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Strange days
A fari spenti verso il caos. Questa è la sintesi della campagna elettorale, a due settimane dal voto. O meglio, questa è la sintesi di quello che ci hanno raccontato i media, almeno fino ai fatti di Macerata. Perché poi un tema si è andato imponendo: il tema del fascismo (e del razzismo) e dall’antifascismo (e antirazzismo).
Il giochino dell’establishment era fin troppo chiaro: ci sono i “populisti”, termine abusato, nuovo cliché che vorrebberoimporre a tutti, e ci sono i “moderati”, argine ai populisti. Tradotto, ci sono Renzi e Berlusconi che devono rinnovare la classica alleanza o non belligeranza fra loro; poi si può chiamare “Grosse Koalition”, o “larghe intese”, per nobilitarla; oppure “inciucio”, ma pure “nuovo patto del Nazareno”, che è un po’ la versione 2.0 della “Bicamerale” D’Alema-Berlusconi di vent’anni fa. E’ lo schema politico che ci governa dal ’95, cioè dal governo Dini (vedi “L’ora di Matrix” in archivio).
L’immagine per eccellenza, il simbolo visivo di questo lunghissimo, sciagurato periodo, che ha portato l’Italia ad essere uno dei paesi più diseguali d’Europa, uno dei più inquinati, uno dei più corrotti, ma soprattutto uno dei più immobili, è “Porta a porta” di Bruno Vespa. La scenetta della replica del “contratto con gli italiani” firmato da Berlusconi nel salotto di Rai Uno riassume meglio di qualsiasi analisi lo stato dell’arte: Vespa è identico a se stesso, probabilmente perché era già vecchio negli anni Settanta, e perché indubbiamente ha qualcosa di mefistofelico; Berlusconi rende molto più l’idea, è davvero una mummia, gli manca solo il sarcofago.
Vorrebbero farci credere che l’Italia è ferma all’unica vera svolta della sua storia recente, quella verso il basso e verso destra del 1994, le elezioni più tristi e nefaste in 70 anni di storia repubblicana (vedi “Il Grande Freddo”): invece di uscire da Tangentopoli con una svolta progressista, si preferì la bieca Restaurazione, spacciata come novità, e affidata a berlusconismo, leghismo e (post) fascismo. Il peggio del peggio che si sia mai visto in questo paese, specchio soprattutto della miseria morale e culturale della parte più ricca e popolosa del paese, il Nord. Ad essere più precisi, l’elettorato ex democristiano (in gran parte), e quello ex socialista (praticamente in blocco), confluirono in Forza Italia; mentre i vecchi missini triplicarono quasi i loro voti; i leghisti, in realtà, semplicemente si confermarono rispetto all’ultima elezione della Prima Repubblica (1992): se si guardano anche le votazioni successive la Lega ha una continuità incredibile, sempre intorno ai tre milioni di voti. Le cose per gli ex “lumbard” ed ex “padani” sono cambiate prima con la crisi devastante provocata da Bossi scoperto con le mani nella marmellata (2013), poi con la resurrezione dovuta a Salvini, che ha fotocopiato Lepen con successo. I post fascisti di Alleanza Nazionale nel 1994 erano infatti quasi il doppio dei leghisti; e Forza Italia era quasi il quadruplo; adesso la Lega ha più o meno gli stessi voti dei “berluscones”, e il triplo dei voti di Fratelli d’Italia; il che significa, comunque, sommando questi due datipiù le altre formazioni di estrema destra, che l’area fascistoide non è mai stata così forte (quasi il venti per cento).
Altro che passato: questa è purtroppo l’unica vera novità politica del presente, insieme, per fortuna, al Movimento Cinque Stelle (ci torniamo più avanti). Il lungo periodo di “Porta a Porta” ha visto la progressiva, lenta scomparsa del centro (da Segni a Dini a Monti), con la morte definitiva della DC (il simbolo “finale” è Casini candidato a Bologna nella coalizione del PD): da undici milioni di voti (1992) al nulla. Il voto,in altre parole, si è radicalizzato, ma i guru del PD ancora non l’hanno capito: per loro la storia si è fermata tre anni fa, al 41 per cento di Renzi, cioè il miracolo di un bluff che non tornerà mai più. Quindi c’è stata anche in Italia una forte spinta versa la destra fascistoide. E la sinistra?
La sinistra vera, cioè i fantomatici “comunisti” di Occhetto & C. proiettati dal Caimano nelle labili coscienze politiche della maggioranza degli italiani, non si è mai ripresa dal trauma del ’94 cioè dal tradimento vergognoso dell’Italia che si voleva“antifascista”, di cui, tutto sommato, i presunti “comunisti” di allora non avevano colpa.
Da quel momento, la sinistra ha cercato in tutti i modi di rinnegare se stessa, di darsi un taglio moderato, centrista, non aggressivo, “borghese”, se non perqualche simulazione da campagna elettorale (cioè dipura facciata); e alla fine è sempre fallita nell’intento, prima con il democristiano Prodi (che qualcuno, incredibilmente, ancora rimpiange), poi con il democristiano antropologico Veltroni, e, da ultimo, con il democristiano “smart” Renzi.
Ma nel frattempo, in 24 anni, qualcosa è cambiato. E’ cambiato il mondo, è cambiata l’Europa, è entrato in crisi profonda, strutturale, “finale”, il modello neoliberista, che ormai è stato coniugato in tutte le salse, dalla Terza Via di Blair al “modello renano” della Merkel, fino all’ultima proposta della casa madre, il vuoto ottimismo europeista e tecnocratico di Macron, che non lascerà traccia, a nessun livello, potete starne certi.
Intendiamoci: la critica alla globalizzazione capitalista è subentrata, a livello di massa, solo con la crisi economica del 2007-2008; altrimenti la sensazione (leggi: certezza) è che il Nord del mondo sarebbe andato avanti “ad libitum” con il modello di sempre, infischiandosene alla grande del Sud, cioè della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, e della catastrofe ambientale planetaria. In Italia più che mai: abbiamo rimosso i profeti “no global”, massacrati di botte e torturati a Genova nel 2001 nell’indifferenza generale e nella menzogna di Stato. Eppure molte di quelle idee sono state raccolte dal Movimento Cinque Stelle, che per questo è “filosoficamente” di sinistra ambientalista, anche se con una brutta tendenza al qualunquismo, che porta sempre verso destra.
La critica della globalizzazione capitalista, infatti, ha preso per ora la scorciatoia della semplificazione cieca, la via più facile e pericolosa, la strada peggiore di tutte: quella di chi promette di ritornare al buon tempo che fu, ad un mondo chiuso nel suo egoismo irresponsabile, scaricando il male sugli stranieri, cioè sulle principali vittime del processo neoliberista: è il “fasciocapitalismo”, perfettamente incarnato da tanti leader mondiali (Trump, Putin, Modi, Erdogan, Al Sisi, Xi Jinping, re Salman…) ed europei (Orban, Kaczynski, Wilders, Lepen, Strache…). Questo è il loro momento storico, si spera che sia lo già allo zenit, e che segua una parabola discendente.
L’Italia, da questo punto di vista, è più avanti, paradossalmente. Non per qualche merito, ma perché “abbiamo già dato”. Salvini è riuscito nel miracolo di far sembrare nuova la vecchia Lega; ma alla fine sembra già arrivato da un pezzo al massimo dell’espansione, tanto che forse non riuscirà nemmeno a prendere il famoso “voto in più” su Berlusconi. Tutta la destra sa benissimo di avere il suo vero bacino di voti negli anziani, e insiste essenzialmente sul tema sicurezza/immigrazione, presentati in abbinamento (lo fa da vent’anni, il paese è invecchiato col tema, fasullo). E comunque, sono tutti insieme quello che il PDL era da solo ancora nel 2009 (elezioni europee), dopo un voto considerato estremamente deludente. Strano modo di essere favoriti.
L’unica novità positiva, e vero fattore di cambiamento, in Italia, è il Movimento Cinque Stelle. E’ una novità europea, mondiale. Da piccolo movimento di piazza, snobbato e irriso da tutto l’establishment ancora sette-otto anni fa, ora è la prima forza politica italiana, senza se e senza ma. Tutto il vecchio sistema è contro di loro, in maniera parossistica, plateale, spudorata. Hanno un compito difficilissimo, quasi una “mission impossible”: riuscire a cambiare il paese senza cadere a destra, cioè nelle scorciatoie del pensiero, che sono da sempre l’anticamera di ogni razzismo, di ogni fascismo. Da questo punto di vista, hanno un bisogno vitale della sinistra. Una sinistra che è tornata finalmente ad esistere (Liberi e Uguali, Potere al Popolo), carica ancora di problemi, dopo dieci anni esatti di deserto: cacciata giustamente fuori dal Parlamento dai suoi elettori nel 2008 (vedi “Sunset Boulevard”), dopo il nulla dei sui due anni al governo, è sopravvissuta da allora galleggiando sul quorum, grazie a Nichi Vendola e ad un milione di italiani resistenti (fra i quali chi scrive) che hanno votato prima SEL e poi Lista Tsipras. Sui contenuti, sono (siamo) il vero trait d’union con il M5S (dall’acqua bene comune al no alle trivelle, dall’opposizione al TTIP alla proposta di bloccare la criminale vendita delle armi all’Arabia Saudita). E nel momento in cui ritorna prepotentemente il tema dell’antifascismo, possono (possiamo) essere la spinta decisiva per formare un fronte anti-destre, unica soluzione per uscire dalla palude, insieme al M5S e al PD senza Renzi. Con l’augurio che possano entrare in parlamento, al postodei nazifascisti di Casa Pound e Forza Nuova, i duri e puri di “Potere al popolo”, che già hanno scelto un nome perfetto, a cinquant’ anni dal 1968. Buon voto a tutti. Power to the people.Cesare Sangalli
- La destra trionfa? Mica tanto, nei voti: Forza Italia ne prenderà meno di sempre, Meloni è il vecchio MSI, la Lega cresce a scapito di Forza Italia (era oltre 5 volte la Lega nel 2013)
- Di sicuro, nei contenuti: dai “comunisti” del ’94 ai fascisti nel 2018
- Nel M5S tornano anche renziani delusi
- La sinistra prende i voti di Rifondazione? Triste; ma onore a SEL e lista Tsipras
- La sinistra +Potere al Popolo oltre il 10 per cento: si può ragionare