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L’ultimo spettacolo


Signore e signori, a grande richiesta, e dopo 14 anni di repliche, torna la Campagna Elettorale, cioè il Silvio Magic Show, che debuttò trionfalmente a Roma, Palazzo Chigi, il 28 marzo 1994, dopo dieci anni di prove dietro le quinte. “Guest star” dell’imperdibile spettacolo, l’uomo più amato dall’establishment sedicente riformista, l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni. La sera del 14 aprile saprete chi sarà stato nominato dal pubblico, e il nostro straordinario ensemble di sedicenti opinionisti vi spiegherà che era tutto ampiamente previsto. Quindi vi faranno capire per quale motivo avete scelto il vincitore. Sarà stata comunque la scelta giusta, per fare ”le riforme di cui il paese ha bisogno”, ed entrare finalmente nella modernità, che nessuno sa cos’è, ma non importa.
Chissà se c’è ancora qualcuno che è disposto a credere nelle elezioni di aprile, qualcuno che starà ad aspettare trepidante il risultato, a fumare sigarette nervose fra un exit poll e un altro, fra una forbice del tre per cento e un “se i risultati saranno confermati, per il nostro partito sarebbe uno straordinario successo…”.
Alla quinta volta, perfino Giobbe bestemmierebbe il suo Dio, e maledirebbe il fatto di essere nato in Italia.
Ebbene sì, siamo alla quinta volta consecutiva di Berlusconi, con tanto di Emilio Fede al seguito, prima di essere mandato sul satellite. Breve riassunto delle puntate precedenti, viste dal basso dell’elettore più o meno di sinistra, sicuramente antiberlusconiano.
Il debutto, lo abbiamo scritto (vedi “Il Grande Freddo”), fu notevole. Se si pensa al duello televisivo fra Occhetto e Berlusconi, ecco che i colori sgargianti dell’Italia berlusconiana, quella che non voleva uscire dagli anni Ottanta (visto che gli anni Novanta erano ancora meglio, fra i primi telefoni cellulari e le nuove playstation), si stingono verso un seppia decadente: l’ottimismo ingenuo del dopo Tangentopoli finì quel giorno, come ricordava Nanni Moretti nel film “Aprile” (“La sera della vittoria di Berlusconi, per la prima volta nella mia vita, mi feci una canna”).
Già, l’aprile 1996. La prima delle successive quattro repliche. In Piazza SS.Apostoli si videro le bandiere rosse dei “comunisti” sventolare con quelle bianche dello Scudo Crociato, in mezzo al nuovo verde dell’Ulivo. Si sapeva che da Prodi, tecnocrate della Prima Repubblica, non ci si potevano aspettare rivoluzioni, eppure sotto le note sparate della “Canzone popolare” di Ivano Fossati un po’ di speranza c’era, eccome.
Cinque anni dopo, in una serata di maggio, la disfatta annunciata fu appesantita da un Bertinotti gongolante per uno-due punti in più avuti da Rifondazione, mentre il paese si consegnava incondizionatamente a Berlusconi. Perfino Ferrara si mostrò indulgente con i vinti: il regime sarebbe stato clemente, ci si augurava “un’opposizione costruttiva”. Il giorno dopo, la vignetta di Altan su “Repubblica” sintetizzava perfettamente la situazione: un tizio diceva: “Poteva andare peggio”, e l’altro replicava: “No”. Altan aveva ragione. Nel quinquennio successivo si raggiunsero livelli di abiezione legislativa, decadenza morale e servilismo giornalistico che si pensavano inarrivabili. Il peggio è che gli italiani si stavano abituando. Quando il periodo 2001-2006 verrà analizzato dagli storici, si resterà sbalorditi nel constatare quanto il Paese si fosse abbrutito.
Arrivò la terza replica, quella con più suspence. I primi exit polls confermarono che, nonostante l’incredibile potenza mediatica del Cavaliere, il centrosinistra era in netto vantaggio. Poi successe di tutto. Un giorno forse capiremo che la notte fra il dieci e l’undici aprile 2006 si sfiorò l’eversione, il golpe bianco. Ma alla fine il centrodestra dovette lasciare il Palazzo, che aveva controllato così saldamente da far venire i pusher e le donnine direttamente ai ministeri (chiedete a Micciché e a Sottile).
Circa due anni dopo, ci risiamo. Al quinto spettacolo, gli attori non hanno più uno straccio di copione da interpretare. Ormai se la cantano e se la suonano da soli, gli spettatori sanno le battute a memoria, nessuno si aspetta più niente. Le prossime elezioni sono soltanto un rito celebrativo dell’establishment. Gente che in questo paese derelitto tutto sommato ci sta benone: politici, imprenditori, sindacalisti, giornalisti, personaggi dello spettacolo. E poi docenti universitari, cardinali, vescovi, primari, manager di stato, commissari, membri delle authority, consulenti, banchieri, finanzieri, immobiliaristi, lobbisti, faccendieri. Ognuno con una piccola o grande tribù intorno. Questa gente chiaramente non ha, né può avere, nemmeno un decimo della rabbia, della nausea, della stanchezza che provano milioni di italiani. Le persone perbene, completamente tradite da chi guida il paese. A tutti i livelli. In basso e in alto, a destra e a sinistra. In tv e sui giornali. Se stavolta non andranno a votare, nessuno potrà dire niente. Solo Pippo Baudo ha sputato sul pubblico che l’ha abbandonato, lo stesso che incredibilmente è costretto a pagargli, attraverso la Rai, 270mila euro per fare Sanremo. Dice SuperPippo che gli italiani non capiscono più la qualità. Sembra non lo sfiori nemmeno il dubbio che lui non rappresenta più la qualità, e che ad una certa età si può anche pensare di ritirarsi, anche perché l’Italia è un po’ più vasta del pubblico che continua a guardare “Domenica In”.
Signore e signori, apprestatevi dunque a vedere l’ultimo spettacolo di una sciagurata generazione di italiani che presto se ne andrà, e che verrà ricordata con sommo disprezzo fra qualche anno. Il Caimano trascinerà con sé la peggiore classe dirigente di tutti i tempi. Forse qualcosa, come le terre mai bonificate intorno a Napoli, è andato perduto per sempre. Ma la storia insegna che la gloria del mondo è fallace ed effimera, e che, morto un papa, se ne fa un altro. Per ora, ci limitiamo a salutare i primi pezzi del sistema che ci lasciano, o ci lasceranno ad aprile: Romano Prodi, LucianoViolante, Giuliano Amato, Alfredo Biondi. A non rivederci mai più. Poi il mitico Mastella, il traditore tradito, e Boselli, ultimo scampolo dei socialisti, il più sorprendente risultato della raccolta differenziata. A meno di grandi sorprese, seppelliremo anche la Santanché, che rappresenta l’arroganza dei ricchi vecchi e nuovi targati “Billionaire” (fra cui Flavio Briatore, Lele Mora, Fabrizio Corona, Simona Ventura, Marcello Lippi, Luciano Moggi e molti altri, compresa l’insospettabile Giovanna Melandri, unica rappresentante, pensate un po’, della generazione nata negli anni Sessanta). Poi sarà il turno di tutti gli altri.
Ladies and gentlemen, contestare i protagonisti dell’ultimo spettacolo è un nostro diritto-dovere, sia che vinca il peggiore di tutti (Silvio Berlusconi) sia che vinca il paraculo Veltroni. Accettati fischi e pernacchie. E’ gradito anche l’abito scuro, per chi vuole testimoniare il lutto della Terra dei Cachi. Si può ridere o piangere, secondo lo stato d’animo. Sipario.
Cesare Sangalli