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Il grande freddo
Lo schiaffo fu così forte che ci sono voluti dieci anni per riprendersi. Occorre riprendere un celebre attacco (quello di “Papillon” di Henri Charrière) per descrivere la sensazione del 30 marzo 1994. Metà Italia era in lutto, l’altra metà aveva vinto, ma non festeggiava. Perché la straordinaria vittoria di Berlusconi e del Polo alle prime elezioni col sistema maggioritario non veniva festeggiata? Lo potremmo chiamare il mistero della destra italiana.
Uno pensava di aver vissuto per trent’anni in un paese di centrosinistra, e si svegliava in una realtà sconosciuta, aliena, minacciosa. Vinceva Forza Italia, un partito che sembrava la brutta invenzione di un pubblicitario americano, di quelli che convincono la gente ad esaltarsi vendendo prodotti per la casa. Vinceva la Lega, un manipolo di populisti da quattro soldi, che aveva trasformato in linea politica i discorsi da bar, a partire da quelli sui “terroni”, che a nord si facevano da sempre, ma poi finivano lì, dopo l’ultimo giro di rosso.
Vinceva perfino il Movimento Sociale, i neofascisti, gli alieni della Prima Repubblica, i reietti della politica democratica (l’”arco costituzionale”, si diceva).
Solo due anni prima, c’era il pentapartito dei ladri (DC-PSI-PSDI-PRI-PLI) che chiedeva un voto per la “governabilità”, e tutti ad alambiccarsi per lo zero virgola in più e in meno, per la “sostanziale tenuta” e altre noiose banalità da sistema proporzionale, il brodo di coltura dei Bruno Vespa, dove ognuno faceva finta di avere vinto.
Questa volta no. Questa volta era Waterloo, gli sconfitti erano cadaveri, azzerati, ammutoliti. A ripensarci, Occhetto aveva una faccia perfetta per quella disfatta, che spazzò via in poche ore le illusioni dei progressisti (così si chiamava, anche se non se lo ricorda nessuno, la coalizione di sinistra, la “gioiosa macchina da guerra” travolta alla prima e ultima battaglia) . I progressisti. Era quello il nome più giusto. Dopo è cominciato il marketing, il via ai nomi scemi. Un giorno qualcuno si sentirà in imbarazzo, per denominazioni tipo “Ulivo” (e Prodi diceva “Olivo”), “Margherita”, o simboli come l’asinello.
Nel 1994, invece, c’erano solo i progressisti, e vennero sconfitti. Questa era l’amara verità: l’Italia non aveva nessuna intenzione di progredire, anche perché nel frattempo aveva continuato ad andare indietro. In tutti i campi, tranne quello dei consumi. Berlusconi lo aveva capito perfettamente, i progressisti no. Non a caso il primo discorso politico del Cavaliere avvenne all’inaugurazione di un centro commerciale. L’Italia del centro commerciale. L’Italia che ormai ha più numeri di telefonino che abitanti (non è una battuta, abbiamo superato i 57 milioni). L’Italia che ha più automobili nuove che figli (è una statistica anche questa). L’Italia dei centomila spot pubblicitari all’anno.
Qual è l’orizzonte ideale di un elettore medio di Forza Italia? Che cosa sogna? Quali sono i valori di un leghista? Il nord separato dal sud? Meno tasse? Meno extracomunitari? E quelli con un po’ di tradizione politica, Alleanza Nazionale, a parte i vecchi fasci, che cosa vogliono? Dio, Patria e Famiglia? Più soldi al battaglione San Marco e meno ai SERT (Servizio recupero tossicodipendenti)? Difficile dirlo. L’elettorato di destra, in gran parte, non si esprime. Chi non dice mai per chi vota, nove volte su dieci vota a destra. Chi dice “la politica mi fa schifo”, nove volte su dieci vota a destra. Quelli che “i politici sono tutti ladri”, spesso i ladri poi li votano (Berlusconi in primis).
Non era una sconfitta, appunto. Era una disfatta. La prima conseguenza è stata quella di legittimare ogni idiozia, anche quelle più odiose, volgari, razziste, eversive. Era il nuovo che avanzava, era lo spirito dei tempi, i progressisti sembravano terribilmente fuori moda.
Ha ragione Antonio Albanese – Alex Drastico: “le cazzate non vanno in prescrizione”. Non ci è stato risparmiato niente. Da “Musssolini è stato il più grande statista del secolo” a “prendiamo le impronte dei piedi agli extracomunitari”. Da “i crimini dell’esercito russo in Cecenia sono propaganda” a “vendiamo le spiagge per risolvere la questione del sud”. Da “non c’è conflitto di interessi, il titolare dell’azienda non sono io, è mio figlio” (non è Berlusconi, è Lunardi) a “dobbiamo convivere con la mafia” (ancora Lunardi, uno dei più discreti). Ogni giorno un po’ più in basso, ogni giorno un po’ peggio. Alla fine le parole hanno perso qualsiasi contenuto, per la legge del contrappasso. Il calciatore Platini disse una volta che “perfino Einstein, se venisse intervistato tutti i giorni, finirebbe per dire stupidaggini”. Parafrasando, si potrebbe dire che perfino Nelson Mandela non riuscirebbe a dire niente, travolto dalle mille battute del talk show, oscurato dal deprimente teatrino della politica.
Pare che scegliendo Berlusconi, qualcuno si illudesse di “modernizzare” l’Italia. Abbiamo invece buttato via dieci anni, e forse di più, visto che molti se ne accorgono solo oggi.
Forse il crollo dei partiti tradizionali era stato troppo rapido, ma era appunto dalla vittoria ai mondiali che non davano segni di vita.. I liberali, i repubblicani, i socialisti, i socialdemocratici. Una tradizione politica secolare annullata in 24 mesi.
Gli sciocchi continuano a pensare che è stata colpa dei giudici, e non del crollo non solo di ogni valore morale, ma anche di qualsiasi idea politica degna di questo nome. Ecco perché nemmeno la fine della Guerra Fredda, gli sconvolgimenti mondiali del biennio ’89 - ’91, gli accordi di Maastricht, riuscirono a provocare il minimo cambiamento., tanto che alla vigilia delle elezioni del 1992 tutti prevedevano Craxi al governo e Andreotti presidente della Repubblica. Pensate un po’. Tutto finito in un anno e mezzo.
Sì, ci sarebbe voluto un po’ più di tempo per analizzare almeno la fine della mitica Democrazia Cristiana. Dopo una puntata dedicata ai comunisti negli anni Ottanta, è arrivato il momento di parlare un po’ dei cattolici italiani.
Cesare Sangalli