W l'Italia ... fra memoria e attualità ...

 



Good morning, Italia



Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta. Attacco patriottico con forte dose di sarcasmo (l'ironia si addice a tempi più leggeri). Onda su onda, scandalo dopo scandalo, rivelazione dopo rivelazione, finalmente è suonata la sveglia. Se Enrico Mentana inizia un suo pezzo su “Vanity Fair” in modo quasi identico all'inizio di “Capodanno col botto” di questa rubrica (vedi in archivio), scritto nel dicembre 2005, qualcosa vorrà dire.
Allora parlavamo degli sviluppi dello scandalo dei “furbetti del quartierino”, dopo il tentativo di assalto spartitorio alle banche (e al “Corriere della Sera”, è bene non dimenticarlo), dopo le dimissioni di Antonio Fazio, governatore della Banca d'Italia (mica Pinco Pallo), invocate a tutta pagina sui quotidiani da Beppe Grillo nel silenzio generale, e le teorie di complotto di Massimo D'Alema.
Si diceva, cinque anni fa, che “non è Tangentopoli, è peggio”, e che il “cancro della corruzione” era “in metastasi”. Le stesse parole, appunto, di Enrico Mentana oggi. Come passa il tempo, quando ci si diverte (sarcasmo puro).
Il tempo virtuale della politica televisiva ed elettorale sembra ricco di cambiamenti: da quel 2005, due elezioni, due governi, partiti nati, partiti morti, da Celentano e Santoro (“Rockpolitik”) a Santoro e Celentano (più Morgan, “Annozero”).
Il tempo reale del malaffare, invece, sembra immobile, cinque anni sono come cinque minuti. Il paradosso è che i processi per i (mis)fatti di allora si stanno celebrando proprio in questi giorni, compreso quello, tanto enorme quanto rimosso, delle intercettazioni Telecom (Tronchetti Provera, Tavaroli, Cipriani, Pio Pompa, Mancini, Pollari, vedi “..E giustizia per tutti”).
Ma questi processi sono semplicemente oscurati dai nuovi scandali: Bertolaso e Protezione civile, Fastweb e Telecom (ancora, è una maledizione), il senatore Di Girolamo, falso residente belga “schiavo”della 'ndrangheta, Gennaro Mokbel suo ricattatore per conto terzi, e tutta l'estrema destra più o meno criminale.
Tangenti, appalti, conti esteri, massaggiatrici, risate sui terremoti, riciclaggio, ricatti, cognati e generi e mogli.
Mamma mia. Non fai in tempo a imparare un po' di nomi (Balducci, Anemone, Achille Toro) che già ne spuntano di nuovi (Scaglia, Parisi, Andrini ex picchiatore fascista chiamato dal sindaco Alemanno a dirigere una municipalizzata). Rispunta perfino, fra le pieghe dell'indagine, Renatino della Banda della Magliana, che dorme tranquillo a Sant'Apollinare. Tutto si salda, tutto si lega, tutto si tiene, nella Terra dei cachi.
Il popolo viola continua a manifestare, ma se prima era rabbia, ora è qualcosa che assomiglia allo sconforto totale. (anche se Flores d'Arcais ha ragione quando dice: “noi resisteremo comunque un minuto più del regime”).
Quando l'indignazione compare nelle parole di gente come Casini e Follini, e i Ponzi Pilati di sempre, come Mentana o Mieli, dicono che si è passato il limite, significa che la rabbia vera ha già preso una piega amara: è impossibile non provare la sensazione scoraggiante che è sempre e comunque troppo tardi.
Perché il tempo non è una variabile indipendente. Tutti questi scandali ci fanno capire che stiamo vivendo, come società, ai ritmi estenuanti dei procedimenti giudiziari. Procedimenti che l'establishment vuole lenti come la lumaca di Pinocchio: più lui sentiva il bisogno di aiuto, più quella sembrava andare piano. Parlare del ruolo di “supplenza della magistratura” è un gentile eufemismo. Senza la magistratura, non si muoverebbe nulla. Senza le intercettazioni, questo paese non avrebbe idea di ciò che accade nello spaventoso mondo reale (vedi “l'ora di Matrix”).
Ma la nostra vita si svolge qui e adesso, questo è il problema. C'è un mondo che non aspetta il terzo grado di giudizio per stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato. E che vede passare i giorni sperando solo che certe leggi, certe riforme, certe imprese “criminofile” non vadano in porto. Aspettando un'altra volta il consueto “firma-non firma” del presidente della Repubblica; e poi l'ennesima pronuncia della solita Corte (costituzionale o cassazione che sia), magari pregando per la sentenza giusta, e mettendo già in conto i soliti ritornelli sulle prescrizioni spacciate per assoluzioni (ultimo, il caso Mills).
Uno storico che dovesse raccontare questi due anni di Italia, parlerebbe di una lunga, sterile lotta fra la magistratura da un lato e il governo e il parlamento più corrotti di tutti i tempi dall'altro.
Attore non protagonista, la società civile, o quel che ne resta dopo il ventennio berlusconiano, che cerca di impedire l'impunità definitiva, ieri a Piazza Navona, oggi a Piazza del Popolo, con esiti puramente difensivi.
In termini calcistici, è come giocare con un sofferto, disperato catenaccio per cercare di strappare almeno uno zero zero casalingo (spero che tutti possano cogliere la metafora: che cos'è stata, per esempio, la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale, a pensarci bene, se non un misero pareggio ottenuto nel proprio stadio, di fronte al pubblico amico?) .
La verità, è che siamo dovuti arrivare così in basso per poter sentire dire oggi da una parte dell'establishment cose che noi tutti, nel nostro piccolo, abbiamo detto centinaia di volte, per anni.
Noi ormai ci siamo abituati, ma se ci si pensa un momento, mica è normale che sia così.
E' solo che la sensazione di solitudine si è radicata nel tempo. Nessuna vera rappresentanza politica, nessuna vera rappresentanza sindacale, nessuna vera tutela istituzionale, spesso nessuna vera copertura mediatica.
E' come vivere a Fort Apache, sapendo che nessuno suonerà la carica, perché “i nostri” non arrivano mai.
Be', adesso in realtà qualche squillo di tromba si sente. Su certi contenuti, il gioco comincia a rovesciarsi (gli oppositori all'attacco e il regime in difesa): per esempio, sulle centrali nucleari o sul ponte di Messina. Forse anche sul rapporto pubblico/privato, con la lancetta che torna faticosamente nel campo del pubblico, almeno per quanto riguarda la scuola e la sanità. Non certo, o meglio, non ancora, sugli extracomunitari, nonostante la giornata di sciopero, di cui probabilmente molti, come al solito, non si sono nemmeno accorti.
Perciò di nuovo, dobbiamo dire: dov'è il limite, dov'è il famoso “modus in rebus”, mentre noi continuiamo a gridare “ usque tandem abutere patientia nostra ” (fino a quando abuserete della nostra pazienza) ai tanti Catilina che ci opprimono? In questa rubrica abbiamo parlato di Italia “malato terminale” quasi cinque anni fa, appunto. L'espressione è stata ripresa recentemente da “Le Monde”, ma ancora una volta, non se ne trae alcun piacere, ma solo più rabbia.
L'amarezza più grande forse non riguarda nemmeno il tristissimo spettacolo offerto dai parlamentari, dagli uomini delle istituzioni, dai giornalisti, da chi esercita una qualche forma di potere. E'piuttosto constatare una volta di più la nullità della Chiesa cattolica nel paese ufficialmente più cattolico del mondo. E' vero, per chi non crede la Chiesa non rappresenta niente. O molto poco. Ma forse anche i non credenti intuiscono quanto è triste non sentire una voce forte, carismatica, profetica che richiami alla dignità, alla giustizia, alla solidarietà, ma solo appelli scontati al solito “pace e bene fratelli”, solo un lagnoso, moderatissimo borbottio (i toni forti, le urla di battaglia sono riservati perlopiù a temi delicatissimi, come la fine della vita o la fecondazione assistita).
Dispiace dirlo, ma se la Terra dei Cachi appare addormentata, narcotizzata, anestetizzata, lo dobbiamo anche ai nostri pastori, ai nostri vescovi, ai nostri preti, assolutamente incapaci di dare la scossa morale ad una società “gelatinosa”, a parte le solite eccezioni ultraminoritarie. Ormai un cattolico progressista è già contento se non sente sparare cazzate dai suoi rappresentanti. Come direbbe De Andrè dei morti parlanti di Spoon River, “dormono, dormono, sulla collina”, quando è ora di svegliarsi, è ora di dire: Good morning, Italia.
Cesare Sangalli