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Salvate il soldato Mastella
Il sogno di una notte di mezza estate è già finito. Troppo bello per essere vero, anche se il V-Day di Beppe Grillo aveva per un paio di settimane scardinato il bunker del sistema. “Annozero” ha provato ad allargare la falla con la puntata dedicata alla Calabria e al caso De Magistris, toccando vette di coraggio civile quasi dimenticate, dopo il plumbeo quinquennio del governo Berlusconi. La classe politica si era trovata sotto schiaffo, cioè nell’unica posizione in cui si può pensare che faccia qualcosa. Poi però sono arrivati il referendum dei lavoratori sul Welfare e le primarie del Partito Democratico, e molti hanno scambiato la voglia di partecipazione della gente e la lucida disperazione dei lavoratori (che saggiamente hanno deciso: “meglio poco che niente”) per un assegno in bianco.
Così, i nostri improbabili leader e la loro corte di giornalisti al seguito (mai così numerosa, è bene ribadirlo) si sono immediatamente rituffati nel gioco di società preferito, cioè il totoscommesse sulla tenuta del governo Prodi. Nella palude partitocratrica degli sgambetti, dei ricatti, delle minacce, dei sottili distinguo, delle trame di Palazzo, la stragrande maggioranza dei nostri rappresentanti sguazza allegramente. E’, semplicemente, il loro habitat naturale. Ormai è più una questione antropologica che politica. La mediazione permanente, meglio se sottobanco, è diventata la ragion d’essere della politica italiana, a Roma come a Roccacannuccia.
Prima ancora dell’onestà, le vittime della politica all’italiana sono la chiarezza e la semplicità. Ora, se governare una società, soprattutto in un paese come il nostro, è sicuramente un compito complesso, bisogna comunque capire che buona parte di questa complessità, che può diventare mostruosa, è opera della nostra classe dirigente, ed è funzionale alla sua sopravvivenza. I famosi “costi della politica” sono esorbitanti perché il sistema ha fin qui funzionato allargando a dismisura le sue maglie, includendo in qualche modo un numero sempre più alto di persone, e alimentando gli appetiti di tutti i beneficiati del sistema, di nuova o antica provenienza. Una mala pianta che cresce, cresce, cresce, e il cui ossigeno si chiama inerzia. E’ un sistema elementare di perversione, che rasenta quasi la perfezione. Pensateci un attimo: se per prendere una decisione qualsiasi servono un numero imprecisato di incontri, con un numero imprecisato di soggetti coinvolti, con competenze che si accavallano e si elidono a vicenda, ecco la quadratura del cerchio: tutti godono di privilegi grandi e piccoli, di una posizione di rendita sicura, ma nessuno è responsabile di niente, perché è il sistema che non funziona, e ovviamente bisogna riformarlo (dovrebbero chiudersi da soli il rubinetto, che suona improbabile).
Gli esempi sono numerosi come le stelle del cielo, ma il più emblematico è probabilmente quello delle authority, scatole vuote perfette per pagare altri (e alti) stipendi e per scaricare responsabilità. La prima funzione, il controllo, è tranquillamente dimenticata: i cittadini devono aspettare “Report” per sapere cosa si combina alle loro spalle (l’ultima inchiesta sui cosiddetti “derivati” finanziari e sull’indebitamento delle pubbliche amministrazioni era terrificante; sembra che dopo la trasmissione, qualcuno si sia mosso: grazie a Milena Gabbanelli e ai suoi fantastici giornalisti). I membri delle authority, se incalzati, risponderanno sempre che non hanno i poteri sufficienti per intervenire, senza che nessuno mai chieda loro: “E allora che ci state a fare?”. Nella vita di tutti i giorni, se una cosa non serve, si butta. Nella politica italiana non si butta via niente, ma proprio niente: ci si tiene il vecchio, anche se fa schifo, e si assorbe il nuovo, rendendolo vecchio il prima possibile (operazione che riesce quasi sempre con quasi tutti).
E qui veniamo a Mastella. Che più che un uomo, è una metafora. E’ il simbolo vivente di quanto detto sopra.
Lui giustamente strilla: “Mica ci sono solo io”. E’ vero. Intanto c’è anche la moglie, Sandra Lonardi, un’altra miracolata dalla mostruosità della politica italiana. Il sistema dalla perversione perfetta ha reso imprescindibile Clemente Mastella. La dimostrazione plateale di ciò è stato lo struscio della classe dirigente italiana prima al matrimonio del figlio, poi all’improbabile festa dell’Udeur, un partito che sembra una barzelletta (provate a spiegarlo ad un norvegese). Roberto Benigni poteva esimersi, e invece no, c’è andato pure lui (anche se fa più male vedere Edoardo Bennato suonare alla festa privata per il compleanno di Montezemolo). Uno spettacolo deprimente, ovviamente amplificato dai tanti giornalisti maggiordomi che affollano la professione.
Quando un bravo magistrato come De Magistris, partendo dal basso dell’oscura provincia italiana, risale nelle indagini fino a coinvolgere la classe politica (di destra e di sinistra) e quindi il mitico ministro della Giustizia, ovviamente gli si toglie l’inchiesta, visto che non erano riusciti a trasferirlo. Il sistema non si tocca, altro che storie. Non sarebbe dispiaciuto sentire una parolina al riguardo del neo-leader Veltroni, grande speranza democristiana (pardon, democratica), ma è pretendere troppo. La questione è spinosa, di quelle che suggeriscono un cauto riserbo, “dato il ruolo svolto in una fase così delicata…”. E poi a Roma c’era la festa del cinema, che è sicuramente più importante delle sorti di un incauto magistrato in Calabria.
Cesare Sangalli