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Tutti al mare (aspettando la mossa del cavallo)
Dopo le ultime,surreali vicende parlamentari (la relazione di Conte sull’ “affaire” Salvini-Russia di fronte ad un Senato svuotato dal M5S, il suo via libera al TAV spiegato alla Camera col tripudio dei leghisti, l’approvazione del decreto sicurezza bis con 17 parlamentari grillini che escono per protesta), Mattarella ha rimandato tutti a settembre.
Meglio così, avevamo visto abbastanza. Anche se i social in vacanza non ci vanno mai (e ora è tornato a farsi sentire pure Renzi, poveri noi), e quindi ci toccherà il solito bombardamento di frasi celebri e battute folgoranti per un mese abbondante; può darsi perfino che un po’ di mare o montagna (meglio), qualche passeggiata, un po’ di aria pura e di ritorno in famiglia, portino consiglio alla nostra classe politica. Anche questo pezzo è da considerarsi “balneare”, mettiamo da parte le considerazioni più profonde degli articoli precedenti, in questo anno 2019 di poca grazia, e stiamo alla stretta attualità, cioè alle manovre intorno alla crisi (rimandata) del governo.
Mantenere lo status quo fin qui è stato conveniente solo per Salvini. Dove la ritrova, l’ex bimbominkia, una vetrina come il Viminale, che dà un’importanza governativa, istituzionale, a tutte le stronzate che dice, in attesa di attuare (Dio non voglia) le sue poche proposte, una peggio dell’altra (“Flat tax”, autonomia fiscale differenziata – cioè la secessione dei ricchi, lo abbiamo già scritto, rivendichiamo il “copyright”- , DDL Pillon sul divorzio)? Salvini è in una posizione ideale, se qualcosa non va la scarica su Conte o sul M5S, e per il resto continua la sua incessante propaganda, coltivando potere nelle retrovie, dove la luce dei riflettori non arriva, dove si spartiscono gli appalti dei cantieri “sbloccati”, dove ci si appresta a colare nuovo cemento per la gioia degli “animal spirits” padani, spesso in “joint venture” con le mafie (così si compra un altro po’ di consenso anche al Sud).
Il Movimento Cinque Stelle, con il dietro-front di Conte sul TAV, sembra arrivato al capolinea. Manca solo l’ufficializzazione dell’ingresso trionfale della famiglia Benetton in Alitalia, e poi uno si chiede che ci stanno a fare, visto che i provvedimenti-megafono (il reddito di cittadinanza, la legge “spazza-corrotti”, il “decreto dignità”), sono stati approvati da tempo, senza peraltro portare consenso. L’ultima “boutade” pre-elettorale (una legge sul mitico conflitto di interessi, promessa prima del voto europeo), un tema che poteva creare qualche imbarazzo a Salvini per l’evidente collusione con Berlusconi, è stato letteralmente sepolto, è sparito dall’agenda. Di Maio non tocca palla; Conte, poverino, fa quello che può, da trapezista. Il nulla, sono arrivati al nulla, dopo solo un anno: “non li abbiamo votati per avere un’altra Democrazia Cristiana”: il giudizio lapidario di un leader No Tav è perfetto.
Il fatto è che di Democrazia Cristiana (nel senso peggiore del termine, cioè del partito di Palazzo degli anni Ottanta) ce n’è un’altra, e si chiama PD. Loro nel nulla ci sguazzano abbastanza bene, ci sono abituati.
Senza spendere troppe parole (non le meritano), basta citare Renzi che ha la faccia tosta di rinfacciare ai suoi la mancata approvazione dello “ius soli”. Ecco, questo è l’unico passo avanti del PD a quasi tre anni dalla Waterloo del referendum, cioè dalla fine del “Bomba”: ora i democratici sostengono di voler approvare “senza se e senza ma” lo “ius soli”, annunciato da Bersani già nel 2010, cioè quasi un decennio fa.
Il resto è semplicemente tirare a campare dicendo che si vuole cambiare, continuando a ripetere cose astrattissime come “combattere le diseguaglianze”, “dare opportunità ai giovani”, operare “una riconversione ecologica dell’economia” (e in Europa non riescono nemmeno a vietare il glifosato della Bayer-Monsanto).
Il paradosso è che a questo punto, se non si considera il TAV, non si capisce cosa divida M5S e PD, uniti dalla loro pochezza, una pochezza vagamente “ottimista e di sinistra”, come la puttana della canzone di Lucio Dalla. Perfino i Renzi boys, i più acerrimi avversari del M5S (che ha la colpa imperdonabile di averli umiliati a suon di voti, prima al referendum sulla “schiforma”, poi alle elezioni), con qualche incarico ben distribuito, potrebbero tranquillamente accodarsi, in perfetto stile democristiano (cheresta il loro marchio di fabbrica, a parte l’arroganza cialtrona del Machiavelli di Rignano). Tanto di contenuti non ne hanno, di ideologia nemmeno, e pure su princìpi etici e valori morali non sembrano attrezzatissimi.
In realtà, in maniera quasi comica, frutto di una mossa banale accompagnata dal sorriso un po’ ebete di Zingaretti, ci potrebbe essere un’occasione clamorosaper una rivincita del M5S, umiliato oltre ogni limite dai leghisti: la mozione di sfiducia a Salvini presentata dal PD, senza molta convinzione, prima di andare al mare, appunto, sul tema degli opachi legami con la Russia.
Sarebbe la mossa del cavallo, una scena bellissima. Il Capitano, pallone gonfiato oltre ogni logica, oltre ogni capacità personale, sarebbe riportato al suo 17 per cento di parlamentari, che nella percezione generale e nella realtà è diventato il novanta (il M5S governa con lui, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono alleati in tutta Italia, il PD è d’accordo o quasi su un sacco di cose – TAV, appunto, Olimpiadi di Cortina e Milano, autonomia fiscale differenziata, gestione di Autostrade…).
Il Parlamento darebbe una lezione memorabile all’esecutivo, invece di essere la cassa di risonanza di decisioni prese in vertici di poche persone, al massimo il certificatore delle iniziative del governo, che continua imperterrito a partorire decreti, mentre tutte le proposte di legge importanti, di provenienza parlamentare o popolare, languono da anni (da quella sui beni comuni allo “ius soli”).
I leghisti, con la bava alla bocca, dovrebbero far dimettere tutti i ministri (uno peggio dell’altro, da Bussetti all’ex Fontana) e aprire la crisi. Si tornerebbe indietro di dodici mesi, ma con le opportune pressioni di Mattarella (non quelle assurde che esercitò nel 2018, fino all’incredibile incarico a Cottarelli, un mezzo golpe) potrebbe nascere un governo NON di destra, guidato magari da un elemento di garanzia come potrebbe essere un esterno tipo Fabrizio Barca, o un grillino “istituzionale” come Roberto Fico; o addirittura lo stesso Conte.
Salvini, da genio machiavellico passerebbe immediatamente a coglione del secolo (i media italiani sono spietati con gli sconfitti), e il suo lato rassicurante (e sprezzante con chi lo critica), con i suoi “lo dico da papà”, “bacioni”, “mi interessa meno di zero”, sparirebbe in un attimo. Andrebbe a berciare all’opposizione, quel gran fenomeno (da baraccone), accanto a Giorgia Meloni, ormai sbroccata per rubare un po’ di attenzione, e ai fantastici berlusconiani. E ci potrebbe restare fino al 2023, e allora hai voglia a sondaggi e atteggiamenti da Duce.
In Europa ci sarebbe la “ola”per l’Italia, potremmo perfino esprimere il “nostro” commissario nominando una persona valida, e contribuire a impostare il cambiamento di cui c’è un bisogno enorme, a Bruxelles .
Ma questo è solo il sogno di una notte di mezza estate. Appuntamento con la realtà dopo le ferie agostane, aspettando un 25 luglio (gli antifascisti capiranno) ritardato.Cesare Sangalli