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Mammona’s friends


“Sono una pennivendola, una puttana?”, ha chiesto Lucia Annunziata, praticamente a nome di tutti i giornalisti, al ministro della Giustizia, il grillino Bonafede. La domanda era ovviamente retorica, dopo gli attacchi scomposti di DiMaio e Di Battista alla categoria, seguiti all’assoluzione del sindaco di Roma Virginia Raggi.
La risposta avrebbe potuto essere: “No, dottoressa Annunziata; ma lei, per esempio, è stata a libro paga dell’ENI all’insaputa dei più, come membro del comitato editoriale del trimestrale patinato dell’azienda petroliferadi Stato, nonché primo gruppo italiano per volume di affari”. E come lei, Gad Lerner, Federico Rampini, o, con altra funzione, Ferruccio De Bortoli, autentici principi della carta stampata (c’era perfino il portavoce di papa Woytila, il mitico Joaquìn Navarro Valls, pace all’anima sua).
A quel punto sarebbe stato interessante chiedere: “Dottoressa Annunziata, quanto le pagava l’ENI per il disturbo?Così, tanto per avere un’idea; e già che c’è ci dica anche quando prende per fare il suo simpatico programmino (“Mezz’ora in più”) su Raitre”. Infine, si potrebbe chiedere, da collega a collega, se Annunziata è al corrente dello sfruttamento selvaggio del petrolio nigeriano, del processo per corruzione internazionale a Descalzi e Scaroni, gli ultimi due amministratori delegati dell’ENI;  o se ha mai sentito nominare Ken Saro Wiwa, grandissimo scrittore nigeriano, impiccato a due passi dalla sede dell’ENI-Agip a Port Harcourt, per aver osato protestare contro il danno e la beffa subite dal suo popolo. In altre parole , se ha un cazzo di idea di come funziona il mondo reale, e se questo non le crea un po’ di imbarazzo (risposta negativa, evidentemente).
Perché a nessuno sembra creare imbarazzo il fatto di stare sempre dalla parte dei più forti e dei più ricchi? Per i giornalisti la domanda è impietosa, ma ognuno di noi può rispondere: quanto siamo lontani da quel mondo? Quanto ci stiamo dentro, magari senza accorgercene, o meglio, senza farci troppe domande?
Non c’è quasi notizia che non si possa ricollegare al totem di questo mondo post-moderno e globalizzato, il Dio Danaro, “Mammona” in un celebre passo del Vangelo (ci torneremo), che molti traducevano con Satana, il diavolo, ma più semplicemente, o laicamente, sono i soldi.
Prendete un quotidiano qualsiasi in questi giorni. Si parla di Arabia Saudita, delle ricadute dell’omicidio del giornalista Kashoggi. Intanto, come ha fatto notare Slavoj Zizek su “Internazionale”, l’atroce omicidio di un giornalista ha fatto più notizia ( e comunque non abbastanza) di tre anni di guerra in Yemen. Perché? Perché il povero Kashoggi era sicuramente un membro dell’élite più élite, da un lato; e dall’altro,  perché nessuno vuole perdere i soldi dei sauditi, che non riguardano solo le forniture militari. Se ne è accorta la Spagna “progressista” di Sanchez, che ha fatto un imbarazzante dietro front sul blocco delle armi, quando Riad ha minacciato di stracciare tanti altri sontuosi contratti.  E quindi, basso profilo. Anzi, bassissimo,un po’ dappertutto (da noi forse è più facile, dal momento che l’Italia si occupa quasi esclusivamente di se stessa).
Se si parla del vertice di Palermo sulla Libia, la presenza di Al Sissi, contestata da Amnesty International, non diventa certo l’occasione per fare il punto sul caso Regeni, sul fatto che l’Egitto continua a prendere in giro, platealmente,  i magistrati italiani. Anche qui, nessuno vuole mettere in gioco i contratti ENI e tutto il giro d’affari. Così va il mondo, così va l’economia.
Se veniamo alle notizie nazionali, il maltempo provoca le ennesime sciagure per la costruzione dissennata e abusiva nella repubblica del cemento. Ma quanti hanno ripreso il messaggio sacrosanto di Pif, che chiede da tempo in un video su Facebook perché tutti parlano delle ruspe di Salvini lanciate sugli insediamenti dei poveri, ma nessuno pretende le stesse ruspe sulle seconde case in riva al mare o sugli abusi edilizi, non certo “di necessità” (ammesso che esistano veramente)? La risposta è presto detta: colpire un simbolo di benessere familiare, per quanto illegale, di sicuro non fa “audience”. Sull’altare dei soldi, sono tanti, ma tanti, quelli disposti a sacrificare princìpi, dignità, idee, fede religiosa o convinzioni politiche. Tutti amici di Mammona, quando c’è da scegliere.
Un ottimo riscontro dei “Mammona’s friends” si è avutoanche con la manifestazione dei 40mila (o 30mila, o 20mila, di sicuro meno di quelli che a Roma protestavano contro la proposta di legge Pillon e contro il razzismo) “Sì TAV” a Torino. Salutata come l’emersione di una maggioranza silenziosa, paragonata alla marcia dei 40mila “colletti bianchi” del 1980, la manifestazione è statasubito confortata dal classico sondaggio secondo cui la maggioranza degli italiani è favorevole alla Grande Opera. Può anche darsi che sia vero. Anzi, è probabile. Non solo perché la disinformazione sul TAV (come sul TAP) è stata massiccia, e chi si opponeva è sempre stato dipinto come un pericoloso antagonista, un facinoroso “oppositore del progresso”. No, il vero motivoè quello che ha rivelato una delle signore torinesi scese in piazza: il disprezzo per la “decrescita felice” (cioè “l’abbondanza frugale in una società solidale”, secondo la definizione del suo teorico Serge Latouche), l’incubo di perdere la fetta di soldi pubblici da spartire fra quelli che contano, con le briciole per qualche migliaia di operai. E tutto il resto (la tutela dell’ambiente, l’utilizzo corretto del denaro pubblico, il rispetto delle comunità locali), mancia.
Ci si lamenta che l’Europa non ha “appeal”, che manca di ideali, di progetti politici, di “anima”, di princìpi alti e nobili, di valori. Che si occupa solo di economia. Sono gli stessi (giornalisti e politici) che da vent’anni e passa hanno sempre e solo ragionato di convenienza, ovviamente non trovando mai risposte vere, risposte certe (perché non le hanno, l’economia capitalista è cieca). All’epoca, entrare nell’euro era la panacea di tutti i mali, il definitivo salto di qualità (“siamo nel gruppo dell’euro”), la garanzia di benessere. Poi qualcuno ha cominciato a dire che l’euro era invece la fonte di tutte le disgrazie (ma guai a uscirne, comunque, perché la paura di perdere benessere – probabile, ma noi non siamo economisti – è ancora più grossa).
Perfino per una riforma costituzionale, un tema di principio per eccellenza, la “schiforma” di Renzi, si è cercato di dipingere la vittoria del NO come foriera di chissà quali disgrazie economiche, mentre il successo del SI avrebbe schiuso, ancora una volta, le magnifiche sorti e progressive dello “sviluppo”, della “crescita”. Per fortuna non ha funzionato, il solito giochino di chi ci prende in giro da decenni, di quelli che hanno continuato a garantirsi il loro benessere, a scapito di tutto e di tutti.
Non mentiamo a noi stessi, però: la questione non riguarda solo l’uno per cento della popolazione, se non per il suo vergognoso accumulo di ricchezza. Riguarda almeno i due terzi del popolo italiano, dagli anni Ottanta, cioè la grande maggioranza che si è abituata a pensare da benestante (e con molte buone ragioni). Di tutte le cause della crisi della sinistra, la più evidente non viene mai citata. La crisi della sinistra ha significato anche la crisi di ogni idea di futuro (e viceversa).
Per che cosa avremmo dovuto batterci, a partire dagli anni Ottanta, se non per la ripetizione ad oltranza del presente consumista, privatissimo, ognuno per sé e il mercato per tutti? Questa è la linea di condotta degli ultimi 30-40 anni; d’altra parte Mammona, il satana dei soldi, mica puzza di zolfo, rivelando uno sguardo luciferino. E’ suadente, avvolgente, ti anestetizza cuore e cervello dolcemente, e intanto alleva il mostro che è in te, che è in tutti noi; il mostro di indifferenza, di egoismo, che vive come fastidio moralistico non solo il dovere della solidarietà: ormai fatica anche a compiere i gesti minimi della beneficenza; e, più in profondità, percepisce sempre di più di avere smarrito tutti i punti di riferimento, le stelle polari dell’esistenza, e quindi si sente solo e abbandonato, si sente raggirato, soprattutto se non può più narcotizzarsi di consumi e false certezze; e non potendosi sfogare contro il sistema (capitalista), servito alacremente e inconsapevolmente per anni, si sfoga con il prossimo, povero, fastidioso, minaccioso, alieno: il migrante. Siamo lontani anni luce dal messaggio di papa Francesco, quello della “Laudato Si’” citata perfino dall’ONU tre anni fa, nella risoluzione che critica duramente il liberismo e i suoi strumenti (i trattati di libero commercio). L’enciclica di Bergoglio è il manifesto filosofico della sinistra del XXI secolo. Speriamo che venga condiviso molto più di un’altra enciclica profetica (e inascoltata) la “Populorum Progressio” di papa Paolo VI, del 1967. La sfida è enorme, e riguarderà tutto il resto della nostra vita. Ma intanto possiamo cominciare a fare un po’di verità, e stabilire qualche punto fermo: fermare la vendita armi all’Arabia Saudita (e all’Egitto). Chiudere definitivamente con il TAV (e magari anche con il TAP). Smettere di cementificare l’Italia. Il futuro è solo un inizio (da“Italy in a day”).

                                                                                                

Cesare Sangalli

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