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Prospettive RaRe: la politica italiana è tutta fra Raggi e Renzi(basta rispondere sempre alla domanda “Cui prodest?”)


Il titolo è chiaramente una provocazione. Diciamo che questa strana fase politica, iniziata con il governo di San Mario Draghi (che è partito molto male), non assomiglia per niente (non ancora, almeno) allafamosa “c’è grande confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”, storica affermazione di Mao. Non c’è nessuna confusione, e la situazione non è affatto eccellente, è stagnante, è deprimente, è logorante, dal punto di vista politico.
Per fortuna (si fa per dire) ci saràprestoun appuntamento elettorale, in questo caso le comunali in alcune grandi città a ottobre, e le regionali in Calabria, una Calabria che presenta di gran lunga la situazione più interessante, con la lista Luigi De Magistris-Mimmo Lucano in lizza, proprio nell’anno del maxiprocesso alla n’drangheta istruito da Nicola Gratteri (e oscurato dai media); con il commissario di ferro Longo; e con Gino Strada che si è speso con Emergency nel contrasto alla pandemia. Ma già dal titolo il riferimento è a Roma, e il nostro godimento puro è per l’imbarazzo del PD (imbarazzo di Zingaretti prima e Letta ora) e perfino del M5S filogovernativo,nei confronti di Virginia Raggi. La quale Virginia Raggi minaccia seriamente di rivincere, con grande scorno di tutti i media  meno “Il Fatto” (e forse “il manifesto”).
La sfida è chiarissima, lo schema è semplice, uno schema unico: tutti (tutti i conservatori, tutti i poteri forti) contro di lei. Che però, udite udite, potrebbe di nuovo avere l’appoggio del popolo, nonostante tutto. E sarebbe, la sua,  una magnifica vittoria. La vittoria dell’unica vera linea politica innovativa che si è vista in Italia negli ultimi anni. Affermazione provocatoria, di nuovo, con spiegazione a contrariis, alla rovescia. Se infatti non aveste ancora chiaro perché la sindaca di Roma è stata in questi cinque anni il personaggio politico di gran lunga più criticato, e fin da subito, e in modo feroce, a prescindere dai suoi demeriti (che ovviamente, c’erano e ci sono; ma una città che ha sostenuto Alemanno dovrebbe solo ringraziare Dio per avere una prima cittadina così onesta e coraggiosa), è arrivato il momento di capire qual è, e quale sarà, la vera faglia, il vero discrimine della politica del decennio appena iniziato: lo sviluppismo demente, inquinante e corrotto, contro la politica della sobrietà, preludio necessario all’”economia circolare”, o a qualcosa che gli somiglia. Virginia Raggi ha detto infatti un secco NO alle Olimpiadi, e un quasi NO al faraonico progetto dello stadio della Roma, in realtà una mega speculazione edilizia, un’enorme colata di cemento da realizzare, fra l’altro, in zona alluvionale e con scarse vie di comunicazione; il progetto è stato sforbiciato di brutto, e infine si è arenato, tanto da portare alla rinuncia della Roma, e ormai anche all’opposizione dei tifosi, che hanno mangiato la foglia da un pezzo (hanno capito che a Pallotta della squadra interessa poco; lui voleva e vuolesolo fare business).
Ma è soprattutto il rifiuto sacrosanto di ospitare le Olimpiadi in una città con i conti disastrosi, un’amministrazione indecente e un’urbanistica al collasso, a costituire un precedente fondamentale, unico nel suo genere (e infatti subito contraddetto dalla candidatura bipartisan di Cortina e Milano ai Giochi invernali del 2026, già impostati all’insegna dei doppioni , degli sprechi, degli scempi ambientali) .
Era un rifiuto che poneva la domanda della domande, quella che riecheggia dai tempi dell’antica Roma: “Cui prodest?”, “a chi giova?”. Domanda semplice, implacabile, che giornalisti meno servili dovrebbero porre non appena si sente parlare di megaprogetti, di Grandi Opere, di infrastrutture e realizzazioni urbane.
E cioè: giova all’ambiente, giova ai cittadini, migliora la vita del popolo, della società? Oppure giova ad un manipolo di imprenditori, a pochi grandi gruppi, ad alcune multinazionali, ad un po’di politici sponsorizzati, ad un po’ di clientele, ad un po’ di dipendenti e operatori economici (le famose “ricadute”, cioè le briciole del banchetto), con il solito miraggio dello sviluppo, quello “sviluppo senza progresso” (Pasolini) che ha segnato gli ultimi quattro decenni, e che ha portato il mondo al disastro ambientale e alla più iniqua ripartizione della ricchezza di tutti i tempi?
Ecco, il campione di questa politica è Matteo Renzi. E’ una figura simbolo, l’esempio scolastico  della mutazione antropologica dei leader italiani (ci sarebbe anche Matteo Salvini, il “gemello diverso” di Renzi, ma Renzi incredibilmente è stato spacciato come leader di sinistra, o centrosinistra; e questo è pazzesco, gravissimo). Un personaggio mediatico, padrone di una vuota retorica pseudo modernista; un capetto (in realtà uno “yesman”) di indubbia astuzia, cosa che, in un paese poverissimo di ideali come l’Italia (a partire dagli anni Ottanta), equivale a fenomenale capacità politica. In effetti, nei palazzi del Potere, Renzi sguazza come nel suo habitat naturale. E’ un lobbista travestito da leader. E’ il simbolo della “governance” (oddio, in questo è Draghi l’esempio migliore), termine osceno che non vorremmo sentire mai più, parola di quella neolingua di impronta anglosassone che si basa sul (presunto) pragmatismo, sulla (presunta) efficacia/efficienza, tipica di quella cultura aziendalista che è il veleno della società, della politica, di tutto ciò che non sia il settore del business,  del fare i soldi.
Attenzione: gli altri leader del PD (e dintorni), paradossalmente, potrebbero essere più pericolosi. Proprio perché sembrano, e sono in effetti, più decenti: Zingaretti, Letta, Bersani, per citare i più conosciuti (e tutto sommato apprezzati, più che altro perché gli altri sono peggio). Avete mai sentito mezza parola da costoro sul TAV, sul TAP, sulle trivelle, sugli investimenti “strategici” nel campo militare, sull’export di armi, sui sussidi ai combustibili fossili? Sono a favore di TUTTO. Non riescono nemmeno a pronunciarsi sul Ponte di Messina, tornato in auge, in modo osceno, perfino in questo tempo di pandemia, cioè di sanità e scuola a rischio collasso. No, l’unica speranza è appunto nella “sensibilità” del M5S (perché non è ancora diventata vera linea politica, anche se ci sta provando, ci ha provato), e nell’evoluzione dei tempi, cioè nella spinta della società. Spinta per ora quasi inesistente, inutile farsi troppe illusioni, anche perché è da più di un anno che siamo rimbecilliti dalla questione sanitaria. L’unica nota “positiva” di questi tempi di Covid, è la maggiore voglia di Stato, di protezione sociale, di intervento pubblico. Molto confusa, peraltro. La controprova è che il disastro dei disastri, quello della Lombardia, cioè il top della politica privatistica, la culla dell’approccio aziendale, del berlusconismo e del leghismo, non ha quasi scalfito il consenso delle destre.
La magra consolazione, a livello politico, è che il PD si sta faticosamente liberando di tutta la zavorra renziana, e il M5S di Casaleggio, e che la loro alleanza non è (quasi) più oggetto di discussione. Punto. Il prossimo tassello positivo (e in questo campo Letta è partito malissimo) potrebbe essere una legge elettorale rigorosamente proporzionale, com’era stato abbondantemente promesso prima del taglio dei parlamentari. E stiamo parlando del minimo, veramente del minimo.
Per questo, in attesa dei miracoli di San Mario Draghi (che non ci saranno), una clamorosa vittoria di Vittoria Raggi a Roma (e magari di De Magistris in Calabria) darebbe una spinta notevole. Sarebbe uno schiaffone all’establishment, soprattutto perché farebbe piazza pulita di cinque anni di retorica “meritocratica”, talmente ipocrita da essere nauseante, perché proviene da gente che non ha battuto ciglio quando Alemanno riempiva le municipalizzate e l’intera pubblica amministrazioni di fascisti, avanzi di galera, mafiosi (vedi http://www.altrevoci.it/articolo238.html ).
Finché il PD e tutte le altre forze che si vogliono progressiste non si porranno con dura onestà intellettuale la domanda cruciale “a chi giova”, così come il giornalismo asservito, e di conseguenza tantissimi elettori; finché non inizierà questa semplicissima, clamorosa operazione di verità, non ci sarà nessun vero avanzamento, altro che “transizione ecologica”. E ora tornate a parlare di vaccini, di riaperture, di “distanziamento sociale”, di zone gialle e rosse e arancioni. Se fosse per i cantori del Palazzo, i menestrelli del Potere, la pandemia potrebbe durare in eterno: doveva essere la sveglia delle coscienze addormentate dal consumismo e dal capitalismo, sta diventando un’arma di distrazione di massa.

 Cesare Sangalli

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