Femminile Plurale
La Merda
L'attesa è pari a quella di un concerto rock con tanto di arrivo a teatro ben due ore prima dell'orario d'inizio, dopo essermi resa conto, con attacco di panico annesso, che i biglietti acquistati mesi prima non indicavano i posti assegnati.
Mi rassegno quindi alla lotta italica per avere il posto in prima fila e ci riesco: abbarbicata alla mia poltrona vedo l'attrice apparire in luce.
Immaginatevi a questo punto lo sgomento nel riconoscere le note dell'inno d'Italia: l'elmo di Scipio è tirato in causa e non sembra accolto in alta uniforme. Quella è cruda nudità.
“La Merda” di Christian Ceresoli interpretata da Silvia Gallerano è un monologo che dà voce almeno a dieci personaggi che si articolano e si sopraffanno l'un l'altro, regalando al pubblico un testo di rottura sulla condizione che provoca un costante desiderio di suicidio, condizione tipica di una generazione di attori quarantenni, della nostra epoca storica e di tutti coloro che vivono della creatività del loro lavoro, che non per forza possiede connotati artistici.
Scappa da ridere per la nevrosi dei personaggi, il testo di Ceresoli arriva dalle viscere di Silvia senza concessioni. Si ride e ti domandi com'è che ridi, ché non ci sarebbe niente da ridere, benedicendo lo stile ironico dello scrittore e il corpo di una talentuosa attrice in grado di riempire interamente lo spazio del palco. Lo schifo restituisce bellezza.
Lei è appollaiata su un trespolo con la sua pelle come costume di scena e le luci come unica scenografia. La vicenda appartiene a una donna con le cosce grasse, corta, figlia di un padre basso che indossa una camicia rossa che si suicida quando lei è appena tredicenne. Ha una madre scialba e ignorante che le consente di farsi infilzare le cosce da elettrodi in modo da snellirle come società comanda, rimbambita dalla tv dai suoi usi e costumi, come troppe donne. Una telefonata improvvisa per un provino e un treno che passa su cui salire alla svelta con gli occhi pieni di rabbia giusta, come quella che fa vincere i mondiali di calcio. C'è l'inno di Mameli che almeno lei lo sa a memoria, l'ironia è ancora più tagliente, si ride ancora più forte. Il pubblico reagisce attento, partecipe e rapito ormai da questa voce che cambia timbro, ritmo e personaggio. Sono 54 minuti di Silvia che fagocita ingurgita mastica e sputa l'animo delle persone che le siedono davanti.
La provocazione non c'è, non serve. Appiattirla su di un titolo e su un costume di scena è banale ingiustizia.
Mentre le viscere sono ormai frullate rifletto sul successo oltre confini: il monologo vince tutto quello che c'è da vincere e a ragione. Non mi ero illusa, non sono delusa. A Silvia l'Oscar degli attori a Edimburgo, alla messa in scena un sold out che dura da 5 anni. I giornalisti del Time, il Guardian, El Pais, il New York Times e alcuni giornalisti nostrani si strappano i capelli. La Tv spagnola dedica uno spazio durante il telegiornale mentre noi assistiamo a una RAI che trasmette un'altra merda (sì: merda) sui consigli per una vita matrimoniale più turgida e felice che spingerebbe l'uomo italiano a scegliere una donna dell'Est.
Eppure è “La Merda” di questi artisti che ha subito la censura dai nostri media, già al tempo del sostegno del Teatro Valle Occupato. Ma la buona notizia c'è: in una libreria Feltrinelli viene esposta in formato cartaceo e dvd tra Dio e Lady Kennedy. Ne faranno un film con la collaborazione di Guido Harari, e sta ripartendo l'ennesima tournée negli States per la gioia di Trump.
E dopo che nostra madre (Patria) permette lo sciacallaggio sulle cosce delle proprie figlie e il padre preferisce il suicidio, rimane sul palco una figlia fragile che tenta il pianto ma poi reagisce e diventa feroce. Urla la sua identità fino a quando arriva“il momento”: quello in cui bisogna esser pronti a tutto per diventare più alti fino a masticare i cazzi che comandano, a guidare le moto da sé, a parlare di allenatori come se non ci fosse un Tavecchio e a essere finalmente la donna che si vuole essere: una donna con le palle. E a questo punto la platea non ride più.
L'epilogo è terrificante ma il titolo dell'opera non lascia spazio a dubbi.
Il ritmo puro sale e morde, è il miglior pezzo rock che io abbia mai sentito, infarcito di parolacce bellissime che volano dal palco nel disperato tentativo di scuotere questo Paese, gonfio sul divano mentre canta il suo inno, grasso e fetido già dalla testa.E i 54 minuti finiscono e con loro la voce che è bella davvero e strugge.
Arriva il buio, quello di quando si affoga nella merda di tutta un'umanità dopo una resistenza infinita, disperata.
Silvia riappare avvolta nella bandiera italiana restituita agli applausi senza fine, io finalmente piango.
Nadia Frattaruolo
“La Merda”di Christian Ceresoli
Editore per l’Italia Gallucci
Euro 18 libro+DVD