Fondazione “Italiani Europei”). L’amicizia di Magnoni con Colaninno è strettissima, stanno insieme nella holding IMMSI quotata in Borsa. Ma i Magnoni sono in ottimi rapporti pure con la famiglia De Benedetti. Forse si comincia a capire perché nessuno di voi (di noi) li ha mai sentiti nominare.
Fra le scoperte casuali della nostra piccola ricerca, ce n’è un’altra molto milanese: sapete chi era l’avvocato difensore dell’assassino di Ambrosoli, il killer italo-americano Robert Venetucci? L’attuale sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Forse quella difesa se la poteva risparmiare, ma questa è solo una nostra opinione.
Chiudiamo invece questa incredibile storia occultata dalla Grande Informazione come l’abbiamo iniziata, da giornalisti che scrivono sulla Cassa dei giornalisti e sul collega Andrea Camporese, che, ripetiamo, fin qui è solo indagato: il suo nome risulta nel comitato di consulenza dell’Adenium, società collegata alla truffaldina SOPAF dei fratelli Magnoni. E’ solo uno dei quattro incarichi extra del nostro austero direttore, che, senza produrre una sola pezza d’appoggio, ha detto che i 25mila euro del compenso annuo per sedere sull’ennesima poltroncina, li ha dati in beneficenza. Anzi in BENEFICIENZA, con la “I” come ha scritto Camporese nella sua replica al “Fatto Quotidiano”. Questi sono i vertici del giornalismo italiano, mentre tutti si apprestano a celebrare il ritorno in Tv del più famoso giornalista iscritto alla P2, Maurizio Costanzo, il vero intoccabile.
Solo il compianto grande fumettista Andrea Pazienza da San Severo (FG) osò rompere a modo suo il conformismo imperante, allora come oggi: in una vignetta-ritratto, disegnò il faccione di Maurizio Costanzo che parlava, parlava, parlava, spandendo saliva da tutte le parti. In un riquadro in fondo al ritratto, stava scritto: “Ma stai zitto, piduista di merda”.
Cesare Sangalli