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Ghost(lettera alla sinistra scomparsa)
“Uno spettro si aggira per l’Europa….”. Quante volte abbiamo letto il celebre incipit del “Manifesto” di Marx (ed Engels) . Nel bicentenario della nascita del filosofo tedesco, e a due mesi dalla clamorosa sconfitta (scomparsa?) della sinistra in Italia, lanciamo il nostro “message in a bottle” , sperando che fra i vari fantasmi qualcuno si materializzi, prima o poi.
La batosta del 4 marzo non è stata né assorbita, né metabolizzata, né analizzata, né capita. Niente di niente. “Lost in translation”. Come nel film sullo spaesamento in terra straniera, l’atteggiamento prevalente è proprio il mutismo, peraltro facilmente comprensibile, dato il contesto. Dal momento, infatti, che la sinistra italiana sembra esistere soprattutto (esclusivamente?) in funzione delle elezioni, e in un paese ancora prettamente televisivo, i leader della sinistra assomigliano in questo momento agli allenatori che dopo una disfatta si rifugiano negli spogliatoi e non vogliono presentarsi in sala stampa.
Qualcuno, in realtà, un’analisi più profonda l’ha tentata. Tipo D’Alema, che sul “Manifesto”, con un po’ di anni di ritardo, ha preso le distanze dal “blairismo”, ha sconfessato la “Terza Via”, ha ammesso, bontà sua, che il tentativo di correggere la globalizzazione capitalista è fallito. Un’ammissione comunque rigorosamente al plurale, collettiva, e un po’ astratta.
Altri intellettuali, sempre sul “Manifesto”, unico vero giornale della sinistra, l’hanno presa un po’ alla larga, facendo partire tutto dal famoso 1989, dalla fine del comunismo (che secondo qualcuno è stata anche la fine della socialdemocrazia). Anche in questo caso si nota una certa tendenza, sia detto con tutto il rispetto, ai “brevi cenni dall’universo”, classica definizione giornalistica che irridegli articoli un po’ troppo intellettuali o troppo magniloquenti (ormai specialità, a livelli imbarazzanti, di Scalfari). Non si possono fare sempre le mega-analisi che assomigliano tanto, per quanto in buona fede, ad una mega-rimozione.
Voliamo un po’ più basso, e rimaniamo in Italia, prima di abbracciare la critica della ragion pura capitalista. Partiamo da due sconfitte della sinistra, due pietre miliari, che possono aiutare a capire: quella del 1994 e quella del 2008, il vero anno zero dei progressisti (il 4 marzo scorso, al limite, è l’anno uno).
E partiamo dal famoso popolo sovrano, quello che sostiene i tanto vituperati “populismi”. Facciamo un processo alla sinistra, con una tesi innocentista (per la sconfitta del 1994), e una colpevolista (per la sconfitta del 2008),
In questa rubrica abbiamo già avuto modo di scriverlo: nessuno può criticare veramente il buon Achille Occhetto, né il suo PDS, o la coalizione di sinistra (senza centro, che si era ostinato ad andare da solo), i “progressisti” (vedi “Il Grande Freddo”) per la disfatta del 1994. Non c’è nessuna giustificazione per quella netta maggioranza di italiani che votò Berlusconi, Fini e Bossi.
L’unico peccato della sinistra e di Occhetto all’epocafu l’ingenuità: avere sopravvalutato gli italiani, e sottovalutato Berlusconi. Occhetto aveva ereditato la non comprensione della società italiana da Berlinguer , oggi venerato come un santo (per forza, visto il seguito): un grande leader, per carità, ma che di modernità non ci aveva capito una mazza. I suoi tre errori, veramente capitali, mai indagati (ecco già allora la specialità della sinistra: la rimozione) hanno condizionato il futuro dei progressisti in modo esiziale.
Il primo errore. Berlinguer, quando dichiara esaurita “la spinta propulsiva del socialismo reale”, nel 1981, aveva capito quello che era già evidente a molti: il comunismo è destinato al fallimento. Si trattava di prenderne atto, con coraggio, e definire il PCI per quello che di fatto era già, e da tempo: un partito laburista (magari un po’ più radicale); di conseguenza, cambiare nome e simbolo con quasi un decennio di anticipo. Il ritardo (la svolta di Occhetto è del 1990) consentì in qualche modo a Berlusconi di agitare l’inesistente fantasma dei “comunisti” alle elezioni del 1994: il Caimano scendeva in campo addirittura per “salvare l’Italia” (!).
Il secondo errore. Berlinguer archiviagli anni Settanta all’insegna dell’“austerità”, quasi esistesse una diversità antropologica del popolo comunista; ma nel frattempo il paese, oltre a essere entrato nella fase post-industriale (e quindi addio lotta di classe operaia), è decisamente più benestante, e ha già optato per uno stile di vita molto più edonista (che in quella fase si poteva ancora considerare legittimo, “normale”). La legge del contrappasso ha fatto sì che oggi il PD è percepito come il “partito dei benestanti” (che in buona parte è vero; ma ci vuole una bella faccia tosta per sostenere che berlusconiani e leghisti rappresentino il proletariato).
Il terzo errore riguarda la televisione. Per i comunisti, poteva bastare la RAI nei secoli dei secoli: istituzionale, pedagogica, moraleggiante, in bianco e nero (!). Nessuno si accorge che un certo signor B. sta occupando abusivamente l’etere, e che in pochi anni raggiunge addirittura il monopolio nel campo del TV private (1984): il mostro andava ucciso in culla, invece non si muove nessuno; negli anni Ottanta svanisce completamente la famosa “egemonia culturale” della sinistra, e la regressione mentale del paese in un decennio è impressionante (la morte ha risparmiato a Berlinguer questo triste spettacolo).
Ma gli errori di Berlinguer non giustificano la pochezza morale, che in molti casi è autentica miseria, della maggioranza degli italiani nel 1994. La disinvoltura con cui, in 48 ore, abbandonano l’ antifascismo, votando Fini (che va oltre il raddoppio dei voti del MSI/AN);dimenticano la questione morale (esplosa con Tangentopoli solo due anni prima) votando Berlusconi, amico di Craxi (e dei mafiosi, come si saprà più tardi); trascurano la serietà politica, votando Bossi, cioè il “celodurismo”, la “Padania” e i miti celtici, il 27 e 28 marzo 1994, è sconcertante: non lo meritava Occhetto, non lo meritava la sinistra, lasciata ancora e sempre all’opposizione dopo una lunga, vana marcia verso il governo, una marcia durata mezzo secolo (!).
Da quel momento, parte la gara al ribasso, con Veltroni e D’Alema, il Gatto e la Volpe: nonostante un antiberlusconismo di facciata, si va nella direzione che sembra piacere al popolo. Si abbracciano i moderati, sposando i vecchi avversari della DC, prima con le nozze, diciamo, in Comune (l’Ulivo), e poi in chiesa (il Partito Democratico). Da fenomeno eversivo, Berlusconi assurge a potenziale padre costituente (la Bicamerale con D’Alema, 1997); e Luciano Violante, con un discorso vergognoso(2003) , rivela senza pudore la resa incondizionata della “sinistra” (virgolette obbligatorie), concordata “fin dal 1994”: “non abbiamo fatto la legge sul conflitto di interessi, non abbiamo toccato le televisioni, e sotto il nostro governo Mediaset ha aumentato il fatturato di 25 volte”. Appunto. Non occorre scomodare la “Terza Via”, Tony Blair, la globalizzazione, il capitalismo: molto più modestamente, il centrosinistra si era già arreso al berlusconismo, dopo lo shock del ’94,e non si è mai ripreso da allora.
In questa condizione di inferioritàpsicologica e “culturale”, da tremebondi, eterni perdenti, che riescono miracolosamente a vincere nel 2006 grazie al Prodi bis (aritanga), si arriva alla vigilia delle elezioni del 2008, con la sinistra “radicale” al potere (!). Considerando Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani, si partiva dai quasi 4 milioni di voti (!) presi nel 2006, che si ridurranno a poco più di un milione (la cifra attuale, la cifra standard, un condanna) in una sola giornata, il 13 aprile 2008, l’anno zero.
La sinistra è cancellata, fuori dal Parlamento per la prima volta dal 1946 (!); e questa volta è stata punita giustamente, perché non ha saputo fare, proporre, suggerire niente, assolutamente niente, nemmeno per sbaglio. Ovviamente niente contro il berlusconismo, né conflitto di interessi, né riforma televisiva. Niente sulla giustizia, sulla questione morale, nonostante lo schifo, la corruzione dilagante, le mafie. Nulla sull’ambiente, nonostante l’aggressione immane, feroce del territorio. Nulla sulle spese militari, nulla sulle carriere dei poliziotti torturatori dopo Genova (De Gennaro su tutti). E infine nulla sull’immigrazione, con l’unico tentativo di sostituire la vergognosa Bossi-Fini, che è all’origine dell’approccio securitario e razzistello alla questione, miseramente fallito (la legge Amato-Ferrero mai approvata). Niente di niente. Pura gestione del potere e dell’inerzia, chiacchiera salottiera in TV, anche e soprattutto quella berlusconiana, incarnata dal leader di sinistra più vanesio e inconsistente di tutti i tempi: Fausto Bertinotti.
Non è un caso che mentre sparisce la sinistra (2008, appunto), comincia ad apparire il M5S, con l’Italia dei valori che fa da traino per qualche anno. La richiesta di rappresentanza è enorme, quella di cambiamento altrettanto: la sinistra l’hanno vista tutti all’opera, due volte, con Prodi, ed è bastato. Adagiata su posizioni di rendita identitaria, ruota di scorta di quel partito insulso che è il Partito Democratico, la sinistra-sinistra viveva in una comoda bolla autoreferenziale, tipo “setta dei poeti estinti”. Vendola ha cercato invano di contrastare la tendenza (e infatti l’ultimo piccolo “zoccolo duro” è ancora il suo), ma, come nel Nuovo Testamento, la vigna è ormai passata ai nuovi operai, quelli del M5S. Hai voglia a criticare, a snobbare il “partito virtuale”: erano molto più virtuali, da anni, i circoli e le sezioni, che non i “meet up”; costruiti, è vero, su Internet, ma capaci all’occorrenza di riempire le piazze (e le urne).
Il milione abbondante di imperterriti “ultimi dei mohicani “(fra cui chi scrive) della sinistra è ancora lì,“aspettando Godot” . Cioè un’alleanza col M5S che chiuda una volte per tutto con il berlusconismo (ma a quanto pare questa funzione è stata lasciata addirittura a Salvini!); e poi, a livello europeo, la proposta di Varoufakis-De Magistris che punta ad un’Assemblea Costituente, per fondare dal basso la Federazione Europea. Sperando che. prima o poi, gli ultimi saranno i primi.
Cesare Sangalli