Il Fatto del mese

 

Minniti e gli 007, una carriera Montante


“Minniti ha una storia da sbirro, e va avanti su quella strada lì”, affermò Gino Strada per criticare le politiche sull’immigrazione dell’allora ministro dell’Interno. La sua frase sollevò un vespaio di polemiche. Ma Gino Strada aveva perfettamente ragione, e pure peggio. Perché la storia che andiamo a raccontare è sì una storie di guardie, ma anche una storia di ladri. Un po’ come nel film “The Departed”, “Il Bene e il Male”, i buoni e i cattivi si scambiano le parti.
Partiamo subito da una data, per semplificare una trama con troppe implicazioni, ché gli scandali italiani legati ai servizi segreti sono come le facce del cubo di Rubik, si collegano tutte fra loro. Torniamo indietro di dieci anni esatti, al gennaio 2009,e partiamo da un banale conto corrente aperto in una banca nata pochi anni prima.
Questa banca è la Banca Nuova, filiale della Banca Popolare di Vicenza del vignaiolo Zonin, creata in Sicilia con gli amici degli amici (cioè in odore di mafia; fra i tanti Mario Ciancio Sanfilippo). Sportelli nell’isola e in Calabria, ma unica filiale romana in via Bissolati, posizione strategica,  a due passi dall’Ambasciata americana.
 Il conto corrente che viene aperto è quello di Nicolò Pollari. In realtà, oltre che correntista, secondo autorevoli voci interne della banca, rivelate “Report”, Pollari è un nume tutelare, un fondatore: lui ovviamente nega (ma non può negare di averci messo i soldi).
Banca Nuova diventa la succursale di tutti i grandi sbirri e 007 italiani, e anche dei colleghi americani della CIA, “ça va sans dire”. Pollari, se ve lo foste dimenticato, è quello implicato (con Mancini) nel rapimento di Abu Omar, rapimento per cui sono stati condannati gli agenti USA Joseph Romano e Jeff Castelli (graziati uno da Napolitano, l’altro da Mattarella). Pollari, con Pio Pompa e il solito Mancini, è anche quello che aveva messo sotto controllo una marea di giudici, giornalisti, politici, in tandem con l’attività degli spioni dellaTelecom, intercettazioni illegali e dossieraggi a pioggia, gestiti dall’ex carabiniere  Giuliano Tavaroli portato personalmente  da Marco Tronchetti Provera dalla “security” di Pirelli a quella della compagnia telefonica di Stato, privatizzata l’anno prima da D’Alema (cuccù) con Minniti, suo fedelissimo,  al fianco. 
Fra i correntisti eccellenti di Banca Nuova c’è anche il calabrese Gianni De Gennaro, il superpoliziotto  capo supremo dei torturatori di Genova, nominato dall’ineffabile Giuliano Amato nel 2000 (con Minniti sottosegretario all’Interno), successivamente confermato da Berlusconi e datutti i governi successivi, fino alla (scandalosa) nomina targata Enrico Letta, con Minniti suo sottosegretario con delega ai servizi segreti (confermato poi da Renzi),  alla presidenza di Finmeccanica-Leonardo, la più strategica delle aziende di Stato (navi aerei, missili, radar, satelliti, sistemi di intelligence), nomina che avviene nel 2013 (due anni prima Monti lo aveva portato al governo) Stesse promozioni per il fedele vice di De Gennaro,  Gilberto Caldarozzi, nonostante la condanna per depistaggio (le finte armi dei “no global” alla scuola Diaz): una delle menti della “macelleria messicana” di Genova torna a fare il braccio destrodel Grande Capo, come consulente alla “security” (è una fissa); poi va addirittura alla DIA, nominato, indovinate un po’, da Marco Minniti, stavolta in veste di ministro dell’Interno del governo Gentiloni(2017).
Ma torniamo al fatidico 2009. Nello stesso anno della creazione della banca delle spie (pardon, agenti dei servizi segreti), il mitico Marco Minniti crea con Francesco Cossiga, il democristiano più militarista e “fascio” di tutti i tempi, la Fondazione ICSA, un “think tank” di “studi strategici”, pieno di militari di massimo livello, con un po’ di politici, giornalisti, tecnici.C’è da dire che Marco Minniti le stellette ce le ha nel sangue, è figlio di un generale dell’Aeronautica, gli zii erano tutti ufficiali di alto rango; poi, particolare molto significativo, è di Reggio Calabria, e ha studiato a Messina. I militari, i servizi segreti, la Sicilia e la Calabria (e alla fine, le mafie) sono le costellazioni di questo universo parallelo, che semplifichiamo enormemente, perché l’effetto domino sarebbe pazzesco.
Limitiamoci quindi a suggerire un paio di agganci calabresi (della Fondazione ICSA), prima di venire a quelli siciliani (di Banca Nuova, la banca degli 007 e degli amici dei mafiosi). Fra i creatori della Fondazione c’è un pupillo di Cossiga, tale Paolo Naccarato, un calabrese con laurea in legge e tesserino da giornalista, che passa disinvoltamente, sempre dietro le quinte, da un partito all’altro, e da un governo all’altro: parte con Cossiga, passa da Forza Italia al Partito Democratico, per finire, via Montezemolo (“Italia Futura”) e Tremonti, con la Lega. Nel periodo forzaitaliota, fa squadra con il presidente della regione Calabria, Felice Chiaravalloti, coinvolto nelle inchieste di De Magistris (“Why Not”, “Poseidon”) che sfiorano il ministro della Giustizia Mastella  e il premier Romano Prodi (e in quel governo Naccarato è sottosegretario alle riforme). De Magistris viene clamorosamente silurato e indagato, anche se il tempo gli darà un bel po’ di rivincite. Chiaravalloti si salva, e rimane tranquillamente all’Autorità Garante dei dati personali (ruolo perfetto, in questa storie di spie).
Sul lato siciliano, la Banca Nuova vede l’ascesa di Antonello Montante. Piccolo industriale siciliano nel settore delle biciclette, 55 anni, Montante scala la Confindustria siciliana partendo dalla Camera del Lavoro di Caltanissetta. Ha un’immagine immacolata di paladino della legalità, ma la sua ascesa è legata fin dall’inizio alle conoscenze e ai giri di soldi di Banca Nuova. E’ attraverso la Banca, infatti,  che Montante costruisce una rete di contatti preziosissima, che si avvale dei contributi di agenti dei servizi segreti e alti funzionari della polizia: si costruiscono dossier su una serie di esponenti politici, imprenditori, magistrati. In cambio, ci sono assunzioni  e giri opachi di denaro. Banca Nuova, tanto per dire, tiene a libro paga la moglie di Raffaele Lombardo, governatore della Sicilia proprio nel periodo 2008-2012, una condanna in primo grado per associazione mafiosa (poi assolto);e due nuore di Renato Schifani, presidente del Senato nel 2008-2013, poi passato insieme ad Alfano a sostenere il governo Letta (2013-2014). Una delle pedine chiave è l’ex investigatore della squadra mobile di Palermo, Diego Di Simone, passato a fare il responsabile della security di Confindustria (!).
Vicini al “sistema Montante”, c’è il girodegli alti funzionari di polizia indagati per il depistaggio sulla strage del giudice Borsellino, partita proprio da Caltanissetta; la pista del finto pentito Scarantino fu gestita in primis da Arnaldo La Barbera, altro capo dei massacratori di Genova, che è morto prima di poter parlare, eventualmente. Non l’avrebbe mai fatto, comunque, possiamo starne certi. L’omertà di Stato è compatta, coerente, bipartisan. Aiutata dal giornalismo che si limita a registrare gli atti delle procure, o poco più. Pochi titoli, nessuna campagna stampa, tutto si dimentica rapidamente, nell’era dei “tweet” e dei “post”. E la linea di continuità sembra contaminare anche i nuovi: non certo i leghisti, che sono vecchi come Berlusconi; ma il M5S. Continuità sulle politiche di immigrazioni (Minniti docet); continuità nella fedeltà assoluta alla NATO; e continuità nel lasciare sole le vittime della trattativa Stato-mafia: “Il silenzio degli imputati di depistaggio  è peggiore dell’omertà dei mafiosi”, ha detto Fiammetta Borsellino. Ma lei e figli, parte civile nel processo di depistaggio, non hanno visto costituirsi né il ministro degli Interni, né quello di Giustizia. Sono in prima fila giusto per farsi inquadrare con il prigioniero Cesare Battisti. Marco Minniti è in buona compagnia.

Cesare Sangalli