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Fa’ la cosa giusta
Appello lanciato a tutti i naviganti,a partire da quelli siciliani, appello di sapore cinematografico. “Do the right thing” (“Fa’ la cosa giusta”) è uno dei migliori film di Spike Lee, regista afroamericano. Parla di convivenza, della difficile convivenza fra minoranze etniche, parla di violenza e di razzismo, riuscendo a mantenere comunque un tocco leggero e umoristico fino alla fine, perché la tragedia confina con la commedia e viceversa. Il film è del 1989, ma era talmente all’avanguardia (negli USA infatti suscitò un vespaio di polemiche) che va benissimo anche per la situazione italiana (ed europea) di oggi. In questo momento,a parte i casini spagnoli, tutti i riflettori sono puntati giustamente sull’Italia che si prepara al voto (a partire dalla Sicilia, e infatti da lì si riparte, proprio come cinque anni fa).
Fare la cosa giusta, politicamente parlando, pare sia diventato particolarmente difficile. E’ vero che spesso sembra che non ci sia alternativa, fra mantenere uno status quo sbagliato o provare a cambiarlo in peggio, soprattutto quando la scelta è binaria, o di qui o di là. Così sono nate le due scelte popolari internazionali che hanno indubbiamente terremotato lo scenario politico, e cioè la “Brexit” e l’elezione di Trump.
Fare la cazzata, scegliere la via peggiore, sembra diventato un “must”, pur di contestare in qualche modo l’ordine vigente, spezzare il falso equilibrio che ci viene propinato da quasi 30 anni (cioè dal crollo del comunismo), ma che dalla crisi esplosa nel 2008 è diventato sempre più insopportabile, indifendibile. Tutto, meno che continuare a dirsi che va tutto abbastanza bene, nel migliore dei mondi possibili. E quindi, tanto peggio tanto meglio.
Gli ultimi a fare la cazzata a livello di classe politica sono stati indubbiamente Puigdemont e Rajoy (per la serie: “Scemo e più scemo”), un po’ come i protagonisti del film di Spike Lee. Mentre come voto popolare, l’oscar più recente per le scelte sbagliate va agli austriaci, che però avranno avuto almeno il merito di smascherare definitivamente (?) la falsa alternativa fra liberisti e nazionalisti (o “sovranisti” come amano chiamarsi), cioè fra le due destre, a cui si aggiungono i perdenti dell’anno (del secolo), i pallidi socialdemocratici da “Grande Coalizione”, gli epigoni di Blair e Schroeder, per citare gli ultimi cosiddetti “riformisti” di successo, i veri ineffabili assassini della sinistra, falsi come Giuda.
Non si è salvato un solo paese europeo, nel 2017: Olanda, Francia, Germania, Austria, Repubblica Ceca. Tutti aggrappati al presente, cioè al passato. Idem la Spagna dell’anno scorso. Paradossalmente, sembrano essersi svegliati i peggiori di tutti, in termini di adorazione del capitalismo, cioè gli inglesi, con la clamorosa rimonta di Corbyn a giugno. Fatto sta che a governare sono sempre gli stessi, cioè i democristiani, olandesi e tedeschi e spagnoli (e quegli austriaci, ancora più spostati a destra); i conservatori nel Regno Unito e in Irlanda, i nazionalisti fascistoidi nella Mitteleuropea e nell’Est. Si salvano solo Grecia e Portogallo, i nostri tradizionali compagni di classe degli ultimi banchi, i “somari”, quelli sempre in fondo alle classifiche insieme all’Italia (almeno prima dell’allargamento).
Adesso tocca a noi. Premessa numero uno: fare peggio dei nostri colleghi europei è praticamente impossibile (ci torniamo più avanti). Premessa numero due: comunque vada, sarà un casino. Premessa numero tre: “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente” (Mao Zedong); oppure, più terra terra, “nel casino nasce il gol” (Enrico Carletti).
A fare da nave-scuola, ancora una volta, la Sicilia. Intanto, a prescindere dall’esito finale, si è fatta un bel po’ di chiarezza. Le scelte possibili sono quattro, e quindi alla fine due. Vediamole: Musumeci (destra, tutta insieme senza se e senza ma); Micari (centro, cioè il PD renziano, con l’aggiuntina di Alfano); Cancelleri (M5S) e Fava (sinistra). Le prime due sono scelte di pura conservazione. Le altre due sono di cambiamento. Punto. Semplice e chiaro . Occhio: sarà così anche nel 2018. A prescindere dal “Rosatellum” e dalle “inesauribili astuzie” (De André) dell’establishment. O si vota M5S o si vota la sinistra. Tertium non datur. E ora torniamo all’affermazione per cui fare peggio dei colleghi europei è praticamente impossibile, sempre con il film di Spike Lee sullo sfondo, come metafora della convivenza possibile (o impossibile).
La spiegazione è piuttosto semplice, e l’ ha data qualche anno fa proprio Beppe Grillo. in Italia la protesta, la rabbia, da dieci anni a questa parte (tanti quanti ne ha il PD al tramonto), si è incanalata nel movimento fondato dal comico genovese. Un movimento con caratteristiche ambientaliste e antiliberiste, quindi di sinistra sostanziale, ma con forti venature qualunquiste (l’aggettivo “populista” lo lasciamo al “mainstream”), che molto spesso tendono a destra. Insomma, un magma ancora abbastanza confuso. Ma niente a che vedere con le estreme destre che hanno spopolato in Europa negli ultimi anni (anche se meno di quello che tanti si aspettavano). Da noi, la destra nazionalista, islamofoba e xenofoba, venata di razzismo e di fascismo, è semplicemente vecchia: la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Vengono dagli anni zero, dall’onda della destra berlusconiana, e infatti sono sempre pronti a unirsi, quando sentono odore di governo, di potere. Ma restano un fenomeno ampiamente visto, sono un effetto “déjà vu” degno di un paese di vecchi (e infatti quello è il loro zoccolo duro, i lettori di “Libero” e “Il Giornale”, in gran parte over 65). Sono gli impresentabili del paese, sono il simbolo del totale fallimento politico della “parte più avanzata del paese” (il Nord), dimostrazione plastica che successo economico e coscienza civica stanno diventando sempre più un ossimoro.
Per questo, paradossalmente, una volta tanto è il Sud in pole position. Un Sud che spesso ha scelto il bene solo per disperazione, ma l’ha fatto, accidenti se lo ha fatto. Altrimenti non si spiegherebbero Vendola (ma anche Emiliano) in Puglia, De Magistris a Napoli, Accorinti a Catania, e anche Crocetta in Sicilia, cinque anni fa, col M5S primo partito. Non si spiegherebbe la grande partecipazione e la percentuale di NO al referendum del 4 dicembre scorso. Non si spiegherebbe il NO alle trivelle. Oppure il SI all’acqua bene pubblico, il No al nucleare. Tutta roba partita da Sud. Analisi semplice: il Sud è più povero; il Sud soffre di più; il Sud, emarginato e disprezzato da tempo immemorabile, è sicuramente meno incline al razzismo. E l’Italia resta profondo Sud dell’Europa.
Tocca a noi, insomma, fare la mossa del cavallo. Spiazzare davvero l’establishment, che è già abbondantemente sceso a patti con le destre fascistoidi, accettando di tutto e di più perché quella dell’estrema destra è una finta contestazione: a loro basta agitare lo spauracchio dell’immigrazione, e fare la voce grossa davanti a Bruxelles, da pagliacci, a uso interno (basta vedere il giovane Kurz, quello che minacciava i carri armati al Brennero ); perché poi nella UE dei banchieri ci stanno benissimo (vedi Polonia e Ungheria). Ipocriti su tutto: mezzo milione di ucraini da sfruttare a Varsavia vanno più che bene, perché sono invisibili; ma, per carità, se sono scuri di pelle, non li vogliono.
Di sicuro, in cinque anni è cambiato tutto. Nostro malgrado, ci siamo “internazionalizzati”. I temi sono diventati simili a quelli degli altri paesi europei. D’altra parte, il populismo post-moderno in Europa lo abbiamo inventato noi, con Bossi prima ancora di Berlusconi. A colpi di populismo, abbiamo seppellito la Prima Repubblica, e ci siamo giocati la Seconda. La Terza, nei disegni dell’establishment, doveva nascere sotto la stella di Renzi. Gli è andata male.
Chiaramente, come diceva uno skipper come monito alla vigilanza, “la cazzata è sempre in agguato”: gli italiani potrebbero essere capaci di resuscitare sia Renzi che Berlusconi, con Salvini ruota di scorta. Un doppio incubo da “Rosatellum”: un governo Renzi-Berlusconi, con tutti i piccoli servi centristi; o un governo delle destre, magari con un premier leghista.
Oppure un governo del M5S, sostenuto, magari indirettamente, dalla sinistra, e perfino da un PD clamorosamente sconfitto alle urne (cosa provabilissima) e quindi un PD che “rottama” Renzi e si ricorda di essere stato (anche) un partito di sinistra, in un’epoca lontanissima. I tempi non sono mai stati così maturi, la scelta non è mai stata così facile, lo diciamo cinque mesi prima.“Do the right thing”.
Cesare Sangalli