Il Fatto del Mese

 

Bombe reali (a grappoli): l’Europa lucra sul sangue dello Yemen


“In certi giorni gli aerei colpiscono tutto ciò che si muove”. La testimonianza di un cittadino yemenita compare sul sito della BBC. Gli aerei che bombardano lo Yemen dalla fine di marzo 2015 sono quelli dell’aviazione saudita, tutti di fabbricazione USA o europea (dagli F15 ai “Typhoon”). Armati di bombe prodotte anche in Italia, gli aerei scaricano sulla popolazione civile perfino le famigerate “cluster bombs”, o bombe a grappolo, di marca britannica., vietate dalla Convenzione internazionale del 2010.
Il livello di cinismo e di ipocrisia raggiunto sulla guerra in Yemen, la “guerra dimenticata” come la definì nel 2015 proprio la BBC, è surreale, vergognoso. Al contrario della guerra in Siria, diventata un mosaico intricatissimo di fazioni e di alleanze, il conflitto in Yemen presenta uno scenario abbastanza chiaro: una “primavera araba” che sembrava felicemente conclusa, con le dimissioni del presidente-dittatore, Saleh, e con l’elezione del suo vice Hadi (con percentuali di regime, e quindi nel segno della continuità, ma pur sempre in modo democratico), è fallita sulla ridefinizione dello stato: una minoranza montanara, gli Houti, emarginata da sempre anche perché di religione sciita (o meglio, zaydita), ha approfittato della transizione per imporre con la forza le proprie ragioni (cioè non essere messi all’angolo nel nuovo progetto federale dello Yemen).
La presa del potere con la forza è sempre da condannare; ma al massimo, e nella peggiore delle ipotesi, poteva esserci uno scontro di fazioni tutto interno allo Yemen (il vecchio presidente Saleh ha appoggiato il nuovo corso): in Yemen non c’è etnia, tribù, clan, famiglia o individuo che non sia armato, scontri a bassa intensità ci sono sempre stati, ma alla fine si è sempre trovato un accordo per una qualche stabilità.
Invece, dal momento che Hadi, il presidente legittimo, si è rivolto ufficialmente ai “paesi fratelli” (Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi) chiedendo di essere aiutato a ripristinare il suo governo “con tutti i mezzi necessari , compreso l’intervento militare”, è stata aperta la via alla distruzione del paese con il tacito accordo della comunità internazionale.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, infatti, si è limitato a prendere atto della richiesta di Hadi (di fatto avallandola) ; e ha espresso una ovvia condanna del colpo di mano degli Houti (molto vicini politicamente all’Iran) , chiedendo un“soluzione politica” proprio mentre accettava implicitamente la svolta militare.
Hanno finto tutti di non sapere che l’Arabia Saudita, da anni, si sta riempiendo di armi, e ambisce a diventare l’unica potenza regionale sotto la guida del giovane e aggressivo principe Salman, ministro della Difesa saudita e vero uomo forte della monarchia guidata dal padre, vecchio e malato. Risultato di cotanta diplomazia: i bombardamenti sauditi sono iniziati quasi in contemporanea con la risoluzione “neutra” del Consiglio di Sicurezza (26 marzo 2015).
Riyad non vedeva l’ora di fare il gendarme spietato in quello che considera il “suo” campo da gioco, e mostrare all’Iran di che cosa sono capaci. In realtà, essendo gli yemeniti di montagna (e gli houti in particolare) formidabili guerrieri, in un territorio difficile che conoscono alla perfezione, i sauditi, che hanno poche chances di vincere la guerra di terra , hanno saputo fare soltanto una cosa: bombardare, bombardare, bombardare. Senza pietà e senza riguardo per niente e nessuno. In maniera sistematica, reiterata, pianificata, puntando a distruggere un intero paese, un’intera popolazione, e addirittura la sua storia, la sua civiltà, pur di mettere in ginocchio la fazione avversaria, gli odiati “infedeli”, che, ovviamente, hanno resistito alla grande.
L’elenco delle distruzioni viene continuamente aggiornato. “Médecins sans Frontières” ha contato almeno 600 fra ospedali e centri sanitari distrutti. Circolano cifre analoghe sulle scuole bombardate. Non sono state risparmiati né i luoghi di culto, né i monumenti, o i musei, oltre alle infrastrutture, già scarse, che portavano acqua ed elettricità. Se tutto ciò non bastasse, si stanno utilizzando le vietatissime “cluster bombs”, o “bombe a grappolo”, già tristemente note in Medio Oriente (d’altronde uno dei principali produttori, utilizzatori e fornitori mondiali è Israele) : sono ordigni che ne contengono altri più piccoli, che si spargono sul terreno e restano attivi per anni. Le “cluster bombs” sono fatte quasi più per mutilare che per uccidere, e colpiscono soprattutto i minori, che si avvicinano incauti agli ordigni. Non c’è quindi un vero scopo militare. La guerra post-moderna si potrebbe descrivere parafrasando al contrario lo slogan delle Brigate Rosse: “colpirne cento, per educarne uno”. In questo caso, più ancora degli Houti, si vuole “educare” l’Iran, infliggendo il terrore a chi pensa di allearsi con Teheran. A livello ufficiale, invece, si continua a sostenere la tesi che i bombardamenti servono a “proteggere la popolazione” (!) dall’ “aggressione degli houti”. E con incredibile faccia tosta, il generale saudita Assiri ( a nome della coalizione, che comprende anche Egitto, Sudan e Marocco, ed è sostenuta da USA e Regno Unito) lo ha detto anche per le bombe a grappolo, aggiungendo comunque che non verranno più usate .
Questa incredibile ipocrisia è possibile perché tutta la diplomazia internazionale, nonostante le vibranti denunce delle associazioni dei diritti umani, a partire da Amnesty International, si è sostanzialmente attestata sulla linea “neutrale” del Consiglio di Sicurezza. Tradotto in termini mediatici, significa l’oscuramento pressoché totale della guerra criminale nella penisola arabica.
A questo punto è bene ricordare che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU (che andrebbe semplicemente abolito, e c’è già una proposta al riguardo, da parte dei paesi del Sud del mondo) è costituito dalle cinque principali potenze militari planetarie, che sono anche i cinque primi produttori di armi. Di questi, tre (USA, Regno Unito e Francia) sono anche i principali fornitori dell’Arabia Saudita e delle altre petromonarchie.
E sempre tre su cinque (Russia, Cina, gli immancabili Stati Uniti) non hanno sottoscritto né l’accordo che vieta le bombe a grappolo (che esportano alla grande), né la convenzione sulle mine antiuomo (idem), e meno che mai il Tribunale Penale Internazionale che giudica i crimini di guerra.
Soldi, soldi, soldi. Nel caso del Regno Unito , circa 3 miliardi e mezzo di sterline (fonte “The Guardian”): Riyad è nettamente il cliente numero uno sul mercato della morte, di gran lunga il primo importatore di armi della Terra. . Oltretutto, l’Arabia Saudita e le altre petromonarchie hanno inondato di investimenti tutto il mondo sviluppato, e continuano a fare shopping su tutte le piazze finanziarie europee e nordamericane, ma anche asiatiche e africane.
Per questo motivo, da ormai quasi due anni, si assiste ad un balletto diplomatico e politico inverecondo.
Il Parlamento Europeo, pur con grosso ritardo, nel febbraio 2016 ha votato a larga maggioranza un richiesta di embargo delle forniture militari all’Arabia Saudita, affidando a Federica Mogherini il compito di imporlo ai governi dell’Unione Europea. Inutile dire che di questo impegno non c’è stata traccia. Nel migliore dei casi, sono state annunciate sospensioni (Germania) poi non seguite dai fatti, o almeno non del tutto. Sigmar Gabriel , vicecancelliere di Angela Merkel, pressato dalla “Linke” e dai verdi, ha scaricato in pratica la responsabilità sull’Italia, come la ministra Pinotti aveva fatto con la Germania: per il tedesco le bombe sono italiane, per l’italiana sono tedesche (vedi “L’Italia vende la morte”).
Ma la figura più meschina, in questo festival dell’ipocrisia, è quella del governo inglese. Incurante degli annunci, anche questi ambigui, del tradizionale alleato americano sulla limitazione delle armi all’Arabia Saudita (almeno la fornitura di bombe a grappolo è stata bloccata nel maggio 2016) , il governo di Teresa May ha difeso la prosecuzione degli affari bellici con Riyad, vantando una legittimazione ONU dell’intervento in Yemen che semplicemente non esiste (Gentiloni è stato più moderato: rispondendo ad un’interrogazione del M5S ha detto che “non esistono sanzioni decise dall’ONU contro l’Arabia Saudita”) e sostenendo che se emergeranno violazioni (!), il Regno Unito ha già le norme per rispondere adeguatamente (Gentiloni quasi identico al riguardo).
May contraddice fra l’altro l’affermazione tragicomica di Boris Johnson, dopo che già il ministro Fallon aveva prima negato, poi ammesso l’uso di bombe a grappolo “made in Britain” (“ma fanno parte di una fornitura vecchia”): l’estroso ex sindaco di Londra ha negato la necessità di una commissione di inchiesta, perché il governo già dispone di un’ampia varietà di fonti che gli consentono una conoscenza dettagliata di ciò che accade in Yemen (ciò che il suo premier finge invece di non sapere).
Per tutti loro, per tutti i leader coinvolti (dalla Merkel a Renzi), valgono le parole della portavoce inglese di Amnesty International, Polly Truscott, rivolte al suo
governo: “E’ scioccante. Il Regno Unito dovrebbe lottare per la giustizia e l’onestà, e non comportarsi come le ragazze pon pon (cheerleader) delle aziende di armi”.
Cesare Sangalli