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Avanti, pop (bandiera rosa trionferà)
Ebbene sì, l’ha fatto. Veronica Lario ha lasciato Silvio Berlusconi. Questa rischia davvero di essere la notizia più importante dell’anno, per la Terra dei cachi, anche se potremo cominciare a capirlo solo dopo le elezioni europee di giugno.
Certo, il fatto più grave di questi tempi è l’approvazione delle leggi razziali (pardon, del pacchetto sicurezza) volute dalla Lega, il primo partito razzista nella storia d’Italia, un Ku Klux Klan della polenta. Ma visto che le elezioni di giugno dovrebbero segnare il trionfo definitivo di Berlusconi e l’investitura “finale”del PDL come nuovo partito-stato, perfino più potente e quindi duraturo dell’eterna Democrazia Cristiana, ecco che il divorzio della coppia più bella del mondo assume un significato fondamentale.
Perché Berlusconi è davvero, da un certo punto di vista, “il primo statista pop della storia”. La brillante definizione è di Massimo Gramellini, opinionista della Stampa. Berlusconi è quello che a livello internazionale “sa dire solo Kapò, Kakà, cuccù” (Curzio Maltese). Come si capisce dal titolo, in queste righe faremo nostra l’intuizione, attingendo a piene mani dall’inesauribile patrimonio della cultura nazionalpopolare. Citando magari Celentano (a partire dalla “coppia più bella del mondo”) e non Giovanni Sartori (per quanto le tesi del suo ultimo libro, “Il sultanato”, siano molto più vicine alla realtà politica della Terra dei Cachi).
Il fatto è che Giovanni Sartori, se non per qualche apparizione televisiva, lo conoscono in pochi. Il fatto è anche che in Italia si legge pochissimo e si guarda tantissima televisione, e il titolo di studio prevalente è la terza media. Il fatto è, infine, che il 60 per cento del pubblico televisivo è rappresentato da donne, e questo è di gran lunga il dato più importante.
Le donne in Italia guardano una televisione pensata da maschi per un pubblico di maschi. Piena di calcio, donnine,“grandi fratelli” pornosoft e talk show dominati da vecchi maschi al potere e giornalisti reggimicrofono, con qualche signora compiacente a fare da sfondo. Come facciano a guardarla (più o meno da un quarto di secolo) e prenderla a modello di vita, è un mistero che solo Berlusconi conosce.
Allo stesso tempo, per una strana compensazione, la sedicente informazione TV non è mai stata così attenta al gossip, alla moda e al costume (termine usato dai giornalisti per indicare le scemenze di tendenza). Una volta, al massimo, ci si concedeva qualche incursione nelle classiche famiglie reali, dai Windsor ai Grimaldi. Oggi invece nella scaletta delle notizie finiscono pure le vicende dei protagonisti dei reality, visto che quelle dei divi dello spettacolo non bastano. Non a caso Berlusconi ha voluto al timone del suo tg principale Carlo Rossella, conosciuto nell’ambiente come “Rossella O’ Hara”, per la sua propensione al giornalismo serio e rigoroso. Il croupier Emilio Fede non era sufficiente. D’altra parte, per l’informazione di vibrante denuncia c’è pur sempre “Striscia la notizia”. E per gli approfondimenti c’è comunque “Matrix”, con le sue coraggiose puntate dedicate ai protagonisti dei “Cesaroni” o allo scottante tema della chirurgia plastica.
Insomma, il Grande Pubblico, formato in maggioranza da donne, viene messo al corrente della vita nella Terra dei Cachi in un un’atmosfera da perenne Festival di Sanremo, fra il rosa cipria e il rosa shocking, con qualche macchia rosso sangue per i delitti serial tv (Cogne, Garlasco, Perugia). Detto in altre parole: il regime televisivo è umiliante per tutti, ma per le donne in particolare. Eppure, da anni, nel segreto dell’urna, una fetta enorme del gentil sesso attesta la sua fiducia, in molti casi il suo amore, per il Grande Leader.
Berlusconi ci ha preso gusto, e ha gratificato l’esercito delle sue fans, prima con fior di ministre
(Prestigiacomo, Gelmini, Carfagna, Brambilla) poi con un harem di protette da portare in Europa. Andava tutto per il meglio, il consenso si stava facendo addirittura “imbarazzante” ( e lo è, ma per altri motivi); finché l’amata consorte, Veronica Lario, ha detto basta.
I risvolti cosiddetti “privati” meriterebbero una colonna sonora all’altezza, da “donne, du-du-du, in cerca di guai” a “pensiero stupendo, nasce un poco strisciando, si potrebbe parlare di bisogno d’amore..”. I commenti dei giornalisti di regime cantavano altre canzoni, tipo “Non sono una signora”. Molte lettrici, condizionate dall’undicesimo comandamento (“i panni sporchi si lavano in famiglia”) chiedevano toni più riservati (stile “Fotoromanza”: “Ti telefono o no, ti telefono o no, chissà chi vincerà”).
La famiglia Letizia, quella di Noemi, la Lolita della storia, oscillava fra Renato Zero (“Mi vendo”) e Caterina Caselli (“Sono bugiarda”). Alla fine, il repertorio di Marco Masini mette tutti d’accordo, i berlusconiani (“Bella stronza”) e gli antiberlusconiani (“Vaffanculo”).
Avanti pop, che incombono le elezioni. Bandiera rosa trionferà. Visto che i media hanno stabilito da tempo che conflitto di interessi, monopolio dell’informazione, questione morale (vedi la recente condanna dell’avvocato Mills, corrotto ufficialmente da Berlusconi) e perfino la crisi economica non interessano agli italiani (e in buona parte è proprio così), il consenso del Sultano potrebbe cominciare a calare proprio per il rifiuto più intimo, quello di chi ti conosce davvero, di chi ti vede fuori dalle luci della ribalta. In fondo, sarebbe perfettamente logico, perfino coerente. Quante donne cominciano a sentirsi un po’ tradite dal Sultano?
Intanto Veronica e Noemi, per motivi opposti. Poi tutte le potenziali candidate, sedotte e abbandonate in quattro e quattr’otto.
Infine, quelle che credevano al Sultano buono, devoto padre di famiglia e aspirante padre di tutti gli italiani, che hanno visto balenare per un attimo l’immagine di un vecchio maniaco ossessionato dal mito dell’eterna giovinezza. Colpa dei comunisti? Stavolta è dura da far passare. Comunque, appuntamento per tutti all’otto di giugno, per sapere come si sviluppa la telenovela dal punto di vista politico. I dati saranno facili da interpretare: se il PDL non raggiunge il 40 per cento, vuol dire che Norma Desmond (vedi “L’ultimo spettacolo”) ha imboccato il viale del tramonto. Se va oltre il 42, vuol dire invece che la democrazia italiana è al crepuscolo. Un crepuscolo che prelude ad una oscura notte razzista se la Lega va oltre il 10 per cento, incassando il gradimento per le leggi razziali (pardon, per il pacchetto sicurezza).
Per quanto riguarda il fronte delle opposizioni, il discorso è semplice. Franceschini ha l’indubbio merito di aver chiuso con il veltronismo, quella patetica opposizione nominale da perfetti collusi. Però non ha fatto i conti con il Partito Democratico, che proprio non riesce a chiudere con la sua nomenklatura, e per questo meriterebbe l’ennesima clamorosa bocciatura. Ma in ogni caso, rispetto all’anno scorso, gli elettori hanno l’arma delle preferenze. L’ideale sarebbe che riportassero il partito almeno al galleggiamento (diciamo oltre il 28 per cento) e allo stesso tempo trombassero sine pietas capolista come Luigi Berlinguer o Paolo De Castro, riportando ai doveri familiari Sergio Cofferati e insegnando un minimo di dignità a Leonardo Domenici. Non si potevano scegliere candidati peggiori.
A Ferrero e Vendola, fratelli coltelli, auguriamo di passare entrambi lo sbarramento del quattro per cento (anche se non sarà facile), perché si sa, le vittorie uniscono, le sconfitte dividono. Se proprio dobbiamo esagerare con la speranza, diciamo che sarebbe fantastico, in parallelo, che il quorum non lo raggiungesse Casini, con la sua UDC di pregiudicati, cui si è aggiunto il ballerino Emanuele Filiberto, che però gode del fattore rosa di cui sopra (un altro piccolo test interessante).
Infine, con il vento del successo in poppa, c’è Antonio Di Pietro, con l’Italia dei Valori, che schiera di gran lunga i candidati migliori, dimostrando di prendere sul serio l’Europa, al contrario degli altri: De Magistris, Vattimo, Zipponi, Sonia Alfano, Carlo Vulpio. E’ troppo chiedere agli elettori e alle elettrici di garantirgli la doppia cifra e possibilmente il sorpasso alla Lega? No, ce la possono fare. Yes, we can.
Cesare Sangalli