Il Fatto del Mese

 

Queste Isole sono poco Vergini
(alla faccia del Brexit)


Questa è una storia che parla inglese, con tanto di “Union Jack” che sventola in giro per il mondo, e sembra fatta apposta per rovesciare il senso del “Brexit”. E’ una storia molto “global”, che restituisce le vere coordinate politiche, così poco nazionali, così poco legate a quei sacri confini che gli inglesi, a quanto pare, vorrebbero ripristinare, o che vorrebbero vivere solo in chiave “imperiale”. Ma l’impero di oggi è finanziario, e quindi ha una dimensione tutta sua., liquida, veloce, nascosta.
Parliamo infatti degli affari di uno sconosciuto, potentissimo imprenditore israeliano, Dan Gertler, uno di quelli che fanno la politica nel mondo, ma non compaiono mai ufficialmente, non ci mettono mai la faccia, abituati a lavorare dietro le quinte del palcoscenico dei voti e delle elezioni. Per risalire a loro, bisogna fare il giro del mondo delle società finanziarie nascoste una nell’altra. E solo allora il mosaico si ricompone, e si vede la vera trama della realtà, senza bisogno di ricorrere ad inquietanti tesi complottistiche, che fra l’altro sono spesso infarcite di antisemitismo puro: basta solo una robusta inchiesta giornalistica, come quella che ha portato a galla i “Panama Papers”.
Partiamo proprio da lì, dalle migliaia di “files” sottratti allo studio “Mossack Fonseca” di Panama City. Per definire Dan Gertler, basterebbe dire che perfino per il disinvolto studio panamense, creatore di società fittizie per gli evasori fiscali di tutto il mondo, i soldi di Dan erano troppo sporchi: “Blood diamonds”, sentenziò nel 2010 Jennifer Fonseca, figlia del fondatore dell’agenzia. Nessun problema: Gertler portò i soldi alla concorrenza, per poi rientrare in molti altri modi nella stessa Mossack Fonseca (200, per l’esattezza: tante sono le volte che il nome di Gertler compare nei documenti, ogni volta con un società diversa).
I diamanti sono all’origine della ricchezza della famiglia Gertler, fin dai tempi del nonno di Dan.
I diamanti portano quasi inevitabilmente in Africa, e soprattutto nell’ultimo ventennio (Dan è nato nel 1973) sono molto spesso sporchi di sangue innocente.
Nella Repubblica Democratica del Congo è così da sempre: il ciclo sfruttamento minerario, soldi, violenza, va avanti fin dall’indipendenza (1960), ma si potrebbe dire da quando è iniziata la colonizzazione belga, alla fine dell’Ottocento. L’anno di grazia, per Dan Gertler, è il 1997, e il salto di qualità del giovanissimo “trader” è legato alla scommessa vincente sull’uomo giusto, che si chiama Laurent Desiré Kabila, ed il leader guerrigliero che spodesta Mobutu in pochi mesi.
Per la sua impresa, Kabila ha bisogno di soldi, di 20 milioni di dollari: Gertler glieli trova rapidamente, anche se deve chiedere a banche e finanziarie: oggi per lui sono bruscolini. Kabila conquista il potere e cede subito le concessioni minerarie dei diamanti in regime di monopolio al businessman israeliano. Tutte le multinazionali del settore minerario si accomodano al nuovo tavolo delle trattative, ma Gertler è stato più veloce e più spregiudicato di tutti, tanto da diventare amico intimo del quasi coetaneo Joseph Kabila, figlio del nuovo uomo forte, nonché giovanissimo capo delle forze armate.
L’attuale presidente (uscente, ma non troppo) del Congo RDC prende il posto del padre nel 2001. Una successione drammatica: il vecchio presidente viene ucciso da una delle sue guardie del corpo. Nessuno sembra interrogarsi più di tanto sul misterioso omicidio; ma è piuttosto evidente che non si tratta del gesto isolato di un folle. Non è così difficile ipotizzare (diverse fonti giornalistiche lo hanno fatto) che si sia trattato di un parricidio, anche perché Joseph non sarebbe figlio naturale di Laurent (del loro passato si sapeva poco). Anzi, fonti autorevoli segnalano le sue ascendenze ruandesi,e il Ruanda filoamericano è stato determinante nella rapida vittoria militare contro il corrotto esercito di Mobutu; ma poi il vecchio Kabila aveva cacciato i ruandesi dal paese, perché non ci stava a fare il burattino di Kagame, uomo forte di Kigali.
Fatto sta che gli intrecci finanziari di Gertler in Congo diventano immensi: dai diamanti si passa al rame,e dal rame ci si allarga al coltan e al petrolio. Gertler acquista concessioni per giacimenti petroliferi congolesi a prezzi stracciati, e prima ancora di iniziare a sfruttarli, le rivende al governo a 300 volte il prezzo di acquisto.
Il saccheggio spaventoso delle risorse del Congo, che va avanti dalla notte dei tempi, continua senza pietà. Più sono gli attori, più la concorrenza si fa spregiudicata, diventa una lotta per bande, che per tre anni coinvolge anche i paesi confinanti: tutti contro tutti nelle zone minerarie dell’est; ma dal lato dei “ribelli” ci sono Uganda, Ruanda e Burundi. Dalla parte del governo, Angola, Namibia e Zimbabwe. Finiscono in mezzo anche il Sudan e il Centrafrica. La guerra finisce ufficialmente nel 2003, con un bilancio spaventoso di vittime civili, causate direttamente o indirettamente dal conflitto: dai due ai tre milioni di persone.
Il flusso di minerali, comunque, non si ferma mai; il libero mercato conferma la sua feroce efficienza, e gente come Gertler accumula fortune mostruose. La pace non è mai raggiunta definitivamente; c’è sempre una nuova formazione, una nuova fazione armata, nuove irruzioni nei villaggi, nuovi stupri (una quantità apocalittica), con la più grande missione militare dell’ONU (17mila soldati) quasi sempre passiva.
La politica sembra fare notevoli passi avanti (vedi reportage sul sito), con la nuova Costituzione e le due elezioni democratiche che confermano Kabila, la prima volta (2006) in maniera abbastanza netta, la seconda (2011) con brogli clamorosi. La terza è attesa per il 27 novembre, ma Kabila, che non può candidarsi per la terza volta, sta facendo di tutto per rimandarla. Nel 2011, in cambio dei finanziamenti di Dan Gertler per la sua campagna elettorale, Kabila ha fatto perdere al Congo un miliardo e mezzo di dollari (rapporto di “Global Witness”) di mancati ricavi, una cifra che rappresenta più del doppio delle spese annuali in sanità e istruzione.
Arrivati a questo punto, ecco che la storia prende un accento molto “british”, perché la rapina ai danni dei “dannati della Terra” (Frantz Fanon) e lo scippo della democrazia avvengono sotto l’egida della Regina Elisabetta, per quanto possa suonare offensivo agli ammiratori della “Royal Family”.
Tutte le operazioni finanziarie sopra descritte sono passate da società delle Isole Vergini, un gruppo di isolette caraibiche vicine a Portorico che sono sotto la sovranità di Sua Maestà Britannica. Scoperte da Cristoforo Colombo, vennero ribattezzate “isole di sant’Orsola e delle undicimila vergini”, in onore alla leggendaria santa patrona delle giovani e delle insegnanti, riferimento delle suore Orsoline. La santa compare nella bandiera verde delle isole, con il motto latino incredibilmente sarcastico: “Vigilate”.
Proprio ciò che non vogliono le centinaia di migliaia di società “off shore”che hanno sede qui, e nelle vicine isole Cayman, sempre colonia britannica. I paradisi fiscali sono collegati fra loro, come dimostrano le due società fantasma per i soldi sporchi del Congo che fanno capo a Dan Gertler: la “Foxwhelp Ltd” e la “Caprikat Ltd” , a loro volta proprietà del fondo di investimento denominato “African resources” che ha sede alle isole Cayman. Il fondo risulta controllato da due fondazioni (l’ultimo grido per gli affari sporchi, anche Dan Gertler infatti fa la sua brava beneficenza, un po’ ai bambini del Congo, molto alle comunità ebraiche) con sede in Liechtenstein (si torna in Europa), fondazioni possedute a loro volta da un fondo fiduciario a Gibilterra (altro territorio inglese), che porta finalmente a Dan Gertler (fonte: “Le Monde”), passando per un avvocato svizzero, Marc Bonnant, e per la nipote del presidente del Sudafrica, Jacob Zuma.
Questo giro non sarebbe mai saltato fuori senza le rivelazioni dei “Panama Papers”. Eppure, lo stesso David Cameron, che aveva le sue brave società registrate dalla studio “Mossack Fonseca” (pare gliele avesse intestate il paparino) ha dovuto aspettare l’esito del referendum sul “Brexit”, da lui stesso incautamente convocato, per annunciare le sue dimissioni e porre fine (?) alla sua carriera politica, che sembrava brillantissima (Cameron ha grosso modo la stessa età di Gertler e di Kabila). Lo scandalo dei “Panama Papers” sostanzialmente gli aveva fatto un baffo. Eppure ci sono brillanti opinionisti che, dopo il “Brexit”, stanno dibattendo sui limiti della democrazia diretta, sul catastrofico sbaglio degli inglesi, sull’opportunità di uno strumento come il referendum. Magari sono gli stessi che pontificano sulla maturità democratica dei popoli africani, da sempre cornuti e mazziati.
La sensazione inquietante è che, a prescindere dalle scelte dei popoli, non cambi assolutamente nulla, se non per qualche oscillazione di borsa, che è esattamente quello che sta succedendo dopo il referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dalla UE.
Fuori dall’Europa. Mamma mia. Chiedete a Dan Gertler, e ai tanti che hanno società nei paradisi fiscali, se sono preoccupati dal responso delle urne, o dal ritorno dei nazionalismi (Gertler in patria – ammesso che esista una patria per gente come lui e tutti i protagonisti di questa storia - finanzia l’estrema destra ultraortodossa di Avigdor Lieberman). E’ in ottima compagnia, da questo punto di vista: alle Isole Vergini stanno pure le società degli amici e finanziatori di Marine Lepen., e dei collaboratori di Hollande. Ci sono finanziatori dei democratici e dei repubblicani, i due competitors della presidenza USA. Sono coinvolti esponenti di quasi tutti i leader politici mondiali. Ma i nostri media parlano del conflitto generazionale fra la gioventù dell’Erasmus e i vecchi nazionalisti, o della minaccia populista. Meno male che almeno in Islanda il popolo ha cacciato in malo modo il premier off shore Gunlaugsson. Vantaggi della democrazia diretta.
Cesare Sangalli