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Una scuola d’oro Zecchino (il furto della Pubblica Istruzione)


Un merito, il blockdown imposto dal virus ce l’ha avuto: si è tornato a parlare di temi rimasti indietro nell’agenda politica, e uno di questi è sicuramente la scuola, grazie anche alle performances della ministra Lucia Azzolina; mentre è incredibile l’assenza del ministro per l’università, Gaetano Manfredi, un fantasma, il più anonimo della compagine governativa, viene da chiedere a Federica Sciarelli di “Chi l’ha visto?”.
La scuola, questa sconosciuta. Siamo arrivati al punto che un po’ di politici e di giornalisti (due categorie che vanno sempre a braccetto, e quasi sempre si meritano a vicenda, in Italia) hanno cominciato ad usare il termine “educazione” invece di “istruzione”. Sfidando il senso del ridicolo (lo fanno in continuazione), hanno scimmiottato il termine inglese “education”, che significa, appunto, “formazione scolastica”, “istruzione”. Dovrebbero avere il coraggio di dirlo in inglese, sarebbe uno splendido contrappasso per tutte le cazzate anglofile con cui ci hanno ingozzato per anni: tipo “stanziati due miliardi per l’education”, fino al “ministro per l’education”. Sarebbe il corrispondente perfetto, il ministro dell’education, per il liceo “Marilyn Monroe” del film “Bianca” di Nanni Moretti, lo stesso che,in “Palombella rossa”, si rifiutava di dire “trend negativo”, perché “le parole sono importanti, chi parla male pensa male”.
Il ministero dell’education. Una volta c’era il ministero dell’Istruzione. Della Pubblica Istruzione. Si era chiamato così fin dai tempi di Cavour. Poi il nome cambiò con Mussolini, significativamente, e si chiamò “Ministero dell’Educazione Nazionale”.
Ci volle il risorgimento antifascista, e la Costituzione, per ritornare alla “Pubblica Istruzione”.  Il pubblico e il privato. La scuola pubblica e la scuola privata. Ovvero uno dei primi dettami immediatamente violati della nostra Carta. Il primo è stato: “E’ vietata la ricostituzione del partito fascista”: e invece si accettò, da subito, il Movimento Sociale Italiano, espressione diretta ed esplicita dei fascisti sconfitti. Un errore imperdonabile, un compromesso che non abbiamo mai smesso di pagare.
La seconda violazione era quella della scuola privata “senza oneri per lo Stato”. In perfetto stile cattolico, un principio violato alla chetichella, per poi farne il subdolo principio strisciante di ogni riforma, almeno da Berlinguer in poi. E’ stato il tradimento più grande e più grave della sinistra.Un tradimento attuato però col plauso o il silenzio assenso del popolo sovrano, va detto e ribadito (non si liscia il pelo alla massa, se lo fannoè per prenderla meglio in giro). Maledetto libero mercato. Maledetta lingua inglese del businesse del marketing. Maledetto spirito imprenditoriale, maledetto Nord “alla Moratti”, un Nord che poi importa da 40 anni gli insegnanti “terroni”. Maledetta pseudo sinistra venduta.
Non c’è quasi riforma in senso liberal-liberista che non sia stata introdotta dal centro-sinistra (e peggiorata dal centrodestra). Per la scuola e l’università, il Gatto e la Volpe sono stati, sotto l’egida di Prodi, ma soprattutto di D’Alema, i due ministri della Pubblica Istruzione, Giovanni Berlinguer e Ortensio Zecchino. Un (post) comunista e un (post) democristiano, come nelle barzellette. Impegnati a dare una verniciata “riformista” alla tristissima realtà di uno Stato indebitato dalle ruberie di un’intera classe dirigente e delle loro masse di “clientes”, uno Stato che rinuncia a finanziare la scuola, a potenziare cioè  il più grande strumento di emancipazione, integrazione, riscatto sociale (in una parola: di libertà e uguaglianza) della Repubblica Italiana.
D’altra parte, è proprio il governo D’Alema a violare, per la prima volta, l’art.11 della Costituzione, cioè lo spirito profondamente e autenticamente pacifista dei padri costituenti (bombardamenti NATO sulla Jugoslavia, 1999);e sceglie decisamente l’opzione militare per l’Italia, sia dal punto di vista politicosia da quello finanziario: per D’Alema, omaggiato da tutto l’establishment “occidentale”, è il solo orientamento degno di un paese “serio” (aggettivo dalemiano per eccellenza).
L’Italia dell’ottusa fedeltà atlantica è tutt’uno con un settore in divisa privilegiato, e  con una fiorente industria delle armi, che agisce in splendido tandem (qualcuno direbbe “joint venture”) con l’Ente Nazionale Idrocarburi: il tricolore sventola sul petrolio rubato agli africani prima e agli iracheni poi. L’abolizione della leva, di per sé cosa buona e giusta, non precede l’introduzione un servizio civile obbligatorio (che pure era nel programma dell’Ulivo), istituito per maschi e femmine al termine di un’istruzione obbligatoria fino a 18 anni, e magari condizione di accesso ad un reddito di cittadinanza universale: l’idea stessa di una “pedagogia di Stato”, cioè uno Stato che trasmette ai cittadini i valori della Costituzione, viene definitivamente abbandonata, anche nell’altro strumento fondamentale per “creare gli italiani”: la TV pubblica, la RAI: non abbiamo il diritto morale di guardare le fiction sul maestro Manzi o su don Milani, quando da trent’anni abbiamo lasciato l’educazione in mano a Maria De Filippi, e prima ancora al di lei marito,il piduista Maurizio Costanzo. Maledetti massoni. Maledetto Berlusconi. Maledetto Craxi, ché ancora non abbiamo capito l’enorme portata del danno che ha fatto, altro che riabilitazione.
Ma nella scuola il capolavoro viene completato da due zombie, spariti in un attimo dal panorama politico nazionale, i ministri Berlinguer e Zecchino, quest’ultimo meno conosciuto, anche se è lui che ha introdotto il numero chiuso nelle università, con provvedimento ovviamente transitorio e parziale, cioè all’italiana (1999).
Prima della furbata di Zecchino, Luigi Berlinguer aveva già inoculato il veleno liberista nella scuola pubblica italiana con la sua riforma; riforma che faceva degli atenei, e delle scuole, in nome dell’autonomia, isole separate e in concorrenza fra loro; istituti guidati nel “mercato dell’istruzione” dai presidi – manager, i “dirigenti scolastici”, che devono orientare l’ “offerta formativa”: ecco, qui già ci vorrebbe unceffone, alla Nanni Moretti appunto, a chi ha coniato la parola. I mercanti del Tempio. Quelli che misurano la cultura con i test, e magari domani vorrebbero dare i voti con gli algoritmi. Perché, si sa, solo la libera concorrenza dà buoni frutti; è attraverso la “competizione” e la “meritocrazia” che si migliora. Tutti contro tutti, e vinca il più forte; l’importante, si dice,  è che vengano garantite “pari opportunità” in partenza (quando poi i finanziamenti, sempre più scarsi,  andranno in quote maggiori alle scuole più benestanti, nelle città più ricche). Attenzione: questo sistema iniquo, basato sulla “bravura” degli istituti ad accaparrarsi i fondi, è stato recentemente difeso dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che ha già dimostrato di valere un terzo del predecessore dimissionario Fioramonti, pur venendo entrambi dal M5S.
Abbagliati da queste cazzate, e quindi con la nostra parte di complicità (i genitori hanno scoperto via via l’angosciosa solitudine del consumatore, anche in un campo dove prima si poteva delegare, con una fiducia quasi sempre ben riposta), abbiamo ingoiato il numero chiuso nelle università (il ministro Zecchino ha aperto il varco, gli altri l’hanno sfondato), gli infiniti corsi (privati) pre e post laurea, l’università mediamente più cara d’Europa dopo Inghilterra e Olanda, culle del liberismo ( e potenze schiaviste, è bene non dimenticarlo mai), fino ad arrivare alla scuola di classe, e della purezza etnica (la scuola secondaria di Roma che ha fatto scandalo ha solo rivelato una “verità italiana”, cioè una cosa che sanno tutti, ma ufficialmente non si dice). Con un  tasso di abbandono scolastico da paura, e con l’innalzamento dell’età dell’obbligo di un solo anno (da 14 a 15) nell’era digitale, nel XXI secolo; con una percentuale di laureati fra le più basse d’Europa; con livelli di lettura miserabili, e un analfabetismo funzionale (di ritorno o di sola andata) da incubo.
Ci hanno voluto consumatori in perenne gara fra di noi; hanno vinto, anzi stravinto. Se un po’ di Italia ha retto, è giusto perché l’imprinting della scuola pubblica era fortissimo. E grazie alla mitica resistenza/resilienza italica, tutto sommato riusciamo ancora a stare a galla, a non diventare (del tutto) razzisti, (del tutto) classisti, (del tutto) egoisti, (del tutto) ignoranti, (del tutto) “ciucci e presuntuosi”.
La sconfitta di Salvini in Emilia Romagna, per esempio,  è la debole Linea Piave di chi a stento si ricorda cos’era la vera regione solidale, quella che nel primo dopoguerra accoglieva i bambini delle famiglie meridionali povere per fargli vivere una vacanza corroborante per il corpo e per la mente, come si sarebbe detto allora. O quella che, in tempi più recenti, si univa compatta contro lo stragismo fascista.
Lo Stato ha abbandonato sempre di più i cittadini a se stessi, per volontà (o acquiescenza) della maggioranza dei cittadini stessi, dagli anni Novanta in poi.
Ora che siamo tutti più vecchi, e ci sentiamo soli e inadeguati rispetto alle sfide della “modernità” (perché lo siamo), andiamo dritti verso il suicidio di massa, come i lemming, votando la destra o continuando a sopportare la simildestra più o meno renziana, più o mena piddina. Cominciamo a fare “coming out”: “ebbene sì, anch’io ho iscritto mio figlio in una scuola dove ci fossero meno extracomunitari, rom, e poveri”. Ci vuole un po’ di lungimiranza per capirlo;  ma confidiamo nell’intelligenza del lettore.

 Cesare Sangalli

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