Libri

 

La resistenza della differenza
(tra liberazione e dominio)


Per resistere al potere di oggi, che è “inclusivo, strisciante, subdolo, biopolitico”, soprattutto per le donne, (come dice Laura Marchetti, nell’introduzione), occorre una strategia di resistenza, la “resistenza della differenza” che “disimpara la guerra ma riprende il conflitto”. E’ una resistenza che parte dalla propria esistenza individuale, per farsi poi storia condivisa, e quindi, possibilmente, Storia (proprio nel mondo della “fine della Storia”). La stessa copertina del nuovo libro di Irene Strazzeri (vedi anche “Post Patriarcato” in rubrica) ci annuncia una donna/madre guerriera, con uno sguardo “dritto e aperto sul futuro”, direbbe il cantautore Pierangelo Bertoli, quindi “a muso duro”.
L’obbiettivo,e perciò l’avversario, è chiaro fin dalle prime battute: si tratta di divincolarsi  dall’abbraccio soffocante della post-modernità, di ergersi nella mollezza paralizzante della società liquida, di smontare pezzo per pezzo tutto il codice semantico del neo-liberismo. Compito non facile, perché se il vecchio patriarcato era avversario potente ma rigido, quindi facilmente attaccabile frontalmente,  nella crisi profonda delle sue strutture classiche (i partiti, le ideologie, la religione, la tradizione, l’economia produttiva, la fabbrica “fordista”, la famiglia eterosessuale monogamica, e l’elenco potrebbe continuare) le istanze del femminismo sono state aggirate, eluse, assorbite, perfino utilizzate strumentalmente.
Sì, i paradigmi neo-liberisti, i postulati nascosti della società dei consumi e dei servizi  ma soprattutto della società dello spettacolo, risultano sfuggenti, proprio perché ci hanno illuso sul senso della nostra libertà, la libertà individualistica che fa a meno dello Stato, o lo riduce ad un ruolo marginale, in nome di un principio fondante, descritto benissimo da Bauman: “le persone (ovvero i consumatori, giacché a tale funzione vengono ridotti i soggetti sociali nel sistema sociale contemporaneo) possono scegliere fra mille opzioni, certo molte più di quante ne possano davvero conoscere e padroneggiare nell’intera esistenza, ma non possono scegliere di cambiare il sistema in cui agiscono”.
E’ una sorta di ipnosi, quella in cui siamo immersi, un’ipnosi che si nutre di paradossi: più siamo indotti a pensare a noi stessi,  nell’apparente cura della nostra personalità, più perdiamo la nostra  vera soggettività, perché il nostro io vive di immagini riflesse, in cui la vita è più mostrata che vissuta, e la relazione è soprattutto  quella voyeuristica/esibizionistica della condivisione di un “selfie” su un “social”. Per dirla con le parole di Andy Warhol, citato nel libro: “Sono uno specchio che guarda in uno specchio; ma non ci vedo nulla”. 
Con Warhol siamo già entrati nel terzo capitolo del libro, quello più lungo, più articolato, più difficile e più interessante: “Da Eros e civiltà a Eros in agonia”, focalizzato sul tema della sessualità come strumento per decodificare la realtà presente (e magari anticipare quella futura), come fece Marcuse , punta di diamante della scuola di Francoforte, negli anni Cinquanta e Sessanta; e come oggi fa il filosofo coreano Byung Chul Han.
Marcuse merita di essere ripreso o riscoperto  proprio perché aveva  talmente colto nel segno, all’epoca,  che il futuro (il nostro presente) è una clamorosa conferma “ad abundantiam” delle sue tesi: se il filosofo tedesco spiegava la forza sovversiva e liberante del desiderio, ma ammoniva contro le insidie dell’ “homo oeconomicus”, cioè il consumatore alienato descritto nell’”Uomo a una dimensione”, tocca oggi al filosofo coreano Han descrivere l’eros contemporaneo, un eros in agonia per saturazione.
 La liberazione sessuale del ’68 e dintorni è stata neutralizzata dal neoliberismo per eccesso di offerta.
La società dei consumi neoliberale, cancellando il verbo dovere con il verbo potere, ha prodotto un’omologazione (e quindi una sottomissione)  più subdola ma ben più efficace della disciplina imposta dai vecchi tabù, proprio perché è stata in grado di assorbire ogni possibile trasgressione pro domo sua .  Inseguendo la promessa neoliberale di soddisfare ogni pulsione sessuale, l’individuo post moderno si è volontariamente assoggettato al nuovo imperativo, quel “devi godere” che riduce il sesso a performance, o a risposta compulsiva e perfettamente riproducibile, con la conseguente mercificazione di tutti i desideri e le “devianze”  possibili immaginabili.
Non c’è posto per il mistero, non c’è posto per l’Altro, non c’è posto per la relazione; ma solo per una solipsistica, narcisistica, tristissima affermazione di sé, che è per di più oscena, perché deve essere vantata ed esibita, quando si può, o consumata continuamente, incessantemente, in una risposta quasi pavloviana di impulso/soddisfazione dell’impulso.
L’eros contemporaneo, ci dice Byung Chul Han, è in agonia perché la società post-moderna è società della prestazione (individuale), il soggetto è spinto ad un autosfruttamento volontario: “Come imprenditore di se stesso, il soggetto di prestazione è libero dal momento che non è sottoposto a nessun altro che lo comanda e lo sfrutta, ma in realtà non è libero perché sfrutta se stesso”.
Ecco il segreto, la formula magica del neoliberismo: “L’ “homo oeconomicus” post moderno assume che il regime neoliberale, come “sistema dello Stato minimale”, come “manager della libertà”, renderebbe possibile la libertà borghese. Gli sfugge completamente la struttura di violenza e costrizione del dogma neoliberale”.
Il sentimento prevalente indotto dal dogma neo-liberale è quindi quello dell’inadeguatezza, ben più insidioso del vecchio senso di colpa provocato dagli obblighi morali, religiosi, di disciplina sociale. 
Io posso fare tutto, posso godere di tutto,e dal momento che la  felicità coincide col godimento, e il godimento col consumo, “liberamente” accetto di inseguire questa felicità impossibile per definizione, un autentico, modernissimo supplizio di Tantalo.: più si insegue la soddisfazione, meno la si ottiene.
L’”agonia dell’Eros” è rivelata soprattutto dal boom della pornografia, che se mai ha avuto una funzione liberatoria (Strazzeri ne dubita fortemente), oggi è strumento di distruzione del desiderio, omologazione verso il basso, morte dell’immaginario, assoggettamento degli individualismi che sommati portano agli eserciti di “followers” e “youtubers”.  Abbasso la pornografia, quindi, potrebbe essere uno dei comandamenti della resistenza della differenza (erotica), abbasso il consumo compulsivo, abbasso l’esibizionismo e la logica della prestazione.
Attenzione: se il consumo di pornografia riguarda soprattutto i maschi (anche se è in forte crescita anche presso le donne), ci sono altri sintomi rivelatori della sessualità della prestazione, che riguardano invece più le donne. Per esempio, quello che Strazzeri definisce il “darwinismo cosmetico”, cioè la tendenza ad assomigliare ai modelli impossibili (e regressivi) della donna, in un tripudio di chirurgia estetica e di salutismi palestrati. L’imposizione dell’eterna giovinezza, della prestanza fisica, della performatività sessuale, non è altro che la manifestazione della  negazione di tutto ciò che porta alla ricerca del vero sé, all’intimità del desiderio, alla profondità della fede religiosa, all’intensità della passione politica, al rigore dell’impegno civile, fino allo stesso gusto della vita, quel savoir vivre, quella sapienza antica che non può essere sostituita dalle cose, dagli oggetti Le donne dovrebbero saperlo bene, dovrebbero saperlo meglio e di più di chiunque, proprio perché conoscono da sempre la vulnerabilità. La vulnerabilità può essere forza, invece che debolezza, nel momento in cui  diventa ricettività, antidoto all’indifferenza, assunzione fisica della lotta contro l’ingiustizia, ribellione viscerale a ogni logica di sopraffazione. Certo, non è facile tradurla in azione; l’elaborazione della resistenza è ancora agli inizi, e deve lavorare molto.
Ma Strazzeri vuole lanciare sassi nello stagno, non proporre modelli o slogan. E’ sempre critica,  mai declamatoria. Lo si capisce meglio nei brevi capitoli sulla prostituzione e sulla gravidanza per altri (GpA), altrimenti chiamata “utero in affitto” . Temi scottanti, per il femminismo. Temi su cui la confusione sembra dominare. Strazzeri ricorda le insidie del moralismo, quando si parla di prostituzione, nel lasciare che le donne siano divise in “donne perbene” e “donne permale”.  E invita ad una chiara presa di coscienza sulla commercializzazione del corpo (dei corpi) spacciata per libertà, per quanto riguarda non solo la Gestazione per Altri, ma la pretesa di fare business e marketing sulla vita, impadronirsi della genetica come ci si è impadroniti dei semi delle piante, sostituendoli con i prodotti della tecnica, spossessando tanto le popolazioni indigene e gli agricoltori tradizionali quanto le donne.
Sembra quasi di percepire gli echi del fortunatissimo “Donne che corrono con i lupi”. Come dice Alessandra Chiricosta, alla fine della post-fazione che chiude il libro, la sfida per le donne oggi è “rimanere fedeli a se stesse e al mantenere viva e vitale quella differenza spiazzante che continua a mostrarsi come imprevista, inaddomesticata, resistente”.  
Il messaggio potrebbe stare nelle bellissime parole finali dell’introduzione di Laura Marchetti: “E’ questo (…) il tempo della Madre, il tempo dell’ospitalità, in cui, come diceva Hannah Arendt, ci si apre alla speranza di un rinnovamento personale ma anche alla speranza di un mondo nuovo, mondo in cui anche i detriti e le rovine che contraddistinguono il Moderno possano risorgere in un più luminoso cielo”.

                                                                                              

Cesare Sangalli
La resistenza della differenza
di Irene Strazzeri
Mimesis Edizioni
Pagg. 105
Euro 12,00