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Un giudizio universale
 (la politica ai tempi del Covid 19)


Dopo la pandemia, niente sarà come prima. Dopo la pandemia, tutto resterà come prima. Dopo la pandemia, sarà tutto peggio di prima.
Se siamo sicuri che nessuno può predire il futuro, siamo altrettanto sicuri (o almeno abbiamo la forte sensazione) che questo periodo di grande crisi porti a galla il meglio e il peggio di tutti e di ciascuno. Il Covid 19, una gigantesca cartina di tornasole.
Tutti i nodi stanno venendo al pettine. Anche senza tirare fuori l’abusatissima e sbagliatissima metafora della guerra, si capisce che questi tempi danno una misura più esatta del valore: delle cose, delle situazioni, delle persone, delle idee, delle forze politiche, della società, di tutto quanto.
Partiamo proprio dalla guerra. Quella della lotta al virus come “guerra” è davvero la narrazionepiù oscena , per quanto comprensibile e usata da tanti in buona fede. E’ sul tema della guerra, infatti, che l’Europa si è sputtanata, una, due, tre, N volte.
Gli accordi di Maastricht, che tanti vedono come la madre di tutti i problemi, o addirittura come diabolico complotto germanocentrico per affossare l’Italia, nascono proprio mentre infuriava la guerra in Jugoslavia. C’è ancora qualcuno che vorrebbe addossaretutte le colpe di quella guerra di mafie (scambiata per guerra etnica), ad un altro complotto tedesco (o americano, con lo zampino del Vaticano), sempre tutto dietro le quinte, quando era tutto davanti a noi: era semplicemente la faccia omicida del libero mercato, assolutamente incapace di difendere il minimo principio, perché di veri principi non ne ha mai avuti (infatti nella tragedia jugoslava tutti ci hanno inzuppato il biscotto, fin da subito e fino alla fine).
La controprova dell’assoluta mancanza di valori rispetto al business avvenne per un’altra guerra, nel 2003 (stendendo un velo pietoso sul vergognoso intervento NATO in Afghanistan nel 2001): un’Europa in ordine sparso si accomodava dietro agli Stati Uniti per bombardare e occupare l’Iraq, e perprendere il suo petrolio, come succede ancora oggi, nella somma indifferenza di tutti. E poi i mille conflitti nel mondo, che l’Europa mantiene vivi con una mostruosa produzione ed esportazione di armi, da ultimo il dramma dello Yemen bombardato dall’Arabia Saudita.
Interessi, interessi, solo interessi: se i mille conflitti, o situazioni estreme di povertà, tutte nate da una scandalosa ripartizione delle risorse, provocano le migrazioni, l’Unione Europea è compatta solo nel chiudere le frontiere (perché, si sa, gli immigrati irregolari si sfruttano meglio);o nel pagare i regimi autoritari perché si tengano i profughi. Non si voglionoscucire nemmeno quei pochi soldi sufficientia salvare la gente in mare e fare un’accoglienza decente (basta confrontare i numeri con i paesi che accolgono il grosso dei profughi per vergognarsi).
Interessi, interessi, solo interessi. I soldi sono tutto, solleticare l’egoismo (individuale, di categoria, del proprio paese) è l’unico modo di ottenere voti.
“Ci illudevamo di vivere da sani in un mondo malato”: l’espressione di papa Francesco si può scolpire nella pietra. Unico leader con una visione del mondo, guida spirituale di un miliardo e mezzo di credenti, il papa in teoria non dovrebbe entrare così direttamente nel campo politico. Peccato che i governanti del pianeta non abbiano niente da dire, su questo mondo.
Il virus mette in ginocchio tutta la Terra, ma si accanisce di più sui paesi ricchi (e in questo caso sembra proprio di intravvedere una metafora biblica, una specie di contrappasso epocale), a partire da quelli europei. Ecco la cartina di tornasole, impietosa.Per il momento, dei leader europei non se ne salva uno, forse il solo Giuseppe Conte, che si sta ergendo a statista per il totale “default” degli altri.
E se veniamo all’Italia, peggio che andar di notte, a parte la stupefacente disciplina di un popolo tradizionalmente anarcoide; e a parte l’impegno del governo, pur con tutte le sue (grandi) pecche.
Non si salva di sicurola Confindustria, interessata soloa continuare a fatturare; non si salvano le élites e i media e le forze politiche che vanno nella stessa direzione, quelladel primato del profitto sulla salute. Ovviamente, tutti lo fanno per “l’interesse nazionale”, per “salvare l’economia”, per “salvare l’occupazione”. Anzi, è tutta una gara di generosità fra gli uomini più ricchi d’Italia e della Terra, su tutti Mark Zuckerberg che ha offerto un miliardo di euro o dollari, o quello che è, tanto poi difficilmente si capirà se era dono o investimento pubblicitario (la seconda che hai detto).
Che narrazione oscena, quella capitalista. Quanto dovrebbe cominciare a fare schifo la ricchezza. Partendo da quell’uno per cento che controlla il mondo in culo al restante 99 giù giù fino a ognuno di noi, che abbiamo contribuito a crearlo, quell’uno per cento, anche soltanto ammirando quegli straordinari, geniali imprenditori, quelli che poi ti insegnano a vivere, ti fanno anche la morale, alla Steve Jobs.
Lo sguardo fisso lì, verso l’alto,  non certo al cielo, ma verso la crescita potenzialmente illimitata. E’ così perfettamente logico aspirare ad un maggior fatturato, ad un avanzamento di carriera, ad una casa più grande, ad una macchina più bella, ad uno smartphone più figo, ad un vestito più “fashion”. E’ così “umano”, il capitalismo. Così “naturale”, ci viene spontaneo, è dentro ognuno di noi. E d’altra parte, perché altrimenti uno dovrebbe lavorare così tanto, impegnarsi così tanto, “farsi il culo” così tanto?
Il totem della ricchezza, maledetta da Cristo ma in realtà adorata dagli uomini, aveva bisogno di un tabù, e il tabù è indubbiamente il lavoro. E’ talmente un tabù che nessuno si azzarda a toccarlo. Nessuno si azzarda a dire che destra e sinistra si confondono sul tema del lavoro; da intendere soprattutto come impiego di tempo, di tanto tempo. Pochi, pochissimi (ci provò anni fa Michele Serra) hanno detto che lavorare dieci, dodici ore al giorno, o più ancora, è roba non degna degli esseri umani, oltretutto sei o sette giorni su sette. Perché se sei costretto a farlo, per campare te stesso o la tua famiglia, vuol dire che sei sfruttato selvaggiamente, sei un oppresso, anche se ti sfrutti da solo. E se invece lo fai per mantenere un certo tenore di vita, sei o rischi di essere un oppressore. Perché odierai tutto ciò che ti fa perdere tempo, vivrai gli altri come un impaccio, a meno che incontrarlinon sia finalizzato al lavoro, cioè al guadagno. Ma soprattutto, perché ti sentirai perfettamente giustificato nel tuo egoismo, nella tua ricchezza. Perché dopo tanto sacrificiovorrai, anzi pretenderai, “il meglio”, e il meglio significa spendere, comprare, consumare.
La fede religiosa, l’impegno politico o sociale, il rapimento artistico, la cultura, la riflessione, la socialità con parenti e amici, e perfino l’eros, che solo può nascere dalla dedizione all’altra persona ( e non dal consumo sessuale): passa tutto in secondo piano, sempre. E quindi chiese vuote, partiti vuoti, zero ospiti nelle nostre case, nelle nostre famiglie di massimo tre persone (quando va bene),  zero condivisione, affettività spenta, routine, appiattimento, conformismo. Fino a non riconoscere più la vita. Fino a essere indifferenti e infastiditi e schifati dagli ultimi, dagli esclusi, dai falliti, dai deboli, dai poveri. Dagli anziani, dai bambini, dai disabili, dai malati. Separati dagli altri, protetti dalla contaminazione umana, in case blindate, quartieri appartati, vacanze esclusive, scuole e cure private, privatissime (e costose, costosissime).
Oppure, all’opposto, storditi nella massa informe, nel gregge conformista, allo stadio, in discoteca, allo shopping center, nel locale affollato, immersi nel frastuono. Fino a restare ammutoliti davanti ad una Greta che ti dice, in tutta la forza semplice della verità: “Come avete fatto a lasciarci un mondo così”?O fino a sputare sulle libertà, sui diritti politici che sono costati tante lacrime, sudore e sangue, pronti a seguire gli uomini forti, i maschi alfa che chiedono “pieni poteri”, parlano di “difendere la razza bianca” (è Attilio Fontana, quella vergogna di governatore, non pensate tanto lontano), portano le bambole gonfiabili sul palco o dicono di “afferrare le donne per la fica”, chiamano “scimmia” una donna africana e “anormali” i gay.
Forse fra un po’ di mesi verrà fuori che questo maledetto virus non era poi così terrificante. Ma benedetta sia la quarantena che il mondo si è imposto, se serve a capire come eravamo ridotti. Per il livello espresso dai politici europei, o meglio, a giudicare dai silenzi assordanti di leader e intellettuali, forse servirebbero altri sei mesi.
Ma il sentimento di solidarietà e di “vicinanza” che si è instaurato fra la gente comune sembra essere autentico, e fin qui sembra prevalere sulle pulsioni negative. Tutti i luoghi comuni sono stati ribaltati, fra Nord e Sud, per esempio; o sui cinesi, e sugli africani che “portano le malattie”.
Una potenza come gli Stati Uniti, simbolo del capitalismo. ha mostrato tutta l’ottusità e l’arroganza di un gigante dai piedi di argilla (perfettamente rappresentato da Trump), una potenza che ha riempito il mondo di bombe atomiche, ma non riesce a curare i suoi cittadini, una corazzata tecnologica che produce droni letali ma non respiratori. Oppure il Regno Unito, che vuole fare a meno dell’Europa, e non riesce nemmeno a gestire se stesso. O la stessa Europa, messa brutalmente di fronte allo specchio della sua meschinità, della sua grettezza (soprattutto di stampo tedesco e nordico), del suo vuoto pneumatico di valori, di principi.
“Pensavamo di poter vivere da sani in un mondo malato”. Se non ci convertiamo ora, dopo sarà probabilmente troppo tardi.

 Cesare Sangalli

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