Il Fatto del mese
CMC Ravenna, una cooperativa rossa (ma di vergogna)
“In questi anni, la retorica dello sviluppismo e delle grandi opere è servita solo a coprire gli affari di una borghesia mafiosa che, arricchendosi coi soldi pubblici, ha impoverito i calabresi rendendo questa terra invivibile”. Il giudizio, durissimo, è di Delio De Blasi, dirigente cosentino della CGIL, citato dal “manifesto” nell’articolo sullo scandalo che ha coinvolto il governatore PD della Calabria Mario Oliverio e l’ex consigliere Nicola Adamo, sempre del PD. La grande opera (inutile) in questo caso è la metropolitana di superficie Cosenza-Rende, per collegare la città capoluogo all’Università della Calabria. In tempi non sospetti (2014), il M5S locale aveva denunciato la totale sproporzione del progetto, che per coprire i costi di manutenzione avrebbe dovuto servire una popolazione di 300-400mila persone, quando Cosenza non arriva a 100mila. E puntualmente si era formato il comitato No Metro. Impossibile non pensare al discusso progetto del TAV: d’altra parte il paragone lo aveva già fatto “Il Sole 24 ore”. Stessa impostazione, stessa filosofia, stessi contrasti.
Ma il collegamento più interessante fra le due opere riguarda la ditta che si era aggiudicata l’appalto, assegnato, secondo i giudici inquirenti, in maniera truffaldina: la CMC di Ravenna.
“Follow the money”, suggerisce il giornalismo anglosassone. Seguite il filo implacabile dei soldi, che ci farà risalire l’Italia, da Cosenza alla Val di Susa passando per Vicenza, per poi scendere di nuovo al Sud, in Sicilia. Incrociando, oltre alle mafie a cui accenna De Blasi in apertura, perfino la NATO.
La Cooperativa Muratori e Cementisti nacque a Ravenna nel 1901. Da molto tempo è diventata azienda leader nel settore delle costruzioni, la quarta in Italia dopo Salini-Impregilo, Astaldi, Pizzarotti. E’ sempre stata considerata molto vicina al PD, una delle cosiddette “coop rosse”. Ma la definizione di “cooperativa” suona piuttosto riduttiva per una multinazionale che realizza grandi progetti in mezzo mondo (Asia, Africa, America latina); da ultimo, l’appalto per la nuova metropolitana di Singapore. In Italia sembra ormai inserita in un circuito molto poco virtuoso, quello delle grandi opere inutili, appunto, con l’aggiunta di capitali e ditte assai opache, e progetti a dir poco controversi (uno per tutti: il Ponte di Messina).
La CMC si è aggiudicata molti anni fa l’appalto per i 57 chilometri del famigerato tunnel di Chiomonte, punto nevralgico dello sciagurato progetto TAV.E’ facile capire perché il sostegno mediatico al TAV sia così massiccio: in un documento “No Tav” del 2013 sulle aziende coinvolte nella progettazione e costruzione, comparivano, oltre alla “cooperativa rossa”, l’Impregilo, che allora vedeva la presenza del gruppo Gavio, del gruppo Benetton, e dell’Immobiliare Lombarda di Ligresti; e la “Rocksoil” del ministro berlusconiano dei lavori pubblici Lunardi (ricordate?) Un ministro che ebbe la faccia tosta di dichiarare che non aveva un conflitto di interessi, perché l’azienda non era guidata da lui, ma dai figli; e disse pure che “con la mafia bisogna convivere”, anche se poi giurò di essere stato male interpretato. Lunardi in realtà si era espresso benissimo.
Lo si capisce dalle inchieste su un altro appalto “nordista” della CMC, quella per l’ampliamento della base militare americana Dal Molin di Vicenza, con l’immancabileopposizione del comitato creato ad hoc, il “No Dal Molin”. Nei lavori per costruire le caserme per le truppe americane di stanza in Veneto, saltarono fuori i subappalti (vero e proprio terreno fertile per le mafie) alla “Grika” di Giuseppe Grisi, che venne poi condannata per migliaia di abusi nelle condizioni dei suoi lavoratori, praticamente tutti al nero; ma soprattutto, dopo l’arresto di uno dei suo uomini, Francesco Frontera, emersero gli stretti legami della ditta con la cosca Grande Aracri di Crotone, dove due dei fratelli Grisi vennero uccisi in un conflitto a fuoco. Ecco che siamo tornati in Calabria, dove gran parte delle ditte di movimento terra dipendono direttamente dalla n’drangheta. Ma si arriva anche in Sicilia, state tranquilli: la cooperativa rossa era entrata nel business per il famoso Ponte dello Stretto, in compagnia dei grandi costruttori nazionali, secondo l’ovvia concezione spartitoria, che vede coinvolte costantemente, a livello politico, centrodestra e centrosinistra. Non solo: la CMC ha avuto l’appalto per la Agrigento-Caltanissetta, recentemente sbloccata dal ministro Toninelli in tandem col premier Conte; e poi l’appalto per la metropolitana di Catania, con il prolungamento successivo per il comune di Misterbianco, da cui recentemente è stata esclusa: l’offerta dell’azienda ravennate è stata giudicata anomala per “eccesso di ribasso”. E anche in Sicilia, come in Veneto, le ottime entrature della ditta romagnola con il settore militare USA hanno consentito la costruzione di abitazioni, hangar e un centro commerciale nella strategica base di Sigonella.
Ricapitolando. Le cosiddette Grandi Opere sono il settore dove si saldano politica e business privato. In un paese come l’Italia, che ha da anni i record negativi europei per consumo di suolo e uso di cemento, cioè in un paese essenzialmente saturo, ogni nuova aggiunta, ogni nuova costruzione, ogni nuovo progetto faraonico va guardato con sospetto. E’ il settore per eccellenza dove si dissolvono come per incanto le differenze politiche, che al massimo si riducono alla titolarità del business, se non si trova l’accordo (che si trova quasi sempre): a Cosenza il sindaco di Forza Italia infatti è l’interlocutore della giunta regionale PD.
Ora la parte del leone la rivendica la Lega, che ha imposto la sospensione dei codici di appalto al M5S, attirando le grida di Cantone. Il M5S appare l’unica forza politica in controtendenza, ma è sempre più debole, sempre più all’angolo, sempre più pronto al compromesso. Se cede sul TAV, vuol dire che il Sistema ha vinto, e che non èriformabile, nel medio periodo, per la complicità massiccia dell’apparato mediatico, e cioè, alla fine, per il grande consenso popolare (almeno quello di massa, non certo quello territoriale). La sindaca Virginia Raggi, per esempio, è già stata eroica a dire NO alle Olimpiadi di Roma, e NI allo stadio (che era solo lo specchietto per le allodole di una speculazione gigantesca); e non a caso è stata massacrata dai media dal primo giorno del suo mandato, a partire dal primo giornale di Roma, “Il Messaggero” dei Caltagirone, costruttori e speculatori fin dai tempi di Andreotti e Evangelisti.
E quando nell’ottobre 2012 i No Tav andarono a manifestare contro la CMC di Ravenna, non trovarono il sostegno politico nemmeno di chi era ufficialmente contrario all’Alta Velocità, cioè Rifondazione Comunista; e dovettero incassare perfino il giudizio negativo dell’ANPI (!), cioè l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, che definì “sbagliata, fuori luogo e offensiva” la manifestazione (fonte “Il Fatto quotidiano”).
Nei giorni scorsi abbiamo assistito allibiti ad una puntata di “Report” dell’ottimo Sigfrido Ranucci costruita come un mega spot pro TAV. Sul tema, evidentemente, non vale nemmeno la pregiudiziale antirazzista e antifascista nei confronti della Lega di Salvini: tutti insieme appassionatamente in piazza a Torino a favore dell’opera; posizione poi premiata (quella della Lega) nelle urne piemontesi. Quando il segretario PD Zingaretti, rinfrancato dal crollo M5S alle europee, ripropone il bipolarismo centrodestra-centrosinistra, con Salvini al posto di Berlusconi, vengono i brividi, ripensando al ventennio di accordi sottobanco e inciuci e malaffare che abbiamo appena passato (?).
Comunque, i conservatori, gli alfieri dello status quo, i gattopardi, possono stare tranquilli: in fin dei conti, a vegliare su di noi, ci sono ancora e sempre gli “amici” americani con le loro bombe atomiche e i loro “marines”, dalla Sicilia al Veneto.Cesare Sangalli