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Stelle del Sud(non avete capito niente)


Boom. Un’esplosione così forte forse l’ha sentita pure Napolitano, che comunque non era sordo per l’età, ma per l’arroganza. Il terremoto politico  del 4 marzo 2018 (data storica dopo quella del 4 dicembre 2016 ) era in qualche modo annunciato. In fin dei conti, tutti sapevano che il M5S sarebbe stato il primo partito; che l’ improbabile coalizione di destra  avrebbe raccattato più voti con la sommatoria dei grossi nani (lo è anche Salvini, davvero iper-rappresentato, alla fine la Lega è solo il terzo partito, con metà dei voti dei grillini); che il PD di Renzi sarebbe andato male. Ma tutti (cioè gli intellettuali dell’establishment) pensavano di cavarsela con i numeri, soprattutto grazie alle inesauribili astuzie della legge elettorale, il vergognoso Rosatellum.
E invece. Mai un’arma si rivoltò così tanto contro chi l’aveva escogitata, se non nei cartoni animati di Wile Coyote e Beep Beep. In tutte le dettagliatissime finzioni di voto dei brillantissimi sondaggisti, grazie alla presunteaffermazioni nei collegi uninominali, le destre sarebbero state ad un passo dalla maggioranza assoluta. Queste proiezioni se le sono bevute in mezza Europa, e , checché se ne dica, i presuntuosi intellettuali europei erano già pronti all’evento (l’ennesima vittoria della destra): per quanto la Lega potesse fare paura (nemmeno troppo, vedi come sono tranquille Polonia, Ungheria, Austria e altri paesi “fascistoidi” rispetto a Bruxelles), sarebbe bastata una buona affermazione di Berlusconi, scandalosamente “sdoganato” in tutte le capitali del continente, con il soccorso del PD di Renzi che doveva almeno limitare i danni, per fare in modo che alla fine si trovasse la quadra per andare avanti come negli ultimi anni. “Business as usual”.
Ma gli italiani hanno avuto più coraggio di qualsiasi altro paese europeo, grande o piccolo (con l’eccezione della Grecia e del Portogallo tre anni fa: ancora e sempre paesi del Sud). Perfino la minuscola Islanda, che potrebbe permettersi politicamente qualsiasi esperimento,  è tornata al vecchio, quando doveva svoltare premiando il Partito Pirata antisistema e i suoi alleati di sinistra. Per non parlare della Spagna, la più grande delusione degli ultimi dieci anni, che ha già sgonfiato la rivolta di “Podemos”, e ha accettato la gestione franchista del referendum catalano, con tanto di esponenti politici in galera, e un monarca (!) meschino che approva le manganellate sugli elettori innocenti: una nazione, in questo momento, di destra reazionaria.
Gli italiani del 2018 hanno decretato l’esistenza di un solo partito di massa, dalle Alpi alla Sicilia, nelle città e nei paesini, al mare e in montagna: il Movimento Cinque Stelle. E il cuore del M5S (e pure il cervello) batte a Sud, e batte  più forte nei giovani, nei più poveri, nelle donne.
La vera differenza, prima ancora che politica, è antropologica: in contrapposizione con il Nord, inteso non tanto o non solo in senso geografico, cioè la parte maschia, ricca, vecchia (e stronza) del Paese, ecco il Sud, femminile, povero, giovane ed entusiasta, come hanno ricordato gli operai della FIOM di Pomigliano a Lucia Annunziata, stanchi di sentirsi dire che i meridionali avevano votato con la pancia, inseguendo solo l’obbiettivo del reddito di cittadinanza (come hanno detto tanti analisti, compreso Marco Damilano e Michele Serra, rivelandosi davvero superficiali, oltreché qualunquisti e snob).
Quella di cui sopra è chiaramente una schematizzazione tagliata con l’accetta. E’ evidente che ci sono moltissime altre componenti. Ma se il voto del 4 marzo farà storia (e la farà), non solo in Italia, ma in Europa, sarà proprio per aver dato voce al famoso 99 per cento (sempre schematizzando: in realtà molto meno) penalizzato o escluso dal neoliberismo, dalla globalizzazione economica e finanziaria.
Sembra proprio l’Italia che, impreparata ai cambiamenti, “inciampando vede il futuro prima degli altri” (Nicola Lagioia, vedi “Ma cos’è questa crisi” in archivio). Perché il sistema è stato scosso, eccome. Lo si capisce meglio dalle reazioni dei soliti analisti e politologi: sono smarriti, spiazzati, in certi casi sembrano pugili suonati. Hanno perso la bussola, gli hanno tolto tutti i punti di riferimento, le certezze pigre e vigliacche, i comodi stereotipi, le letture vecchie di vent’anni. E’ sparita l’Italietta che alla fine ripiega sempre verso il centro. Il Sud storicamente clientelare e filogovernativo guida con coraggio (fosse anche il coraggio della disperazione) il cambiamento per la prima volta, invece che subirlo.
Al contrario,  la famosa “parte più produttiva del paese”, quella che soprattutto paga lauti stipendi ai commentatori pro status quo (il novanta per cento), non sa esprimere niente di meglio che il “fasciocapitalismo”, perfettamente rappresentato da Salvini (e dalla Meloni), cioè “flat tax”, in accordo totale con il ladro Berlusconi, e faccia feroce con gli immigrati (idem). E’ l’egoismo individualista esasperato fino al razzismo, cioè il frutto malato del neoliberismo, che, se produce ricchezza, diminuisce la coscienza sociale e civile; e quando la toglie, la ricchezza, perché tende continuamente a concentrarla in poche mani, produce risentimento xenofobo, tanto più forte in un paese di vecchi .
Il voto per il M5S vorrebbe essere, prima di tutto, un voto anticapitalista. Se poi lo sarà concretamente, è tutto da vedere. Questo è l’orecchio da cui tanti non vogliono sentire. Volevano, vorrebbero raccontarci che il mondo va bene così com’è, con qualche aggiustamento; oppure convincerci che comunque non si può aspirare, realisticamente, a nessun cambiamento sostanziale. Qualcuno sembra addirittura auspicare la solita punizione dei nuovi vecchi idoli, i “mercati”, per ricondurre all’ordine i “peones” che hanno osato alzare la testa, e forse riusciranno a gridare finalmente che il re è nudo.
Sarebbe il ruolo storico della sinistra, e in questo senso il M5S, al di là delle etichette, svolge un ruolo di sinistra. Ma il PD è ormai sostanzialmente un partito di benestanti, che manco sono borghesi illuminati (anche se si sparano le pose in tal senso). Per accettare di parlare di  disuguaglianza, cioè di ingiustizia (parola, fateci caso, che non usa nessuno), hanno dovuto vedere di tutto e di più (la Brexit, Trump, l’ondata fascistoide in Europa e nel mondo), e ancora fanno finta di non capire, di non vedere. Il senso etico è così appannato che preferiscono “Berlusconi a Di Maio”: Scalfari docet, ma lo aveva già detto Letta prima di andare il governo, e lo aveva dimostrato Bersani quando preferì concordare con il Caimano il nome di Marini piuttosto che appoggiare con coraggio l’ottimo Rodotà insieme al M5S (passaggio esiziale, rimosso da tutti, un dietrofront che ci ha fatto perdere cinque anni). Una sinistra terrorizzata dai cambiamenti non è degna di esistere.
Ora i trucchi da gattopardi e ponzi pilati e don abbondi e machiavelli per non cambiare sembrano davvero esauriti. Se hanno un po’ di dignità, i democratici del PD, e a maggior ragione quelli di Liberi e Uguali,devono mettersi al servizio del M5S, portargli il valore aggiunto di cultura ed esperienza politica che restano superiori a quelle del movimento.
 Cenere sul capo, quindi, e lavorare solo sui contenuti, non sulle spartizioni, perché il potere logora chi ce l’ha. Tagliare i cordoni ombelicali delle rendite, uscire dai salotti buoni della borghesia e dagli uffici della nomenklatura, e ritrovare la strada, la piazza, la stessa posizione del“nulla da perdere” che avevano i tanto disprezzati “grillini” quando hanno iniziato la loro straordinaria avventura.
In questo senso, nel campo della sinistra,e paradossalmente, visto che non sono nemmeno entrati in Parlamento, sono in una posizione migliore quelli di Potere al Popolo, che hanno comunque avuto il merito di oscurare i nazifascisti di Casa Pound e Forza Nuova, i quali avevano più soldi e più visibilità, ma sembrano per fortuna destinati a tornare nelle fogne da dove provengono.

La sfida è solo all’inizio. Ma tornare indietro adesso è molto più difficile che andare avanti. Adelante, verso il mondo che verrà.

                                                                                                

Cesare Sangalli