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Un’estate indimenticabile
Il sogno di una notte di mezza estate si è realizzato. L’auspicio contenuto in “Tutti al mare”, quello di un 25 luglio ritardato per Salvini e la sua destra fascistoide, è diventato cronaca fra agosto e settembre. Per mantenere la metafora, è come se Mussolini si fosse arrestato da solo. Il nuovo CLN (si fa per dire), il Comitato di Liberazione Nazionale, ha preso il potere; il fascioleghismo/berlusconismo è all’opposizione. Un miracolo, né più, né meno.
I protagonisti della svolta, che ha realizzato in circa trenta giorni il governo atteso da anni (almeno dal 2013) sono noti, ma vogliamo ricordare quelli meno considerati di tutti: il gruppo parlamentare di Liberi e Uguali, a partire dai quattro senatori, guidati da Pietro Grasso e Loredana De Petris.
Grasso è il primo a reagire, dopo l’annuncio shock di Salvini dell’otto agosto: propone di uscire dall’aula, per far fallire la mozione di sfiducia, e costringere i leghisti a dimettersi. De Petris è protagonista della battaglia dei capigruppo che evita il blitz di Ferragosto, fortemente voluto da Salvini per prendere tutti in contropiede, e spudoratamente appoggiato da Elisabetta Alberti Casellati, presidente berlusconiana del Senato, probabilmente attratta dalle promesse leghiste (si dice addirittura la futura presidenza della Repubblica!): il 13 agosto sul tabellone di Palazzo Madama compare per la prima volta un’inedita maggioranza PD-M5S-LeU, che ottiene il rinvio del dibattito sulla mozione di sfiducia della Lega al 20 di agosto. E’ una mossa fondamentale: quella settimana consente a Conte di rendere la data indimenticabile (Salvini la ricorderà tutta la vita). La conferma viene da un dato incredibile: il discorso di Conte, con successivo dibattito, viene seguito in diretta TV da 14 milioni di italiani. E’ un’autentica catarsi. Dopo un quarto di secolo di rincoglionimento da spot berlusconiani, e dopo un decennio di spazzatura “social”, la vecchia democrazia parlamentare si prende una clamorosa rivincita, e i valori della Costituzione respingono l’ennesimo (l’ultimo?) assalto di stampo autoritario.
Non tutti si rendono conto dell’emergenza democratica, del tentativo eversivo di Salvini, per quanto spudorato. A livello di stampa, di sicuro “Il manifesto” (più di tutti) e “Il Fatto”. A livello politico, piaccia o non piaccia, è Beppe Grillo a suonare l’allarme (meglio tardi che mai), anche perché Liberi e Uguali è inesistente, come forza politica (purtroppo).
Quando si prospetta l’incubo di un potenziale regime fascistoide, sull’asse sovranista Lega-Fratelli d’Italia, con Berlusconi ruota di scorta, ecco la linea del Piave. Il governo PD-M5S-LeU era semplicemente una necessità. Né più, né meno. Tutto il resto è secondario (per ora). Il delirio di onnipotenza di Salvini ha offerto un’occasione unica, e l’occasione (quella sprecata malamente da Bersani nel 2013, e da Martina - succube di Renzi – nel 2018) è stata colta. Ora si tratta di fare di necessità virtù.
Le condizioni sono peggiori sia dell’anno scorso, sia di sei anni fa. Molto peggiori. Ma tant’è. Evidentemente si doveva arrivare a questo, per “svoltare”. Una grande responsabilità grava sulle spalle di Giuseppe Conte, che ormai è la vera guida del M5S, e di Nicola Zingaretti, che al di là di tutto rappresenta l’altra gamba della maggioranza (il tributo a Liberi e Uguali lo abbiamo fatto: ma la sinistra-sinistra deve ancora fare la sua traversata del deserto). Ci piace vedere in queste due figure, a nostro avviso emblematiche di un’intera generazione (i nati negli anni Sessanta), il simbolo di un riscatto. La loro “aurea mediocritas” (che è quella, appunto, della generazione dei cinquantenni, l’ultima veramente “analogica”), il loro passo lento, il loro eterno ritardo, alla fine hanno avuto la meglio sui fratelli minori, i quarantenni rampanti e “smart” come Matteo Salvini, Matteo Renzi, Giorgia Meloni e altri: non saranno loro a guidare l’Italia all’inizio degli anni Venti di questo XXI secolo.
Se l’aspetto generazionale è passato del tutto inosservato, c’è un’altra caratteristica che invece ha fatto drizzare le antenne ai giornali della destra: la trazione meridionale del nuovo governo, nettissima. E provvidenziale. Perché, lo abbiamo scritto più volte, è il Nord produttivo e ricco che politicamente ha elaborato il berlusconismo e il salvinismo (che ne è la deriva finale, estrema). E’ l’Italia peggiore, abituata invece a sentirsi all’avanguardia. Purtroppo è l’Italia che ha dominato il senso comune negli ultimi trent’anni. E’ l’Italia che in nome del successo (individuale, privato) ha via via smantellato l’idea di Stato sociale, di scuola e sanità pubblica, di diritti collettivi. E poi è andata oltre, minando l’idea stessa di solidarietà, irridendo l’umiltà nel nome dell’ostentazione, schifando la povertà, che può essere virtù evangelica, la più importante, la più dimenticata, la più difficile. E’ uno dei motivi, quello meno dichiarato ma fondamentale, dell’avversione quasi antropologica che molti avvertono nei confronti del M5S. La loro affermazione è la dimostrazione palese che i famosi “costi della politica” erano diventati un furto del bene pubblico. Il pauperismo del M5S ha già comportato una lenta ma costante moralizzazione di un ceto politico arrivato a livelli indecenti nell’ultima legislatura della Seconda Repubblica (2008-2013), conclusa fra le orge di Arcore e i gozzovigli targati AN, cioè fra “escort” e cocaina. A quanto pare ce ne siamo già dimenticati, e forse è pure buon segno. Anche se oggi si registra una nuova tolleranza, una nuova pericolosissima abitudine: l’abitudine al razzismo, alla cattiveria, al disprezzo ormai senza freni verso gli ultimi (i migranti). Non a caso questo governo giallorosso è stato definito di “disintossicazione”. Non serve fare l’analisi dei nomi, che in gran parte sono sconosciuti (e quelli conosciuti sono inevitabilmente deludenti, con poche eccezioni). Serve guardare in prospettiva, ad un lento processo di cambiamento che si è avviato.
Il lavoro da fare è enorme, e riguarda tutti noi. Ma per capire l’importanza storica del passaggio, basta voltarsi un attimo indietro, ripensare a dove eravamo all’inizio del decennio, o peggio ancora, nel 2009, quando l’unico vero argine a Berlusconi era Veronica Lario, e ci toccò esultare all’annuncio del divorzio perché apriva una crepa in un consenso massiccio, col PDL che viaggiava oltre il 40 per cento da solo, e abbondantemente oltre il 50 con la Lega e gli altri alleati; con il PD doppiato, la sinistra fuori dal Parlamento, il M5S quasi inesistente.Dieci anni possono essere pochissimi, in politica; in Italia (e non solo) ne abbiamo sprecati molti di più, purtroppo. Ma sono sufficienti per constatare che oggi, per la prima volta nel nuovo secolo, l’Italia può guardare al futuro con un sorriso di speranza. E’ stata un’estate indimenticabile.Cesare Sangalli