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“Future. Il domani narrato dalle voci di oggi” a cura di IgiabaScego


Il volume “Future. Il domani narrato dalle voci di oggi” a cura di IgiabaScego si presenta come una pubblicazione  “groundbreaking” nel panorama italiano in quanto per la prima volta 11 donne afroitaliane(Leila El Houssi; Lucia Ghebreghiorges; Alesa Herero; Esperance H. Ripanti; DjarahKan; Ndack Mbaye; Marie Moïse; LeaticiaOuedraogo; Angelica Pesarini; AddesTesfamariam; Wii) scrivono assieme un’antologia di racconti. Non a caso nell’introduzione Camilla Hawthorne, docente dell’Università di Santa Cruz, paragona l’antologia ad alcune raccolte storiche del femminismo afroamericano quali This Bridge Calledmy Back (1981), All the Women are White, All the Blacks are Men, but Some of Us are Brave (1982) o afro-tedesco ShowingourColors:  Afro-German Women Speak Out (1986).
Nell’intenzione della curatrice – una delle voci più importanti di quella è stata definita letteratura migrante - il libro si pone come un “j’accuse” sulla condizione di discriminazione vissuta dalle donne nere italiane afrodiscendenti che non vengono riconosciute come figlie della nazione nonostante la promessa di una legge sulla cittadinanza per la quale tanti si erano impegnati ma che alla fine è stata tradita. “Un’Italia feroce che se non hai il supposto colore nazionale (un bianco candido che nessun italiano ha di fatto veramente, visto che il paese è mediterraneo e frutto di incroci) ti mette ai margini e nemmeno ti ascolta. Il nostro J’accuse non solo vuole essere ascoltato, ma vuole urlare il nostro disappunto per lo stato di questo presente che ci sta sempre più stretto.” (p. 10)
Scego denuncia il fatto che dopo un’iniziale apertura da parte dell’editoria italiana verso la cosiddetta letteratura migrante alla fine degli anni Novanta e l’inizio del duemila adesso quella porta si è chiusa rendendo molto difficile, tranne per poche eccezioni, alle persone con background migratorio venute dopo la generazione dei quarantenni, di pubblicare in Italia. Scego denuncia tutta l’immobilità della società italiana che non è in grado di accogliere i suoi figli e figlie di origine straniera nei posti pubblici, nelle redazioni dei giornali, negli enti formativi non rendendosi nemmeno conto della sua completa whiteness in un mondo che diventa sempre più multiculturale.
In risposta a questa situazione l’antologia raccoglie le voci di ragazze e donne afrodiscendenti affrontando i temi del senso d’identità, la cittadinanza, il rapporto con i genitori e le generazioni precedenti, con i paesi di origine dei genitori lasciati o mai abitati, il razzismo, il patriarcato tutti raccolti nell’idea di disegnare “un futuro che desideriamo diverso” (p. 17).
Come sottolinea Hawthorne molti giovani afrodiscendenti si sono mobilitati in questi anni recenti sia attraverso modalità classiche di attivismo politico classico che attraverso new media, letteratura e cinema per affrontare il tema dell’eredità coloniale italiana, per contestare l’idea prevalente di italianità che si fonda sul colore e per denunciare il razzismo della società italiana anche stabilendo collegamenti con altri movimenti sia in Italia che a livello internazionale. In questo contesto le ragazze e le donne afrodiscendenti hanno svolto un ruolo di primo piano.
L’antologia raccoglie voci anche molto diverse che sfuggono ad una netta categorizzazione: si tratta di figlie di migranti o di coppie miste, alcune nate in Italia, altre arrivate da bambine, alcune hanno ottenuto la cittadinanza italiana, altre sono in attesa. Queste donne non sempre si riconoscono nella categoria delle afrodiscendenti e a tutte stanno strette le etichette “seconde generazioni” o “nuove generazioni di origine immigrata”. Al tempo stesso queste voci esprimono una grande forza mostrando la capacità di porre domande scomode alla società italiana.
I temi più ricorrenti vanno dal senso di identità, allo sguardo dell’altro, al razzismo, alle radici, al viaggio, al desiderio di rivalsa.Sul senso di identità mediato dallo sguardo altrui scrive Marie Moise: “La normalità è la condizione di chi ha il potere di farti sentire sbagliato, di sancirti inferiore, di marchiarti come fallito. L’opposto della normalità bianca è il fallimento”. (p. 41) E ancora Alesa Herero: “E poi di nuovo quel pensiero: fino a quando dovremo provare la legittimità delle nostre esistenze? Erano reali le possibilità di spezzare quel filo continuo che si trascinava stanco dal passato a oggi?” (p. 156)
Wii scrive invece: “Chi agisce il linguaggio è il nativo. Il nativo non necessita di porre a se stesso domande che non lo riguardano, non sente il bisogno di definirsi [...]” (p. 172)Anche Leila El Houssi racconta della violenza simbolica vissuta per il non rientrare nella normalità quando la sua insegnante delle scuole elementari le diceva di smettere di dire che aveva cinque nonni. Evidentemente la poligamia non rientrava nell’orizzonte del possibile, ed era quindi più facile chiedere ad un’alunna di mutilare un suo vissuto piuttosto che spiegare la diversità agli alunni.
Sul rapporto a volte difficile con le famiglie scrive LeaticiaOuedraogo: “Madri o padri: dei dannati della terra che, nonostante ci volessero bene, avevano un modo particolare di dimostrarcelo, e ci riempivano di responsabilità e colpe per quello che succedeva a noi, ma anche per quello che subivano loro. [...] Esigevano da noi un altruismo spaventoso. E in fin dei conti non potevano proprio concepire che ci potessimo lamentare, che potessimo soffrire, perchè  a soffrire per primi erano loro che avevano tutta l’Africa sulle spalle, oltre a noi, figli ingrati”. (p. 112) 
La rabbia è un sentimento che ritorna spesso, come nella storia di Marie Moise che racconta del suo viaggio ad Haiti alla ricerca delle proprie radici recise: “ho tanta rabbia per la vita che mi è capitata, sono donna e sono povera. Per me ha placato la rabbia scoprire di non essere sola, scoprire che la mia rabbia è quella di tanti altri simili a me anche se ha provenienze e ragioni diverse”. Per Esperance H. Ripanti, la cui famiglia è originaria del Ruanda, “La rabbia è quella provata nell’estate 2018 di fronte all’impossibilità di sentirmi al sicuro nel posto dove io sono cresciuta”. Esperance racconta in particolare dei fatti di cronaca di violenza razziale avvenuti nell’estate del 2017 attraverso un racconto distopico. La rabbia è anche quella LeaticiaOuedraogo che denuncia la violenza verbale a sfondo sessuale subita:  “[…] quando mi lamentavo ad alta voce per quei vecchi viscidi che mi davano della puttana negra e mi volevano portare a letto. E gli dicevo che quando sei una ragazza nera e scendi dal pullman, che tu abbia uno zaino, una borsa o un bambino, quei vecchi uomini in macchina si avvicinano come dei coccodrilli che spiano una preda da ore, ti fissano con uno sguardo losco e vorace, ti osservano con insistenza, e quando ti giri e i vostri sguardi si incrociano, gesticolano. Abbassano i finestrini. Muovono la testa, invitandoti. (p. 110)
In conclusione questa antologia pone interrogativi scomodi ma ineludibili alla società italiana ed il futuro evocato dai racconti dipenderà dalla capacità di risposta e di autoriflessione che la società italiana saprà o meno dimostrare. 
Erika Bernacchi

IgiabaScego (a cura di)
“Future. Il domani narrato dalle voci di oggi”
Edizioni Effequ,
€ 15