Femminile Plurale
Politica del desiderio oltre la pandemia
In questo periodo in cui siamo confinati nelle nostre case, in cui ci viene raccomandato di non uscire, di monitorare i nostri movimenti e i nostri incontri, in cui è vietato toccarsi e avvicinarsi, il concetto di desiderio è quanto mai lontano dai nostri orizzonti. Il lessico che viene utilizzato per descrivere questa pandemia e la strategia per contrastarla è spesso quello della guerra, un uso già da molti criticato (vedi articolo di Daniele Cassandro su Internazionale).Le parole d’ordine sono sacrificio, contenimento, isolamento e le prospettive future sono di tempi difficili, di crisi economica di larga scala, di aumento della precarietà (di cui nel nostro paese non si sentiva certo il bisogno), tutte cose che portano verso un’autocensura del desiderio.
Eppure è in questi spazi ristretti fisici e mentali che ciò che ci può muovere oltre la costrizione, oltre il dolore e il senso di impotenza è proprio la forza del desiderio, la capacità di immaginare un mondo diverso a partire dal rapporto col proprio corpo e dalla relazione con l’altro/a. Veronica Pecile ha parlato della necessità del potere erotico per vedere oltre la quarantena (https://www.che-fare.com/pandemia-erotico-malattia/).Ci siamo interrogate su questo tema nell’ambito del gruppo della biblioteca femminista di Firenze (ex libreria delle donne). E’ da quelle riflessioni che prende spunto queste articolo, nel confronto tra donne come nella migliore tradizione femminista.
Scriveva nel 1978 Audre Lorde, la grande poetessa, scrittrice e attivista afroamericana: “Siamo state abituate a temere il sì dentro di noi, i nostri desideri più profondi” ma “riconoscere il potere dell’erotico all’interno delle nostre vite può darci l’energia per intraprendere il cambiamento autentico dentro di noi […]”. Lorde considera l’erotico alla stregua della forza vitale e non lo confina alla sfera della sessualità e men che meno lo compara al pornografico di cui l’erotico sarebbe l’esatto contrario. (“la pornografia è la negazione diretta del potere dell’erotico perché rappresenta la soppressione del sentire autentico.”)
Lorde intende l’erotico come “una risorsa che si trova dentro di noi, su un piano profondamente femminile e spirituale”, una risorsa di cui le donne sono state però indotte a sospettare, arrivando a sopprimerlo per essere accettate nell’ambito del sistema patriarcale. E’ invece da questa “pienezza del sentire profondo” che dovremmo ripartire oltre le costrizioni di questo momento.
In questo periodo stanno proliferando le riflessioni sulla necessità di un cambio radicale del pensiero e dell’organizzazione economica per ristabilire quell’equilibrio compromesso tra esseri umani e ambiente che, secondo la lettura di una parte di scienziati e ricercatori, ha facilitato l’espandersi del virus. La riflessione femminista sulla costruzione di un’alternativa al sistema capitalista in senso ecologista appare quindi quanto mai pertinente.
Vandana Shiva, ricercatrice, ambientalista e attivista ecofemminista indiana afferma che il proliferare di una serie di epidemie recenti (Covid 19, Sars, Ebola, Marburg) non cesserà se non fermiamo l’assalto alla natura, all’ecosistema, alla biodiversità, se non abbandoniamo un concetto di sistema economico fondato sull’idea di crescita illimitata. Come Vandana Shiva, una serie di scienziati, accademici e organizzazioni collegano il proliferare dei virus ad un modello di sviluppo in base al quale le aziende perseguono il profitto attraverso l'allevamento, il disboscamento e l'estrazione mineraria. Secondo questa lettura il seme della maggior parte delle nuove malattie infettive risiede nella rapida espansione del settore estrattivo - principalmente il disboscamento, la monocoltura industriale e la produzione zootecnica, e più recentemente il settore minerario –che porta ad un'invasione violenta del territorio, delle foreste e della natura.La logica di ridurre la natura e i suoi esseri a beni da sfruttare per il profitto è quindi la stessa logica che sta causando la crisi climatica globale.
L’invito di Vandana Shiva è innanzitutto quello di cambiare il paradigma economico dominante in favore di uno fondato sull’idea delle economie viventi (“living economies”) che comprende l’idea di iniziare a coltivare il proprio cibo in quanto non possiamo fare affidamento sulle attuali catene alimentari. Shiva è convinta che non sia un nemico invisibile quello che ci sta uccidendo, bensì un sistema economico basato sull’avidità e sull’idea che gli esseri umani siamo separati dalla terra. Il suo è quindi un appello accorato a recuperare il senso di unità che si fonda sull’appartenenza alla terra.
Le idee alla base dell’ecofemminismo nelle sue varie forme hanno dato vita ad una varietà di esperienze associative e di attivismo volte a riprendere il controllo sulle fonti principali del sostentamento e della riproduzione. Ad esempio l’organizzazione WoMin (African WomenUnite againstDestructiveResource Extraction) si batte contro un modello di sviluppo caratterizzato dall'estrazione e dallo sfruttamento su larga scala di risorse naturali come il petrolio, l'acqua, i minerali e le foreste, attorno al quale si organizzano l'economia, le relazioni sociali di classe e di genere, la politica statale e il discorso pubblico.
WoMin collega l’analisi ecologista a quella sociale, di classe e di genere facendo riferimento a quello che definisce“capitalismo patriarcale estrattivista”. Questo sistema sfrutta la manodopera a basso costo degli uomini della classe operaia nera nelle miniere e nelle piantagioni e si basa sul lavoro non retribuito delle donne che forniscono acqua e cibo e svolgono i lavori di cura. Tale sistema trae profitto dall'espropriazione dei contadini e delle classi lavoratrici di terra, acqua, foreste, pesca e minerali e si basa sulla natura come input gratuito o a basso costo per la produzione e come "lavandino" per i costi ambientali esterni della produzione.
Chiaramente la prospettiva ecofemminista non è di facile realizzazione e può correre il rischio di perseguire un’idea romantica di un’epoca pre-moderna che non esiste più o di cadere in una visione essenzialista che associa in maniera acritica donna e natura. Esistono diverse teorie e pratiche ecofemministe, tuttavia il punto di questo articolo non è quello di prenderle in esame quanto quello di presentarle come un esempio di “politica del desiderio”, di capacità di immaginare un mondo con valori diversi prima ancora di impegnarsi in azioni concrete per realizzarlo.
Silvia Federici, ricercatrice universitaria e autrice tra le altre opere di “Re-incantare il mondo. Femminismo e politica dei commons” parla dell’importanza di riprendere nelle proprie mani la capacità decisionale rispetto ad una serie di decisioni fondamentali relative alla riproduzione quotidiana. Federici illustra come una serie di esperienze presenti soprattutto in Africa e America Latina vadano nella direzione di una riappropriazione dei commons, modi comunitari di organizzare la vita e la sopravvivenza in quanto l’espropriazione che si verifica nell’ambito del sistema capitalista neo-liberale non è solo quella della terra ma anche dello stesso potere decisionale rispetto alle decisioni basilari delle nostre vite. Paradossalmente è in contesti più deprivati dei paesi del Sud del mondo che un’alternativa comunitaria al neo-liberalismo si manifesta con maggiore forza e creatività, spesso ad opera di gruppi di donne. Nei nostri contesti occidentali maggiormente strutturati e organizzati, se da un lato godiamo indubbiamente dei vantaggi di un welfare state che con tutti i suoi limiti è ancora presente, dall’altro siamo compressi nelle nostre capacità di immaginare un futuro diverso, di ripensare l’organizzazione stessa del tessuto sociale anche in relazione con la terra. In molti paesi del Sud del mondo esistono gruppi indigeni che hanno mantenuto una relazione profonda con la terra, considerata come madre e fonte di sostentamento oppure esiste una memoria di un tempo in cui le risorse venivano gestite in maniera più comunitaria. Nei nostri paesi questa memoria è più lontana e frammentata.
Sostiene Naomi Klein citando Milton Friedman “Solo una crisi – reale o percepita – produce un cambiamento reale. Quando scoppia la crisi le decisioni che vengono prese dipendono dalle idee che sono in circolazione”. Per quanto Friedman sia stato il campione del liberalismo, Klein sottolinea come in questo avesse ragione: sono le idee prevalenti nei periodi di crisi a determinare il corso della storia, in senso progressista o conservatore, ecologista o nella direzione di un capitalismo neo-liberale. Milton continua dicendo che la nostra funzione è quella di “sviluppare alternative alle politiche esistenti, di mantenerle in vita e disponibili fino a quando il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”. Questa è la sfida con la quale siamo confrontati in questo periodo, ma affinché le idee che prevarranno possano essere quelle di un reale ripensamento dei nostri modelli di sviluppo, dobbiamo ripartire dal desiderio profondo, dall’ascolto di sé, dall’accoglienza dei nostri corpi splendidi e vulnerabili, dalla riscoperta della nostra interdipendenza come base per la sopravvivenza.
Prima ancora di iniziare a pensare ad un’alternativa al sistema capitalistico, a recuperare i saperi che questo ha distrutto, ad iniziare a coltivare il nostro cibo, dovremmo ripartire dal potere del desiderio e dell’erotico, da quello slancio vitale che ci porta a ricercare il senso profondo del nostro agire, per ri-appropriarci - citando ancora Audre Lorde - di “quell’energia creativa ricca di potere, di cui oggi rivendichiamo la conoscenza e l’uso nel nostro linguaggio, nella nostra vita, nel nostro danzare, nel nostro amarci, nel nostro lavoro e nelle nostre vite”.
Erika Bernacchi