Il Fatto del mese
I mali di Roma? “Irriducibili” (come Fascistopoli)
Mentre sul ponte davanti al Colosseo penzolavano tre lugubri manichini con le maglie della Roma, le strade della Città Eterna erano sempre più sommerse dalla spazzatura.
Dice: che c’entra la lugubre performance dei tifosi laziali, una “goliardata” accompagnata da una minaccia, col problema dei rifiuti che assilla la povera Virginia Raggi? Basta un nome a collegare le due cose: Stefano Andrini. Un nome poco conosciuto, stranamente mai citato in questi giorni di polemica furibonda sulla spazzatura romana.
In questa rubrica, avevamo parlato di Andrini nel pezzo “Un calcio Diabolik (fascista , criminale, ammanicato)”. Si partiva da una piccola notizia, il sequestro dei beni al capo ultrà della Lazio Fabrizio Piscitelli detto “Diabolik”, fondatore degli “Irriducibili” (gli autori della bravata dei manichini impiccati). Facendo una semplice ricerca on line, era venuto fuori che il sito degli “Irriducibili” era stato registrato da Stefano Andrini. Un ex picchiatore fascista, che aveva quasi ammazzato uno studente di sinistra a sprangate,e si era fatto la sua brava galera (quattro anni abbondanti: troppo pochi). Il sindaco Alemanno lo aveva nominato amministratore delegato della municipalizzata dei rifiuti, la AMA.
La squadra neofascista (e di ex criminali) di Alemanno era nutritissima: a capo della sua segreteria Antonio Lucarelli di Forza Nuova, movimento fondato da un terrorista nero (Massimo Morsello). Assistente alle politiche sociali, Maurizio Lattarulo, detto “Provolino”, ex braccio destro di “Renatino” De Pedis della Banda della Magliana. All’ATAC, i trasporti, vengono nominati Francesco Bianco, altro ex terrorista nero (NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari come Morsello) e Gianluca Ponzio, che veniva sempre dalla lotta armata di estrema destra (“Terza Posizione”), come capo servizio delle relazioni industriali della municipalizzata.
Alla guida dell’Eur S.p.A. va Riccardo Mancini, che proviene da Avanguardia nazionale, l’organizzazione terrorista di Stefano Delle Chiaie, ed è amico di gioventù dell’ormai famosissimo Massimo Carminati, “er Cecato”della Banda della Magliana. Ecco, arrivati a Carminati, il cervello di “Mafia Capitale”, per il quale sono stati chiesti dall’accusa 28 anni di reclusione nel processo in corso, possiamo chiudere l’elenco. Un elenco molto più lungo, in realtà, che comprende anche ex mafiosi come Giorgio Magliocca; ex carabinieri specializzati in festini ambigui come Francesco Maria Orsi (assessore al Decoro !), giù giù fino a Claudio Corbolotti, un ultrà da scontro violento (guerriglia urbana del derby Roma - Lazio 2004) , anche lui nella segreteria di Alemanno.
Ora, con questa infornata di amministratori, con questi galantuomini al comando delle strutture comunali, qualcuno ha ancora la faccia tosta di prendersela con Virginia Raggi (per quanto lei, cresciuta nello studio Previti, non era poi così lontana da questi ambienti; e meno che mai lo era Paola Muraro, che ora si atteggia a vittima illustre, ma con la “banda Alemanno” ha collaborato solertemente per diversi anni – come tecnico, per carità).
Insomma, Roma è stata lasciata affondare nel malaffare senza che praticamente nessuno, soprattutto nel mondo dell’informazione che conta, si sia mai stracciato le vesti, quando era il caso di farlo, cioè almeno nel periodo 2008-2013 (ma anche prima). I motivi sono piuttosto semplici: i personaggi della “Fascistopoli” romana hanno tanti e tali di quegli agganci a livelli più alti, che pensare solo all’amministrazione comunale, per quanto importante, è da ingenui.
Qui ci limitiamo a segnalare alcune collusioni, le più clamorose, ergo le meno conosciute. Per un quadro esaustivo, vi rimandiamo all’articolo “Un filo di perla tra la Dama Bianca, Valter Lavatola, Sergio De Gregorio e Gennaro Mokbel”: una straordinaria ricostruzione ad opera di Emiliano De Marco, sul sito “Agorà vox”, che abbiamo ampiamente ripreso, insieme a fonti più conosciute (“La Stampa”. “La Repubblica” “L’Espresso”). Roba da capogiro, da vertigini, per gli incredibili collegamenti con molte altre faccende e molti altri faccendieri.
Ora, fra i tanti nomi collegati direttamente o indirettamente alla “banda Alemanno”, troviamo quelli di Valter Lavitola, Giuseppe De Gregorio e Federica Gagliardi detta la “Dama Bianca”, nomi abbastanza noti che vi riporteranno indubbiamente a Silvio Berlusconi. Parliamo del faccendiere delle donnine (e di altri traffici) del Cavaliere (con l’altro lenone, Tarantini); parliamo del senatore corrotto insieme ad altri per far cadere il governo Prodi ; e della bionda accompagnatrice dei viaggi internazionali del Caimano (a Panama, per esempio, dal corrottissimo presidente panamense Martinelli), la “Dama Bianca” beccata a Fiumicino con 24 chili di cocaina in valigia (!). Tutta roba (purtroppo) andata in prescrizione, per Berlusconi, proprio in questi giorni: il Caimano si salva ancora sui tempi lunghi dei processi e la prescrizione breve, che piace tantissimo a tutti.
Ma a noi il nome che interessa di più è quello di Gennaro Mokbel, citato ampiamente nel pezzo “Un calcio Diabolik”. Con Mokbel, italo-egiziano, classe 1960, estremista di destra, raffinato cervello criminale, legato a filo doppio alla n’drangheta, sodale di Carminati, si sale di livello. O meglio, si entra nella vera zona d’ombra nazionale e internazionale: quella legata all’apparato militare/industriale e ai servizi segreti. In due parole, Finmeccanica e SISMI. Se i metodi e i linguaggi di Mokbel sono sempre quelli da “Romanzo criminale” (vedi l’agguato e l’uccisione del tesoriere di Mokbel, Fanella, ad opera del killer Ceniti già di Casa Pound, con tanto di sacco di diamanti ritrovato in casa dell’insospettabile commercialista), le trame a cui l’alter ego di Carminati partecipa sono di quelle veramente “top secret”.
Non è tanto per i ripetuti incontri fra Mokbel e Dell’Utri, che ormai è un mafioso acclarato per tutti, tranne che per “Retequattro” che ogni tanto fa uno speciale per dipingerlo come un prigioniero di coscienza.
No, la vera scatola nera di gran parte dei più luridi misteri italiani si trova sempre nelle zone militari dei servizi segreti, con l’appoggio di apparati di Stato o aziende pubbliche.
In questo caso, come abbiamo anticipato sopra, si tratta di SISMI e Fimeccanica, ma anche di Telecom ai tempi di Tronchetti Provera. I nomi che spuntano dal nulla, sconosciuti ai più, sono quelli di Lorenzo Cola e Maurizio Pozzi, oltre a quelli un po’ più famosi di Marco Mancini, Giuliano Tavaroli, Nicolò Pollari, Emanuele Cipriani, coinvolti nello scandalo delle intercettazioni Telecom (insabbiato) e/o nel sequestro di Abu Omar (coperto dal segreto di stato bipartisan, oppure gentilmente graziato dal presidente Napolitano quando è arrivato agli agenti della CIA, cioè agli Stati Uniti).
Maurizio Pozzi e Lorenzo Cola (uno che tiene in casa un busto di Hitler e altri cimeli inquietanti), agenti del SISMI, i servizi segreti militari, hanno favorirono la trattativa fra Mokbel e Finmeccanica (Cola era il braccio destro dell’amministratore delegato di Finmeccanica Guarguaglini) per l’acquisizione della Digint, una ditta di tecnologia informatica che serviva nel giro di fatture false per consentire il riciclaggio del danaro dello stesso Mokbel , con i buoni uffici all’estero del parlamentare europeo Di Girolamo (AN), definito “lo schiavo”, e soprattutto della n’drangheta, in particolare della famiglia Arena, proprio quella finita nei giorni scorsi sui giornali per la gestione del centro di accoglienza dei rifugiati di Isola Capo Rizzuto, in Calabria; gestione affidata all’insospettabile don Edoardo Scordo e al capo della Misericordia locale, Leonardo Sacco, legato ad Angelino Alfano .
Siamo sempre nella stessa zona d’ombra, nella stessa area politica: mafia e n’drangheta, massoneria e servizi segreti, ex democristiani ed ex fascisti, P2 e Banda della Magliana, settore clerico-fascista romano e nazionale, pezzi di Stato e pezzi di Vaticano.
Un pozzo senza fondo, dove quasi tutte le trame italiane degli ultimi 40 anni (ma si può dire della storia repubblicana) tendono ad unirsi, senza soluzione di continuità: non c’è mistero italiano, da Ustica a Piazza Fontana, dall’uccisione di Ilaria Alpi alla sparizione di Emanuela Orlandi, dall’omicidio Pecorelli alla vicenda Sindona, che non finisca con evidenza assoluta nella stessa zona d’ombra.
Il perché è molto semplice, non c’è bisogno di ricorrere a nessuna teoria del complotto: l’Italia è un paese a sovranità limitata, perché inserita nella prima linea della Guerra Fredda, una guerra sporca che gli USA hanno condotto senza il minimo scrupolo. Basta pensare all’America latina, al sostegno spudorato ai militari golpisti, ai torturatori di professione, spesso con la benedizione o la complicità diretta della Chiesa, sempre in nome dell’anti-comunismo, della lotta contro l’Unione Sovietica condotta in tutto il pianeta.
Ma se fino al 1991 gli USA potevano giocarsi questo paravento ideologico, da oltre un quarto di secolo vivono di rendita sulle strutture di potere costruite nel dopoguerra, fin dallo sbarco in Europa, cioè in Sicilia, cioè dai primi accordi con il notabilato mafioso, che da clerico-fascista si è fatto democristiano prima e berlusconiano poi (vedi film di Pif, “In guerra per amore”, che sembra una commediola ingenua, ma non lo è).
E’ una rendita di posizione che oggi, persa ogni connotazione ideologica (se non per la finta guerra al terrorismo islamico), serve ancora agli USA per fare il bello e cattivo tempo sullo scacchiere internazionale, usando l’Italia, più di ogni altro paese, come base per ogni manovra in Nordafrica, nel Medio Oriente, nei Balcani, nel Mediterraneo e non solo; e serve agli affaristi nostrani, a partire da quelli dei settori strategici, per agire indisturbati, lontani dagli occhi indiscreti dell’opinione pubblica, e molto spesso impuniti, visto che quasi immancabilmente inchieste e procedimenti giudiziari si fermano quando si arriva alle divise, alle stellette dei militari.
Se scoppia uno scandalo come Mafia Capitale, o come quello della Protezione Civile, o dei “furbetti del quartierino” (c’è solo l’imbarazzo della scelta), lo si limita alla questione giudiziaria, lo si circoscrive, e lo si lascia dimenticare per forza di inerzia. Il lato sistemico, il quadro politico-istituzionale, non viene mai fuori, soprattutto perché la politica latita completamente, visto che è, in larghissima parte, sotto ricatto.
Se qualcuno avesse qualche dubbio residuo, basta osservare la carriera di Gianni De Gennaro, capo della polizia che si rese colpevole, a Genova, della “più grave violazione di diritti umani in un paese dell’Europa occidentale dalla fine della seconda Guerra Mondiale” (Amnesty International). De Gennaro ha attraversato tutti i governi della Seconda Repubblica: prima capo della polizia, sia con D’Alema che con Berlusconi, poi passato a presiedere proprio Finmeccanica (che ora si chiama Leonardo) grazie a Enrico Letta che lo ha nominato e a Matteo Renzi che lo ha confermato. Non contento, De Gennaro si è scelto come strapagato consulente della sicurezza di Finmeccanica Gilberto Caldarozzi, condannato a tre anni e otto mesi per le violenze alla scuola Diaz.
Le divise non si toccano mai in Italia; se poi hanno passaporto americano sono assolutamente immuni, qualsiasi cosa facciano. Se non usciamo, con l’Europa, dalla NATO, il pezzo di Stato fascista e criminale che ha accompagnato tutta la storia della Repubblica non sparirà mai.
Cesare Sangalli