Il Fatto del Mese
L’Italia vende la morte
Gli assassini amano il silenzio. Il rumore assordante delle bombe sganciate sullo Yemen non sembra arrivare in Europa, meno che mai in Italia. Ci sono voluti quattro anni di guerra e milioni di profughi per “scoprire” finalmente il dramma della Siria. Lo Yemen è ancora troppo lontano ed esotico per attirare la nostra attenzione. Eppure la fabbrica della morte in azione nella penisola araba, i cui artefici non sono poi molto diversi da quelli al lavoro in Siria, ha messo la freccia e ha superato, cifre alla mano, l’orrore siriano: in Yemen nel 2015 sono stati uccisi più civili che in Siria.. Nel silenzio, appunto. Il silenzio è complicità, sempre. Martin Luther King lo aveva spiegato bene, ma non abbiamo imparato la lezione: “Più del male dei pochi, io temo l’indifferenza dei molti”. Papa Francesco ha denunciato con chiarezza il male: “La guerra è proprio la scelta per le ricchezze: 'Facciamo armi, così l'economia si bilancia un po', e andiamo avanti con il nostro interesse” . Maledetti gli operatori di guerra, i mercanti di armi; benedetti gli operatori di pace: la condanna del pontefice non ammette Realpolitik. Il resto non è compito del papa, ma di chi fa informazione e di chi fa politica. E come vedremo, si salvano in pochi, pochissimi. I fatti. Lo Yemen nel 2011 ha vissuto la sua brava “primavera araba”, per cacciare un presidente, Ali Abdallah Saleh, che spadroneggiava da oltre vent’anni (1990). Il successo era stato a metà: Saleh aveva accettato giocoforza di lasciare la carica, ma era solo una mossa tattica. Visto che già c’erano i segnali di una potenziale guerra civile, in un paese dove tutti sono armati per tradizione, l’elezione plebiscitaria (2012) del vice di Saleh, Mansour al Hadi era sembrata una soluzione positiva, per quanto parziale, della rivolta popolare . Ma il cambio del presidente non ha significato un vero cambiamento politico: dopo un paio di anni di transizione inconcludente, con i cambiamenti promessi rimasti solo nelle dichiarazioni, una minoranza emarginata da sempre, anche perché di religione sciita , gli Houti, ha scelto la strada della forza. Sono scesi dalle montagne del Nord , avanzando quasi incontrastati fino ad occupare la capitale Sanaa e metà del paese, molto vicini alle basi navali sul Mar Rosso.
A quel punto, l’Arabia Saudita, preoccupata di vedere un governo amico dell’Iran in una zona strategica, ha scatenato l’inferno: dal marzo dello scorso anno, gli aerei sauditi bombardano a tappeto lo Yemen, in maniera indiscriminata e quindi criminale. Sono state colpite scuole, ospedali (compreso quello di Médécins Sans Frontières, che sembra ormai un bersaglio mondiale), perfino un centro per bambini sordo-ciechi. E qui entra in campo l’Italia. Molte delle bombe sganciate sono ordigni denominati “Blu 109” e “MK 82”, fabbricati a Domusnovas, in Sardegna per conto della RWM di Brescia, una filiale della Rheinmetall AG, azienda tedesca. Il contratto di vendita rientrerebbe in una fornitura commissionata agli USA dall’Arabia Saudita (dobbiamo l’informazione alla ministra Pinotti, poi vedremo perché). Meraviglie della globalizzazione. Le bombe fatte in Italia, caricate in aeroporti e porti italiani, imbarcate su navi italiane non risultano vendute dall’Italia. Fare finta di niente, nascondersi dietro ad un dito, è anche peggio che assumersi in toto la responsabilità politica: siamo alleati degli Stati Uniti, gli Stati Uniti sono alleati dell’Arabia Saudita, l’Arabia Saudita guida la coalizione con gli altri paesi arabi filo-occidentali, dalle petromonarchie con cui facciamo da sempre ottimi affari, fino ai regni di Marocco e Giordania, e con l’appoggio fondamentale dell’Egitto del presidente dittatore Al Sissi, il nuovo Mubarak, ora in grave imbarazzo per l’efferata uccisione del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni. Il paradosso è che a ricordare una sorta di “correttezza politica” (virgolette obbligatorie) delle forniture belliche all’Arabia Saudita è stato Mauro Moretti, amministratore delegato di Finmeccanica, la grande madre di tutte le fabbriche di armi e di difesa strategica, nonché “refugium peccatorum” dei poliziotti responsabili delle violenze di Genova, da De Gennaro a Caldarozzi. Moretti, ex manager strapagato di Trenitalia, per Finmeccanica punta principalmente al mercato delle armi, in particolare nel campo dell’aviazione. Ha insistito sulla produzione dei famigerati F-35, che pure vede l’Italia in un ruolo del tutto secondario, con scarsissima creazione di posti di lavoro, solo perché sa che sono come una cambiale da pagare al Pentagono, col fine di sfruttare l’influenza di Washington sui paesi acquirenti di armi, soprattutto in Medio Oriente. Fedeli alleati politici, insomma, per avere un ritorno economico (mentre il Canada, per esempio, sta facendo il contrario, si è sfilato prima dal pessimo progetto degli F35 ne ora anche dalla partecipazione ai bombardamenti in Medio Oriente; e la Germania ha sospeso le forniture di armi all’Arabia Saudita, rinunciando per il momento ad un business che fruttava 360 milioni all’anno). Su questa linea aggressiva, Moretti ha potuto contare sull’appoggio totale del governo Renzi. Ma nonostante la linea netta, quasi arrogante, di Moretti e, indirettamente, di Renzi, le risposte della politica sono state balbettanti, evasive, laconiche: in pratica delle non risposte. Certo, non è che sul lato delle domande ci sia stata grande pressione, politica o mediatica. Alla Camera, si registra una sola interrogazione parlamentare a risposta scritta targata SEL e firmata in primis da Giulio Marcon, del luglio 2015. La risposta del sottosegretario agli Esteri, Benedetto Dalla Vedova, ex radicale seguace di Pannella, è arrivata a primi di febbraio, ed è sconcertante, in linea con le altre non risposte del governo: si dice che l’esecutivo non ha dato alcuna autorizzazione all’invio di armi in Yemen (ma la domanda riguardava l’Arabia Saudita!); poi si dice che non ci sono sanzioni internazionali contro l’Arabia Saudita; e infine si ribadisce che l’Arabia Saudita è impegnata nella lotta al terrorismo. L’Italia – nella versione di Dalla Vedova - ha chiesto comunque al governo yemenita (non si capisce se quello degli Houti o quello di Hadi) di riaprire i porti sul Mar Rosso per consentire l’invio di aiuti umanitari. Tipica ipocrisia della comunità internazionale: da un lato manda le bombe, dall’altro gli aiuti umanitari. Le altre tre interrogazioni sono state fatte da alcuni deputati del PD, del M5S e del Gruppo Misto, a firma del capogruppo Orellana (ex grillino). L’unica risposta fin qui pervenuta, quella del ministro degli esteri Gentiloni, è stata perfino più evasiva: nessuna autorizzazione da parte del governo, e comunque le cifre del commercio di armi con l’Arabia Saudita sono più basse di quelle citate. Per Amnesty International, solo la RWM ha spedito negli ultimi tre anni armamenti in Arabia Saudita per un valore di 60 milioni di euro. Secondo altre fonti, il business militare con i sauditi ammontava nel 2013 a oltre 300 milioni di euro, facendo di Riyad il nostro primo cliente . La perla “finale”, in due puntate, è stata quella della ministra della Difesa, Roberta Pinotti, che oltretutto proviene dagli scout, proprio come Renzi,e ha avuto perciò una formazione pacifista. Prima si è limitata a dire che era tutto regolare, e che la fabbrica di Domusnovas era di proprietà tedesca (se non ricordava male). “Distratta quando ti conviene”, avrebbe detto Vasco Rossi. Visto che molti pezzi degli armamenti italiani, arrivati direttamente a Dubai, sono stati assemblati negli Emirati Arabi Uniti, difficile che l’argomento sia rimasto al di fuori dei colloqui che Pinotti ha avuto con il governo emiratino nelle due visite effettuate ad Abu Dhabi nel corso del 2015. Ad una seconda intervista (per “Repubblica TV”) che a tutt’oggi risulta l’ultima esternazione della nostra solerte ministra, Pinotti parla di un accordo fra Arabia Saudita e Stati Uniti, che comprenderebbe la fornitura della bombe fabbricate in Italia. E con questo “scoop”, mai citato in precedenza, vorrebbe chiudere ogni polemica, e spazzare via le accuse false che sono “circolate sui social network”. In effetti, in TV e sui grandi quotidiani la sporca guerra dell’Arabia Saudita in Yemen, con i suoi crimini evidenti e reiterati, la sua crudeltà inutile, la sua assurdità politica, non è praticamente apparsa. Non un titolo a nove colonne, non una foto di un bambino colpito a scioccare l’opinione pubblica, non un’apertura di notiziario: solo il minimo sindacale di qualche articolo nelle pagine interne, qualche agenzia, qualche sporadico servizio. In pratica, la rimozione totale. Nell’era dei mille canali digitali, nell’era di Internet, dei satelliti, della comunicazione, non sappiamo cosa succede a cinque ore di volo dall’Italia. Oppure lo sappiamo benissimo, e va bene così. Gli assassini amano il silenzio.
Cesare Sangalli